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18/12/2017

Gerusalemme - La Giordania in ebollizione

di Mohammed Ayesh* –  Middle East Eye

Migliaia di giordani sono scese in strada per esprimere la loro rabbia contro la decisione del presidente statunitense Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele. Gerusalemme costituisce un tema molto sensibile per Amman per una serie di motivi di sicurezza e politici. La Giordania, che è sempre stata una costante in qualsiasi negoziato di pace che ha avuto luogo dall’inizio del processo politico di Madrid nel 1990, oggi si sente isolata e marginalizzata. La decisione di Trump, secondo il suo punto di vista ufficiale, costituisce una minaccia all’identità e al futuro del Paese.

Il fattore demografico

I motivi strategici hanno innanzitutto a che fare con la demografia della Giordania. Più della metà dei giordani è di origine palestinese, tra questi vi sono anche quelli che sono stati sfollati da Gerusalemme in seguito alla guerra del 1967. Inoltre, la maggior parte dei residenti di Amman, la capitale, è costituita sia da rifugiati palestinesi sia da palestinesi con cittadinanza giordana.

Ci sono crescenti paure che la decisione di Trump su Gerusalemme potrebbe creare grosse agitazioni popolari nelle strade giordane simili – o forse maggiori – alle manifestazioni di rabbia sociale che il regno ha vissuto quando Ariel Sharon ha assaltato la Moschea di al-Aqsa nel settembre del 2000. Allora, i manifestanti giordani arrivarono quasi ad attaccare l’ambasciata israeliana ad Amman e furono tenuti a una distanza di 100 metri dai suoi cancelli.

Un secondo fattore importante è che la Giordania ha l’incarico di gestire i siti sacri di Gerusalemme, tra cui la moschea di al-Aqsa, sia per tradizione sia in base al trattato di pace con Israele del 1994. Ogni sfida allo status quo religioso nella Città Santa colpisce al cuore la legittimità hashemita sia in Giordania che nel mondo arabo. Parlando in parlamento, nel 2014 re Abdallah sottolineò: “La Giordania continuerà ad opporsi, con tutti i mezzi disponibili, alle politiche unilaterali e alle disposizioni israeliane e salvaguarderà i suoi siti sacri cristiani e musulmani. Pertanto la percezione generale tra la maggior parte dei palestinesi e degli arabi è che la monarchia hashemita ne sia la loro protettrice a Gerusalemme.

Giordania emarginata?

Un terzo fattore è l’articolo nono del Trattato di pace del 1994 tra Israele e Giordania che stabilisce: “Israele dovrà rispettare il ruolo attuale attribuito al Regno hashemita di Giordania nei luoghi sacri islamici di Gerusalemme, e quando si avranno i negoziati sullo status finale, Israele dovrà dare grande priorità al ruolo storico giordano in questi siti”. In altre parole, ogni cambiamento introdotto allo status legale della città in qualunque negoziato politico per un accordo di pace dovrebbe tenere in considerazione i giordani. Attraverso questo articolo, il defunto re Hussein di Giordania riuscì a strappare un riconoscimento americano e israeliano sul ruolo giordano di Gerusalemme. Per tale motivo, Amman dovrebbe essere un attore importante in qualunque negoziato finale di pace nella regione.

La Giordania ha ora l’impressione che il suo ruolo nella questione palestinese in particolare, e nella regione in generale, sia marginale. Il recente riavvicinamento tra diversi Paese arabi – soprattutto del Golfo – e Israele ha escluso la Giordania. Amman considera questo una minaccia al Paese e alla sua identità poiché il destino di milioni di rifugiati palestinesi e di Gerusalemme viene discusso senza che il regno hashemita sia coinvolto nel processo decisionale.

Da quando è iniziato il processo politico nella regione con la Conferenza di Madrid durante la quale la delegazione giordana incluse i palestinesi, questo tentativo di esclusione della Giordania rappresenta un cambiamento significativo e senza precedenti. I tentativi internazionali e americani di estromettere la Giordania potrebbero esacerbare la crisi economica del Paese. La tensione tra Amman e Washington potrebbe danneggiare l’aiuto che gli Usa forniscono alla Giordania stimato al momento a circa il 10% del budget nazionale. Ultimamente, inoltre, la crisi economica è peggiorata e potrebbe ulteriormente aggravarsi in futuro a causa della situazione nel Golfo [l’embargo imposto sul Qatar, ndr] e per la tensione tra la Giordania e alcuni stati del Golfo. Gli aiuti dell’Arabia Saudita e del Qatar continuano a mancare. Per tutti questi motivi la Giordania sta bollendo. La monarchia giordana considera la decisione americana una violazione del trattato di pace firmato sotto gli auspici di Washington. Per la prima volta re Abduallah ha twittato in sostegno dei manifestanti giordani contro la decisione Usa e ha difeso Gerusalemme come città araba, non come capitale d’Israele.

Rivedere il trattato di pace

Contenere la rabbia popolare causata dalla decisione [di Trump] è una delle principali preoccupazioni del governo [giordano] nella crisi in corso tra la Giordania e Israele scoppiata lo scorso luglio dopo che un impiegato dell’ambasciata israeliana ha ucciso due cittadini giordani. A livello ufficiale, l’atto più significativo è stato preso dal parlamento quando ha deciso, per la prima volta nella sua storia, di rivedere gli accordi siglati con Israele, compreso il trattato di pace. Quattordici parlamentari hanno firmato una lettera per annullarlo. Per la legge giordana, ogni proposta che è stata sostenuta da 10 o più deputati deve essere discussa e votata nel parlamento.

Se non è ancora chiaro quando il capo del parlamento ne fisserà la discussione e se sarà o meno cancellata, quello che è certo, comunque, è che è stato mandato un forte messaggio a Israele. Ciò significa infatti che dovrà essere votata una proposta che revoca la precedente legge che ratifica l’accordo di pace. Nel caso in cui la maggioranza dei membri del parlamento approvi la bozza avanzata, la Giordania dovrà sospendere l’accordo di pace che [così] diventerà nullo. Questo atto è di gran lunga la minaccia più significativa e seria al trattato di pace [con Israele] dalla sua firma avvenuta nel 1994. I giordani ritengono che queste intese regionali, compreso il cosiddetto “accordo del secolo”, non sono per loro vantaggiosi. Lo scoppio di una nuova Intifada nei Territori palestinesi, inoltre, rappresenterà automaticamente un pesante fardello securitario, economico e politico per la Giordania che ora conta più di 10 milioni di persone rispetto ai 4 milioni di quando è scoppiata la precedente Intifada del 2000.

*Mohhamed Ayesh è un giornalista arabo attualmente di stanza a Londra. 
(La traduzione dell’articolo è a cura della redazione di Nena News)

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