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23/12/2017

C’è una faglia sismica, lì dove volevano fare il Ponte sullo Stretto


Per fortuna non se ne parla più. Eppure sono stati spesi soldi pubblici e pagate penali per il congelamento della realizzazione del Ponte sullo Stretto tra la Calabria e la Sicilia. Uno studio scientifico, ha certificato quello che i movimenti che si erano opposti al Ponte avevano cercato di spiegare in tutti i modi: la zona dello Stretto è ad alto rischio sismico per l’esistenza di una faglia che allontana le coste della Calabria da quelle della Sicilia. Il ponte sarebbe stato così costretto a pressioni e tensioni che lo avrebbero reso instabile e quindi inutilizzabile. Ma intanto sarebbero stati spesi miliardi di euro che avrebbero ingrassato speculatori e cosche mafiose. Lasciamo parlare un servizio diffuso dall’agenzia Ansa:

“Un sistema di spaccature profonde, una vera e propria ‘finestra’ sotto il mar Ionio e’ stata scoperta dai ricercatori italiani. Una scoperta importante che contribuisce a spiegare il lento ma progressivo allontanamento della Sicilia dalla Calabria e l’alto rischio di terremoti nella zona. ”Le numerose campagne oceanografiche effettuate nella zona – spiega la ricercatrice del Cnr, Alina Polonia – hanno permesso di scoprire un sistema di faglie diffuso non lontano dalle coste che ora può essere sorvegliato.

”Aver scoperto questo sistema di faglie in mare – spiega ancora Alina Polonio – e’ positivo. Faglie a terra, infatti, farebbero senz’altro piu’ danni. ”Si tratta – prosegue la ricercatrice – di processi lenti e non catastrofici – che confermano i rischi geologici che la zona conosce”. Lo studio e’ stato condotto da ricercatori dell’Istituto di scienze marine Ismar-Cnr di Bologna, dell’università di Parma, dell’Ingv e del Geomar (Germania) e pubblicato su Nature Communications e aiuterà anche a capire la formazione le catene montuose e i forti terremoti storici. Lungo queste strutture, infatti, risale materiale del mantello che formava il basamento dell’oceano mesozoico da una profondità di circa 15-20 km.

Lo studio, che si intitola Lower plate serpentinite diapirism in the Calabrian Arc subduction complex, è stato condotto da un team di ricercatori delle diverse strutture e consente di osservare da vicino blocchi dell’antico oceano, svelando i processi che hanno portato alla sua formazione. “Le faglie lungo le quali risale il mantello della Tetide – spiega ancora Alina Polonia, ricercatrice Ismar-Cnr e coordinatrice della ricerca – controllano anche la formazione del Monte Etna, dimostrando che si tratta di strutture in grado di innescare processi vulcanici e causare terremoti. Queste faglie, infatti, sono profonde e lunghe decine di chilometri, e separano blocchi di crosta terrestre in movimento reciproco”. Attraverso uno studio multi-disciplinare, che integra immagini acustiche del sottosuolo, dati geofisici e campioni di sedimento, acquisiti nel corso di spedizioni scientifiche con la nave oceanografica del Cnr Urania, è stato possibile identificare le faglie, ricostruire la loro geometria e scoprire anomalie geochimiche nei sedimenti legate alla presenza di fluidi profondi.

L’analisi di tutti i dati raccolti ha permesso di proporre un modello geologico che conferma l’origine profonda del materiale in risalita lungo le faglie. “Grazie a questa scoperta – prosegue Alina Polonia – l’Arco Calabro, il sistema di subduzione tra Africa ed Europa nel Mar Ionio, ha un importante primato: è l’unica regione al mondo in cui sia stato descritto materiale del mantello in risalita dalla placca in subduzione.

Questa scoperta avrà importanti implicazioni per capire meglio come si formano le catene montuose e come questi processi siano legati ai forti terremoti storici registrati in Sicilia e Calabria”.

Questi dunque sono i risultati dello studio scientifico. Interessante a questo  punto vedere come stavano le cose su quella che poteva diventare l’ennesima inutile, costosa e devastante grande opera che avrebbe fatto felici solo gli speculatori del cemento. Era il 16 settembre del 2016 quando Renzi lanciò la sua “sfida”, cioè “completare il grande progetto di quella che Delrio chiama la Napoli-Palermo, per non dire Ponte sullo Stretto”. Il Ponte può creare “centomila posti di lavoro”, aveva detto il presidente del consiglio Matteo Renzi nel corso dell’assemblea che celebrava i 110 anni del gruppo Salini-Impregilo”.

Il Ponte sullo Stretto, tirato fuori come cilindro dal cappello dal governo Berlusconi come cambiale da pagare ai suoi inquietanti sodali in Sicilia e Calabria, prevedeva un costo di 4,7 miliardi di euro. E’ già costato circa 600 milioni di euro ai contribuenti, il governo Monti stanziò inoltre 300 milioni per il pagamento delle penali per la non realizzazione del progetto. E ci vengono a parlare di spending review, tagli, costi insostenibili della sanità e delle pensioni?

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