Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

22/03/2017

Giovani senza gioventù. Il solito rimedio? Tagliare le pensioni

Occorre ammettere che non brillano per fantasia ricercatori e osservatori dei centri studi della borghesia. Ad ogni problema propongono sempre la stessa ricetta, anche se sono consapevoli – o peggio ancora inconsapevoli – che essa rappresenta il problema e non, appunto la soluzione. L’ultima paraculata (1) in ordine di tempo, è quella della Fondazione Visentini presentata questa mattina alla Luiss “Guido Carli”, l’esclusiva università della Confindustria istituita per formare i loro rampanti rampolli. La ricerca presentata afferma che se nel 2014 i giovani di vent’anni raggiungevano l’indipendenza economica dopo 10 anni, nel 2020 per realizzarsi impiegheranno 18 anni e nel 2030 addirittura ventotto. In sostanza, nel 2020 diventeranno “grandi” a quasi 40 anni, mentre nel 2030 a quasi cinquanta.

Secondo il rapporto, è necessario un intervento diretto per fronteggiare quella che appare come una “emergenza generazionale”. La fondazione “Visentini” propone un “eccezionale” sforzo solidaristico (sic!) nell’ambito un intervento organico e sistematico che ponga la questione giovanile al centro dell’attenzione politica. Ma andando a vedere quale sia questo sforzo, rileviamo che la fondazione prevede una rimodulazione dell’imposizione fiscale con funzione redistributiva e un contributo solidaristico da parte delle generazioni che godono di pensioni più generose.

Viene ipotizzato il coinvolgimento, per tre anni in un vero e proprio patto generazionale, di circa 2 milioni di pensionati posizionati nella fasce più alte attraverso una misura progressiva sia rispetto alla capacità contributiva che ai contributi versati. La Fondazione, come al solito, trascura i dettagli dove di solito si nasconde il diavolo. Il velo delle buone intenzioni occulta la realtà. Il primo problema è che le pensioni delle fasce più alte non sono 2 milioni ma molte meno. In gran parte si tratta proprio di dirigenti che hanno mandato in rosso i bilanci dell’Inpdai (l’ente previdenziale dei dirigenti d’azienda) con pensioni altissime non surrogate da contributi adeguati. La soluzione, ovviamente, è stata quella di accollare le perdite previdenziali del fondo dei dirigenti alle casse dell’INPS (lavoratori dipendenti). Il secondo problema è che essendo le pensioni alte numericamente basse (ma onerose in modo inversamente proporzionale), la platea non potrà che spalmarsi su quelle medie e la più amplia platea delle pensioni dei lavoratori dipendenti che sono riusciti a sottrarsi alle controriforme tagliola di Dini prima e della Fornero poi.

Se passasse l’ipotesi della Fondazione Visentini, vogliamo scommettere che la ricetta sarà quella che stiamo indicando noi? Al contrario la nostra soluzione è radicalmente diversa: un ampio piano di occupazione nel settore pubblico in servizi, sicurezza del territorio, riapertura degli impianti produttivi chiusi dagli interessi privati (vedi Irisbus o Alcoa per fare degli esempi). E mentre si dipana il piano per l’occupazione varare il reddito sociale, proprio per rendere economicamente autonomi i giovani prima possibile. Le risorse? Per le banche e le spese militari si trovano sempre e senza problemi. Vuol dire che le risorse ci sono, dipende solo su quale priorità si decide di investirle.

Infine, ma non per importanza. Ogni soluzione ragionevole e lungimirante non ha alcuna possibilità di realizzarsi finché il paese resterà imbrigliato nella gabbia dell’Unione Europea e dell’Eurozona. Queste non permettono ad uno stato membro né ad una amministrazione locale di poter disporre delle proprie risorse e di allocarle sulla base delle esigenze sociali e delle priorità individuate. Rompere questa gabbia e poter tornare a disporre delle proprie risorse (dal credito alle industrie, dai servizi strategici al cambio sulla moneta) non è un orizzonte preso in considerazione dalla Fondazione Visentini né dalla Luiss. Ma è esattamente il motivo per cui da 25 anni (il Trattato di Maastricht è del 1992) è in atto una regressione sociale complessiva nel nostro e negli altri paesi europei più deboli e asimmetrici. L'Italexit non è una opinione, è una opzione per la sopravvivenza.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento