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22/02/2017

Ecuador: un’incognita da sciogliere

La maggioranza ottenuta da Alianza País nelle elezioni di domenica scorsa conferma che un settore significativo dell’elettorato ecuadoregno ha saputo discernere quello che era in gioco: la continuità di un governo che ha segnato un prima e un dopo nella storia contemporanea dell’Ecuador o il suicida salto nel vuoto che avrebbe emulato l’attuale tragedia argentina.

Lenin Moreno e Jorge Glas rappresentavano il consolidamento degli avanzamenti ottenuti nei dieci anni di governo di Rafael Correa; i suoi principali contendenti, Guillermo Lasso e Cynthia Viteri, erano il ritorno dell’alleanza sociale che tradizionalmente aveva governato l’Ecuador con le disastrose conseguenze a tutti note. Un paese con grandi maggioranze nazionali in condizioni di povertà, con indici di disuguaglianza ed esclusione economica, sociale e culturale aberranti; vittima dell’insaziabile voracità di banchieri e latifondisti che saccheggiavano impunemente una popolazione che tenevano in ostaggio e che, per la loro sfrenatezza, hanno provocato la mega-crisi economico-finanziaria, sociale e politica del 1999 che ha cancellato la moneta nazionale, rimpiazzandola con il dollaro statunitense, e ha provocato la fuga precipitosa di circa due milioni e mezzo di ecuadoregni che sono scappati all’estero per mettersi in salvo dall’ecatombe.

Sono vari i fattori che spiegano questo incoraggiante risultato, anche se le cifre definitive ancora non permettono di assicurare che non ci sarà il ballottaggio. Uno: i traumatici ricordi del 1999 e la sfacciataggine con cui gli agenti sociali e le forze politiche di quella crisi proponevano l’adozione delle stesse politiche che l’avevano originata. Spingevano per la deregulation delle forze del mercato, riduzione della spesa pubblica e delle imposte e farla finita con l’idra dalle sette teste che è il populismo economico. La politica sociale sarebbe tagliata perché la versione locale della “pioggia d’investimenti” di Mauricio Macri offrirebbe impiego a piene mani e la sanità pubblica sarebbe privatizzata perché, come ha detto Viteri, visto quanto è accaduto con l’Obama-care l’iniziativa privata si occuperà della salute degli ecuadoregni meglio dei falliti – secondo lei – programmi di sanità pubblica instaurati dal presidente Correa. Cioè i profeti del cambiamento erano emissari del passato con pretese di ritorno.

Altro fattore importante è stata la formula presidenziale, capace di stabilire un profondo vincolo con la base sociale dei sostenitori di Correa e di portare avanti un’estenuante percorso attraverso le 24 province del paese, fidelizzando una presenza territoriale e organizzativa i cui risultati sono stati evidenti al momento di aprire le urne. Altro fattore esplicativo, il terzo, è stato l’appoggio di Correa e il suo coraggioso sforzo per rafforzare con una vertiginosa dinamica di governo, la campagna del binomio governativo.

Al di là del se si vince in prima battuta o no, Alianza País ha ratificato nuovamente il suo ruolo di principale forza politica dell’Ecuador. E questo non è poco, considerata la crisi economica che colpisce il paese, le devastanti conseguenze – economiche e umane – del terremoto dell’anno scorso e la naturale usura che tocca un governo dopo dieci anni di gestione.

Nei giorni precedenti predominava negli ambienti governativi una profonda preoccupazione. I sondaggi non stavano dando i risultati sperati e c’erano dati contraddittori: da un lato, l’entusiasmo militante con cui Moreno e Glas erano accolti in tutto il paese. Però la campagna di terrorismo mediatico è stata di tale imponenza e bassezza morale da far sì che il voto di quelli favorevoli alla Alianza temesse di manifestarsi a seguito delle domande dei sondaggisti. Le accuse lanciate contro Correa e Glas erano tanto tremende quanto carenti di sostanza. Sopraffatti e intimiditi da questa artiglieria mediatica e dalle velate minacce dei profeti della restaurazione, una parte significativa degli intervistati si definivano “indecisi” quando in realtà non lo erano. Altri, invece, sono stati persuasi dalla propaganda della destra e hanno optato per appoggiare altre candidature.


In una nota precedente dicevamo che questa elezione sarebbe stata la “battaglia di Stalingrado”, perché dal suo esito dipenderebbe il futuro dell’Ecuador e di tutta l’America Latina. Una sconfitta darebbe spazio alla destra regionale e accelererebbe la modifica regressiva della mappa sociopolitica sudamericana, rafforzando i traballanti governi dell’Argentina e del Brasile, protagonisti fondamentali dell’attuale retrocessione politica. La vittoria, invece, sarebbe una svolta decisiva, un muro contro i quale s’infrangerebbe la controffensiva conservatrice e confuterebbe la tesi di alcuni analisti di piazza che si sono affrettati a decretare la “fine del ciclo progressista” mentre il morto ancora respirava. Al momento di terminare questa nota non ci sono dati definitivi che permettano di sapere quale sarà il risultato finale. La probabile vittoria in prima istanza di Alianza País – cosa che si saprà solo una volta che sia terminato il riconteggio totale dei voti – confermerebbe l’inversione delle tendenze conservatrici. Se si dovesse andare al ballottaggio si posticiperebbe la battaglia definitiva fino al 2 aprile. E anche in questa ipotesi le possibilità di vittoria del governo continuano ad essere molto significative. Impazienti astenersi!

da: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=223161

(Traduzione di Rosa Maria Coppolino)

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