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29/11/2016

La generazione working poor inizia a dire NO

Torino. Martedì 22 novembre abbiamo organizzato a Palazzo Nuovo un’assemblea per confrontarci sulle prospettive della nostra generazione con alcune realtà che, in ambiti diversi, si battono per la rivendicazione di diritti, contro la precarietà e le nuove forme di sfruttamento che colpiscono buona parte della popolazione di ogni età, ma che su noi giovani e studenti si abbattono con particolare violenza. Abbiamo invitato alla discussione i compagni della campagna Schiavi Mai, i lavoratori di Foodora in lotta con l’azienda, i ragazzi del Mompracem (il collettivo del liceo D’Azeglio), e per l’assemblea abbiamo scelto il titolo ‘Generazione Erasmus o generazione working poor?’ Di noi, infatti, sui mezzi di comunicazione e nel discorso pubblico, si parla prevalentemente secondo due chiavi di lettura: da un lato saremmo una generazione smart, cosmopolita, flessibile, sempre pronta a muoversi e viaggiare, non afflitta dalla fastidiosa mania della stabilità come i nostri genitori; contemporaneamente, non di rado diventiamo dei bamboccioni, che non accettano le opportunità che vengono offerte (‘choosy’, come ebbe a dire la Fornero), che preferiscono rimanere a casa con la mamma invece di mettersi in discussione.

Crediamo che queste ricostruzioni non reggano a un confronto più attento, e più onesto, con la realtà, che mostra invece una situazione di strutturale disoccupazione, precarietà e carenza di prospettive per la nostra generazione. A nostro giudizio, lo smantellamento dell’università nel nostro paese, la precarizzazione del lavoro, e la tendenza all’emigrazione che ne deriva, non rappresentano fenomeni casuali o imputabili a un generico malaffare presente nel nostro paese, ma sono il risultato delle politiche economiche che tutti gli ultimi governi hanno implementato e che derivano direttamente dalle necessità dell’Unione Europea di smantellare il modello sociale sviluppato nel dopoguerra per giocare un ruolo da protagonista nella competizione globale.

In questo processo, l’Italia, come gli altri paesi mediterranei, rappresenta un paese periferico, con un’economia specializzata in settori a basso contenuto tecnologico. Lo smantellamento dell’università pubblica a cui abbiamo assistito negli ultimi anni è dunque perfettamente coerente con questi sviluppi (molti laureati, semplicemente, non servono), così come la divisione che va delineandosi nettamente tra pochi atenei di serie A, che mantengono un profilo di ‘eccellenza’ internazionale, e molti di serie B, che diventano ‘laureifici’ in via di ridimensionamento. Il taglio dei finanziamenti comporta un aumento generalizzato delle tasse che ha ovviamente effetti molto diseguali da un punto di vista di classe e geografico.

Ancora peggiore la situazione del mercato del (non)lavoro: in Italia la disoccupazione giovanile si aggira intorno al 40%, 1 giovane su 4 è un NEET (non studia e non lavora), la maggioranza è comunque, strutturalmente e permanentemente (più della metà dei giovani ha un contratto precario a 10 anni dall’ingresso nel mercato del lavoro), precaria. Il Jobs Act ha completamente liberalizzato l’uso di contratti atipici (primi fra tutti i voucher, 110 milioni venduti in nove mesi nel 2016!); né i rimedi adottati, come Garanzia Giovani, hanno sortito alcun effetto, mirando semplicemente ad avvicinare l’offerta a una domanda di lavoro che non c’è. Nel frattempo, si cerca continuamente di legittimare la pratica del volontariato e del lavoro gratuito, come a Expo, o con l’alternanza scuola-lavoro, abituando le persone a non essere pagate fin da giovanissime.

Logico, evidentemente, che per molti si prospetti l’emigrazione forzata come unica alternativa: questa riguarda persone di ogni età e di ogni grado di istruzione, sia basso che anche molto alto, che a grande maggioranza si dirigono verso i paesi del ‘centro’ europeo, per ciò che abbiamo definito come ‘furto’ più che fuga di cervelli.

Fabio ha spiegato le origini di Schiavi Mai, la campagna nata recentemente dal sindacato Usb e che si propone di lanciare una parola d’ordine chiara e inclusiva per connettere le lotte di tutti quei lavoratori e non che sperimentano forme di estremo sfruttamento, paragonabili a nuove schiavitù: in particolare i braccianti, i lavoratori della logistica, ma anche tutti i precari pagati a voucher, i disoccupati intrappolati nelle “politiche attive del lavoro”, i migranti e chi lotta per il diritto all’abitare. Da 30 anni il mondo del lavoro è sotto attacco e occorre trovare le forme di ricostruire quell’organizzazione e quella solidarietà di classe senza le quali non è possibile resistere e difendere il diritto ad avere un lavoro e una vita dignitosa.

I lavoratori di Foodora hanno ricostruito le tappe della lotta contro l’azienda che, da una paga iniziale di 5 euro all’ora, è passata nei mesi scorsi a pagare €2,7 a consegna, senza garantire alcuna tutela ai lavoratori, che vengono considerati nel rapporto di lavoro come semplici ‘collaboratori’, su cui è scaricato ogni onere compreso l’acquisto dell’attrezzatura necessaria per lavorare; è stato raccontato di ragazzi investiti per la strada, senza nessuna assistenza o risarcimento. Dopo l’inizio della protesta, molti dei lavoratori in agitazione sono stati semplicemente disconnessi dalla app che gestisce le consegne, di fatto licenziati! Foodora, come altre aziende di questo tipo, sta facendo di tutto per legittimare il lavoro ‘a cottimo’ anche da un punto di vista culturale, presentandolo come la forma di lavoro perfetta per giovani smart e flessibili.

I compagni del collettivo Mompracem hanno raccontato la loro esperienza con l’alternanza scuola-lavoro, uno dei principali provvedimenti della cosiddetta ‘Buona scuola’, che per i ragazzi, il più delle volte, si traduce in pura manovalanza non retribuita, senza alcuna valenza formativa – anzi, sacrificando intere settimane ai regolari orari di lezione. Con l’alternanza, di fatto si consente alle imprese di avere a disposizione una enorme forza-lavoro gratuita, con cui coprire le mansioni meno qualificate, sacrificando laddove possibile posti di lavoro regolarmente retribuiti (alcuni tra gli stessi ragazzi di Mompracem sono stati mandati a lavorare alla Reggia di Venaria, dove è in corso da mesi una lotta dei lavoratori contro il taglio del 40% del monte ore). I giovani lavoratori non hanno alcuna tutela contrattuale (è stato raccontato di una ragazza che si è rotta il polso, ma manca qualsiasi responsabilità contrattuale del datore di lavoro), e inoltre il percorso nelle aziende avrà dal 2018 un peso decisivo sul voto finale all’esame di maturità (15 punti), esponendo potenzialmente i lavoratori a ogni sorta di ricatto da parte del datore di lavoro (‘se non fai quello che ti dico, ti faccio bocciare’).

Il dibattito è stato ricco di spunti e ha senza dubbio offerto una panoramica di diverse forme di sfruttamento proprie del contesto in cui viviamo, e che sono accomunate dal generale attacco contro il mondo del lavoro portato avanti dal governo Renzi, dal PD e dall’Unione Europea. E’ questo il contesto in cui si inserisce anche il progetto di controriforma costituzionale su cui saremo chiamati a esprimerci il 4 dicembre: un tentativo di rendere effettivo il superamento dei normali procedimenti democratici, di blindare l’esecutivo nei confronti ogni ingerenza del Parlamento e in generale della discussione pubblica, per applicare molto più velocemente le politiche richieste dai mercati e dalla Troika. E’ di fondamentale importanza, allora, che come giovani, studenti e precari sappiamo collegare le nostre rivendicazioni a quelle di tutti i lavoratori, non importa la loro età, la cui vita si svolge sotto il ricatto continuo della disoccupazione, della precarietà e dello sfruttamento; delle persone che vivono una situazione di emergenza abitativa; dei migranti, che pagano la guerra economica e militare combattuta senza soluzione di continuità dai nostri governi. Le giornate del 21-22 ottobre hanno rappresentato indubbiamente una tappa importante di questo percorso di ricomposizione sociale, che con un forte NO sociale al referendum del 4 dicembre potrà rinforzarsi notevolmente.

La working poor generation ha iniziato a dire NO!

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