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25/11/2016

La Corte Costituzionale boccia il decreto Madia sui servizi pubblici

Un’altra sventola è arrivata per Renzi e il suo governo. Secondo la Corte Costituzionale la riforma della ministra Madia sulla Pubblica amministrazione presenta profili di illegittimità rispetto ai principi della Carta fondamentale dello Stato, in particolare nella parte in cui prevede che l’attuazione della stessa, attraverso i decreti legislativi, possa avvenire con il semplice parere della Conferenza Stato-Regioni. Secondo la Consulta, che si è pronunciata dopo un ricorso della Regione Veneto, è invece necessaria la previa intesa. La pronuncia di legittimità riguarda le norme relative alla dirigenza, alle società partecipate, ai servizi pubblici locali e al pubblico impiego.

La notizia della bocciatura del Decreto Madia arriva all’indomani della convocazione dei sindacati al tavolo per il rinnovo del contratto del pubblico impiego. Ieri al Ministero della Funzione Pubblica era intervenuta la polizia per impedire alla delegazione della Usb, che pure è maggiormente rappresentativa nel settore, di poter partecipare al negoziato.

Immediata e velenosa la reazione di Renzi. "Siccome non c'è l'intesa con le regioni, noi avevamo chiesto un parere, ma per la Corte costituzionale il decreto sulla Pubblica Amministrazione è illegittimo. E poi mi dicono che non devono cambiare le regole del Titolo V: siamo circondati da una burocrazia opprimente, questo dimostra che siamo un Paese bloccato", ha commentato Renzi impegnato a Vicenza in una manifestazione per il Si. A contestarlo, anche qui, la coalizione “Vicenza si solleva” a cui aderiscono No Dal Molin, Usb e centro sociale Bocciodromo, che da piazzale del Mutilato, ha cercato di arrivare in viale Mazzini dove c’era Renzi ma è stato bloccato dalla polizia in via Bonolis.

Nel documento di sintesi pubblicato dalla Corte Costituzionale si ricorda che le norme impugnate dalla regione Veneto “delegano il Governo ad adottare decreti legislativi per il riordino di numerosi settori inerenti a tutte le amministrazioni pubbliche, comprese quelle regionali e degli enti locali, in una prospettiva unitaria”. Si tratta cioè di interventi che “influiscono su varie materie, cui corrispondono interessi e competenze sia statali, sia regionali (e, in alcuni casi, degli enti locali)”. La Consulta ha ponderato se “fra le varie materie coinvolte, ve ne sia una, di competenza dello Stato, cui ricondurre, in maniera prevalente, il disegno riformatore nel suo complesso. Questa prevalenza escluderebbe la violazione delle competenze regionali”. Di contro, se la materia non viene riconosciuta come di competenza dello Stato, per la Corte si deve rispettare “il principio di leale collaborazione” e prevedere “adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni (e degli enti locali), a difesa delle loro competenze”.

Nella sua sentenza, la Corte sottolinea il ruolo centrale della Conferenza Stato-Regioni: l’intesa al suo interno è ritenuto “un necessario passaggio procedurale anche quando la normativa statale deve essere attuata con decreti legislativi delegati”. Alla luce di tali premesse, la Consulta ha precisato che le “pronunce di illegittimità costituzionale colpiscono le disposizioni impugnate solo nella parte in cui prevedono che i decreti legislativi siano adottati previo parere e non previa intesa”. In particolare, sono stati respinti i dubbi di legittimità costituzionale relativi alla delega per il Codice dell’amministrazione digitale. Le dichiarazioni di illegittimità costituzionale riguardano quindi esclusivamente le deleghe al Governo “in tema di riorganizzazione della dirigenza pubblica”, “per il riordino della disciplina vigente in tema di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni”, “di partecipazioni azionarie delle pubbliche amministrazioni e di servizi pubblici locali di interesse economico generale”.

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