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21/10/2016

USA, il bavaglio ad Assange

di Michele Paris

L’interruzione del collegamento a Internet del fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, da parte del governo dell’Ecuador, che da oltre quattro anni lo ospita nella sua ambasciata di Londra, è stato il segnale del livello di disperazione raggiunto dal governo americano nel tentativo di mettere fine alla diffusione dei documenti segreti relativi alla campagna elettorale di Hillary Clinton e ai suoi legami con i grandi interessi finanziari degli Stati Uniti.

Il paese sudamericano ha negato di essere stato sottoposto alle pressioni di Washington, ma nel comunicato ufficiale di martedì, nel quale ha ammesso di avere escluso “temporaneamente” dalla rete Assange, ha fatto riferimento alla presunta interferenza di WikiLeaks nelle vicende elettorali degli Stati Uniti.

Assange aveva denunciato in precedenza lo stop al collegamento a Internet e la sua organizzazione ha fatto sapere di avere ricevuto informazioni da varie fonti circa l’intervento diretto del segretario di Stato USA, John Kerry, sulle autorità ecuadoriane nel corso dei recenti negoziati sul processo di pace tra il governo colombiano e i guerriglieri delle FARC. Kerry avrebbe chiesto un intervento per fermare Assange e la pubblicazione di ulteriori documenti dalla portata devastante per la candidata favorita dall’establishment a stelle e strisce.

I documenti parzialmente pubblicati finora da WikiLeaks provengono dall’account di posta elettronica del numero uno della campagna elettorale di Hillary, l’ex consigliere di Obama ed ex capo di Gabinetto di Bill Clinton, John Podesta. Oltre a quelle già pubblicate, resterebbero più di diecimila e-mail da diffondere, forse con rivelazioni ancora più scottanti sull’ex segretario di Stato.

Il tentativo di zittire WikiLeaks e di isolare ulteriormente dal mondo esterno Assange ha implicazioni inquietanti per la libertà di stampa e il diritto a conoscere fatti fondamentali sul conto dei leader politici. Inoltre, il giornalista/attivista australiano è già stato bersaglio di pesanti minacce nel recente passato e i provvedimenti presi nei suoi confronti ne hanno messo a serio rischio anche l’integrità fisica.

Proprio WikiLeaks aveva rivelato una discussione che coinvolgeva Hillary Clinton, la quale, durante la pubblicazione nel 2010 di centinaia di migliaia di documenti riservati sulle attività del Dipartimento di Stato americano, chiedeva ai suoi collaboratori se non fosse possibile “semplicemente eliminare Assange con un drone”.

Hillary ha sostenuto di non ricordare la frase e, se anche l’avesse pronunciata, sarebbe stato uno scherzo. Al Dipartimento di Stato, tuttavia, l’allora segretario aveva la facoltà di intervenire sul processo decisionale relativo all’elenco degli individui da colpire arbitrariamente con i droni americani e, in ogni caso, minacce alla vita di Assange sono state rivolte pubblicamente in varie occasioni da altri esponenti Democratici e dell’apparato militare e dell’intelligence americano.

Lo stesso esilio forzato nell’ambasciata ecuadoriana a Londra è il risultato di una campagna giudiziaria organizzata dal governo di Gran Bretagna e Svezia, dove è tuttora in vigore un mandato di arresto nei confronti di Assange, con la regia americana per incastrare quest’ultimo e avviare un processo di estradizione verso gli Stati Uniti. Notizie circolate qualche anno fa avevano rivelato come la giustizia americana abbia già istituito segretamente un “Grand Jury” per raccomandare l’incriminazione di Assange con l’accusa di tradimento e diffusione di documenti governativi riservati.

Mentre la maggior parte dei media ufficiali, soprattutto americani, continua a dipingere Assange come uno stupratore che intende sottrarsi alla giustizia, è necessario ricordare che le autorità svedesi non hanno avviato alcun procedimento di incriminazione nei suoi confronti, bensì intendono soltanto interrogarlo in merito a un caso dai contorni a dir poco sospetti.

La denuncia delle due “vittime” dello stupro, legata in realtà al mancato uso di un profilattico, era stata infatti archiviata in un primo momento dalla giustizia svedese, anche perché almeno una delle donne coinvolte aveva ostentato sui social media il suo rapporto sessuale, evidentemente consensuale, con Assange. Solo in seguito all’intervento di un magistrato legato al Partito Socialdemocratico svedese il caso era stato riaperto e da allora ha avuto inizio la persecuzione giudiziaria contro Assange.

Quest’ultimo aveva poi trovato rifugio presso la rappresentanza diplomatica ecuadoriana in Gran Bretagna una volta esaurite le strade legali per evitare l’estradizione in Svezia e, probabilmente, dal paese scandinavo agli Stati Uniti. Dopo più di quattro anni di vita all’interno dell’ambasciata, con il governo di Londra che aveva anche respinto la concessione di una sorta di salvacondotto per consentire il trasferimento di Assange in ospedale, un rapporto diffuso quest’anno dal Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite sulle Detenzioni Arbitrarie ha condannato duramente la Gran Bretagna e la Svezia, i cui governi hanno però ignorato le conclusioni non vincolanti.

La decisione del governo dell’Ecuador sembra essere comunque poco più che simbolica, malgrado il presidente Correa abbia sostenuto pubblicamente di preferire una vittoria di Hillary Clinton nelle presidenziali di novembre. Il provvedimento di blocco del collegamento a Internet di Assange è appunto di natura temporanea e Quito ha tenuto a precisare che l’offerta di asilo rimane intatta, così come il suo diritto a svolgere l’attività giornalistica.

Allo stesso tempo, è probabile che il governo americano farà altre pressioni su quello ecuadoriano, lasciato peraltro vergognosamente solo dagli altri paesi nel gestire una vicenda dalle implicazioni cruciali per la libertà di stampa e i diritti democratici a livello internazionale.

La vicenda di Assange e le attività di WikiLeaks, di fatto quasi eroiche viste le circostanze, dopo le ultime rivelazioni su Hillary Clinton si intrecciano d’altronde con quella che è una delle principali questioni strategiche di questi anni, vale a dire la rivalità tra Stati Uniti e Russia e il pericolo di un conflitto diretto tra le due potenze nucleari.

Senza una sola prova concreta, il governo e i media negli Stati Uniti insistono nell’attribuire a Mosca la penetrazione nei server del Partito Democratico e dei collaboratori di Hillary Clinton, da cui provengono le e-mail pubblicate da WikiLeaks. L’organizzazione di Julian Assange sarebbe perciò complice di Putin nel tentativo di penalizzare la candidata Democratica alla Casa Bianca e di favorire Donald Trump, attestato su posizioni teoricamente più moderate per quel che riguarda i rapporti con Mosca.

Il contenuto delle e-mail diffuse in questi giorni viene così in sostanza ignorato, mentre si denuncia WikiLeaks e la Russia per il tentativo di interferire in un processo elettorale altrimenti esemplarmente democratico. Questa strategia di Hillary e del suo partito serve in primo luogo a sostenere la propria candidatura alla presidenza ed evitare un ulteriore peggioramento del già misero gradimento tra gli americani.

Parallelamente, però, gli attacchi contro Mosca rientrano nel progetto “neo-con, abbracciato in pieno da Hillary, di contenimento della Russia, contro la quale a Washington si sta preparando un’offensiva che vedrà un’accelerazione dopo il voto di novembre.

Chiunque sostenga tesi diverse o rappresenti un ostacolo a questo progetto – da Donald Trump a Julian Assange e WikiLeaks – è perciò un nemico se non un traditore, intenzionato a favorire quella che viene rappresentata come la principale minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti.

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