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30/09/2016

L'Europa si specchia nell'abisso di Deutsche Bank

La nostra testata si occupa di Deutsche Bank da oltre cinque anni, qui un articolo del luglio 2011 Ufficiale, la Deutsche Bank scommette per aggravare il debito pubblico italiano – che preannunciava il rapporto tra la banca tedesca e l’attacco al debito sovrano del nostro paese, e ha seguito nel tempo diverse sue evoluzioni.
 
Non ci possiamo certo stupire di quanto sta accadendo, l’ennesimo cedimento del titolo dell’istituto tedesco che manda in flessione le borse europee, piuttosto possiamo registrare il fatto che la vicenda Deutsche Bank ha due tipi di soluzione. Entrambe legate a due fattori sistemici: la crisi delle banche europee, la crisi, più globale, della creazione di valore negli istituti bancari. Significativamente, proprio nelle ore in cui Deutsche Bank perdeva ulteriore quota, andando sotto i dieci euro per azione, l’edizione digitale di Die Welt rimarcava come stesse crescendo in Europa il settore dello shadow banking. Ovvero quel settore finanziario che, facendo servizi bancari (fideiussioni, assicurazioni, mutui, money market funding per limitare l’esposizione al rischio, finanziamento a opere per infrastrutture e diverse attività di rischio come i famigerati repo) toglie spazio al settore bancario tradizionale già eroso dai tassi bassi e dalle evoluzioni tecnologiche del banking. Die Welt segnalava infatti come un fatto ormai ineludibile (del resto negli anni ’90 lo shadow banking “pesava” per 9 milioni di credito nell’eurozona oggi quasi 25 nonostante la crisi del 2008): è sempre maggiore il peso dell’intermediazione finanziaria che sfugge alle autorità di regolazione continentale. Per questo la crisi di Deutsche Bank, che è stata stimata possedere il 10 per cento dei titoli tossici del pianeta, è ancora più forte.

Crisi delle banche europee, della produzione di valore bancario e concorrenza di nuovi soggetti, oltre alle tecnologie che sono destinata a produrre ulteriori mutazione nel settore, portano istituti come Deutsche Bank sull’orlo della crisi annunciata. Anche se, a loro volta, le banche dell’Eurozona hanno esposizioni dirette nei confronti del settore shadow banking per almeno l’8 per cento dei loro bilanci questo intreccio sembra, per loro, funzionare solo in negativo. Il settore istituzionale decresce e il settore bancario ombra cresce. Lo registravamo già nel 2012: “grande malato di questa crisi è il settore bancario. Il quale lo è sia nella sua cornice nota e istituzionale che nei suoi rapporti con lo shadow banking”.

Da allora, nonostante ulteriori pesanti interventi della Bce, niente è migliorato. E Deutsche Bank, sopravvissuta alla crisi del 2008 con pesanti interventi della Repubblica Federale Tedesca, ha continuato a produrre effetti negativi nel sistema bancario europeo, in quello finanziario e, in definitiva, in tutta la società continentale viste le severe politiche di bilancio imposte dal suo salvataggio (e pagate, in maniera diversa, da tutti gli stati). E’ presto, naturalmente, per dire se l’ultima oscillazione del titolo, che ha affossato le borse europee, sia in grado di creare choc sistemici. Di sicuro sono vere almeno tre cose: 1) in una situazione del genere qualcuno fa un po’ di guerra finanziaria, giocando su ribassi e rialzi, per guadagnare qualcosa (e con l’esplosione del trading automatico e dell’High-Finance Trading questo qualcuno ha armi sofisticate) 2) effettivamente Deutsche Bank è una bomba che potrebbe scappare di mano a chi la detiene 3) la banca potrebbe essere salvata ridimensionandola. Questo vorrebbe dire che la Germania rinuncerebbe agli investimenti di rischio? Non scherziamo: una parte considerevole degli asset dello shadow banking, il settore che cresce a detrimento di soggetti come Deutsche Bank, sono locati tra paesi alleati di Berlino (Olanda, Lussemburgo) o direttamente in Germania. Un ridimensionamento di Deutsche Bank rappresenterebbe solo una differenziazione del rischio sistemico. Oltre ad un bel bagno di sangue per risparmiatori e imprese, di fatto del continente, contribuendo a contrarre il già esangue Pil europeo.

Ma veniamo a un po’ di fatti. Il primo è che il titolo Deutsche Bank, di importanza sistemica, ha perso il 58 per cento del suo valore da inizio anno (fonte Handelsblatt). E, si badi bene non stiamo parlando di un titolo qualsiasi ma di questo. Si guardi la sproporzione tra il pil tedesco e il volume dell’esposizione in derivati di Deutsche Bank.

E’ comprensibile che le oscillazioni del titolo Deutsche Bank possano far tremare le borse. E anche Berlino, considerando che in Germania Deutsche Bank non è certo la sola, anche se è la più grossa, ad aver prodotto montagne di esposizioni in derivati. In più in questi giorni, un gruppo di hedge fund, fondi di investimenti aggressivi e importanti, ha lasciato Deutsche Bank, e i suoi servizi finanziari, considerandola indebolita e fuori mercato. Si capisce che, a parte le notizie gonfiate per favorire la guerra finanziaria e guadagnare speculando a breve, il problema strutturale esiste e si riverbera in tempo reale nei mercati globali. Due sono le interpretazioni dell’attuale momento (caduta del titolo da inizio anno e fuga di Hedge Fund). La prima è che Deutsche Bank ha maggiori riserve di liquidità che nel 2007, all’epoca del grande scossone sistemico del periodo, che ha una liquidity coverage ratio (liquidità da far intervenire in condizioni di stress finanziario) in linea con quanto richiesto dagli accordi Basilea III per prevenire le crisi sistemiche. Per questo, lo stesso Credit Suisse ritiene sovrastimato l’allarme di questi giorni. Questo non significa che in Germania non si vogliano vedere i problemi di Deutsche Bank: la Süddeutsche Zeitung ha parlato chiaramente di banca che deve diventare meno globale, meno globalmente sistemica, e più tedesca. In una operazione di ridimensionamento, e di salvataggio, che la riporti sotto il controllo tedesco e non in balia dei mercati globali. Operazione difficile, specie in un mondo finanziario dove le stesse banche centrali sono trascinate dai mercati, ma comprensibile.

Poi c’è la seconda interpretazione del fenomeno. Quella che stima la liquidità di Deutsche Bank di almeno 70 miliardi di euro al di sotto delle dichiarazioni ufficiali e che afferma che la liquidity coverage ratio può coprire le situazioni di stress per un mese. Dopo, in una situazione dove il titolo Deutsche Bank ha perso quasi il sessanta per cento di valore in un anno e quindi entro una dimensione permanente di perdite, comincerebbero problemi seri. Ma per chi? Semplice, come ha detto la stessa Goldman Sachs, Deutsche Bank sta al centro dell’intero sistema bancario europeo. Una seria, eventuale crisi tedesca si rovescerebbe su tutto il continente. Tra le stime che vedono una liquidità adatta a superare la crisi e quelle che affermano il contrario, si capisce, c’è una bella differenza. In ogni caso cambierà il rapporto tra sistema bancario e shadow banking, e lo stesso ruolo dei bilanci pubblici. Ampiamente sinistrati, con cascate di tagli in tutta Europa, dalla crisi del 2008. Per non parlare della geopolitica: gli Usa che hanno multato di 14 miliardi Deutsche Bank hanno fatto sentire il loro peso politico nella crisi e la stessa Turchia, come ammesso da stampa tedesca mainstream, si sta facendo vedere per dire la sua nel salvataggio di Deutsche Bank. L’Europa si specchia, in ogni caso, nella crisi di Deutsche Bank come quella di una inutile, barocca, cattedrale bancaria e finanziaria. Dove le somme, vertiginose e inimmaginabili, non servono che ad alimentare bolle, depressione economica e tagli ai servizi. E’ un prezzo da pagare alle divinità della moneta, del cui culto il continente non è ancora sazio.

Nella tragedia non manca naturalmente la farsa. Il governo italiano e i suoi, arruolatissimi, opinion-maker attendono buone nuove da Berlino. Ovvero che la crisi di Deutsche Bank permetta, di riflesso sulle misure eventualmente prese dal governo federale, di salvare la compagnia di giro del “management” delle banche italiane con un bel assegno pagato dai cittadini di questo paese. Non c’è nessuna strategia per il futuro, di un mondo bancario completamente mutato dall’inizio del secolo, nel governo Renzi. Far pagare, proprio in senso materiale, a tutti noi. Al limite un paese, in un’ottica di ristrutturazione e innovazione, ci potrebbe anche stare. Ma l’unica innovazione che conosce il governo Renzi è quella in materia di cazzate da raccontare a reti unificate. Capiremo alle prossime puntate se anche il guitto di Rignano sarà travolto o meno da delle ristrutturazioni che, in un senso o in un altro, non sono, classicamente, questione di “se” ma solo di “quando”.

Redazione, 30 settembre 2016

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