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22/09/2016

Donbass: progressi a Minsk e benzina sul fuoco dagli Usa

Sembra che l'ultimo incontro del Gruppo di contatto a Minsk, lo scorso 21 settembre, sulla questione del Donbass, abbia dato qualche frutto. Mercoledì è stato infatti sottoscritto l'accordo quadro sul ritiro delle forze dalla linea del fronte e Kiev ha annunciato che inizierà presto l'allontanamento di reparti e mezzi blindati dalla striscia di contatto tra le parti. La manovra, per cui sono state individuate tre precise “zone pilota” – Stanitsa Luganskaja, Zoloto e Petrovskij, ognuna di 4 kmq – dovrebbe richiedere circa due settimane e sia le forze ucraine, che quelle delle Repubbliche popolari, arretreranno i propri reparti di 1 km dalla linea di contatto. Il processo di ritiro potrà essere interrotto al minimo segnale di violazione del cessate il fuoco per un periodo di prova di sette giorni. E' previsto che, al prossimo incontro del Gruppo di contatto, vengano individuate altre quattro zone e, se i risultati saranno positivi, si procederà con ancora una ventina di aree, fino a coprire tutti i 426 km di fronte. Ogni area in cui verranno sistemate le forze ritirate dal fronte dovrà essere costantemente monitorata da osservatori Osce.

Il rappresentante della DNR al Gruppo di contatto, Denis Pušilin ha dichiarato che l'Ucraina ha dimostrato a Minsk di essere orientata a un dialogo costruttivo. Evidentemente Kiev è stata messa – quantomeno dai tutori europei; altro discorso per quelli d'oltreoceano – con le spalle al muro durante la visita dei Ministri degli esteri di Germania e Francia, Frank-Walter Steinmeier e Jean-Marc Ayrault, che avevano tracciato lo schema di road map per l'attivazione degli accordi di Minsk.

D'altra parte, nelle stesse ore dell'incontro a Minsk, il presidente ucraino Petro Porošenko era a New York e, tra una seduta e l'altra della 71° assemblea generale ONU, è andato a bussare a qualche porta in cerca di dollari. Pare però che, da quei padroni di casa che hanno aperto lo stipite all'ospite appena tollerato – i coniugi Clinton, ma non il candidato repubblicano Donald Trump – Porošenko non sia riuscito a cavare molto più che qualche sorriso e stretta di mano, vuota. L'incontro coi cosiddetti “circoli d'affari” yankee, secondo quanto riporta News-front, pare non abbia dato che scarsi risultati: non è un mistero che le prospettate ulteriori privatizzazioni di quel poco che ancora rimane da arraffare in terra ucraina, siano strettamente controllate dagli oligarchi locali e non c'è dunque scopo di avventurarsi da quelle parti in cerca di fortuna. Così che a Porošenko non è rimasto altro che stendere la mano in cerca di liquidità dalle fonti governative: missione non facile, dopo che l'ex ambasciatore USA a Kiev, Geoffrej Pyatt aveva dichiarato che “il corso della grivna è stabile e le riserve valutarie ci sono”; quindi, cosa vogliono ancora a Kiev? E' già molto che il FMI abbia sganciato il miliardo di $ dei giorni scorsi. E nemmeno sul fronte delle forniture di armi tutto pare filare liscio.

Sempre su News-fron, Svetlana Gomzikova scrive che Porošenko, a New York, si è ridotto a pregare per la vittoria di Hillary Clinton. L'ex direttore della CIA ed ex capo del Pentagono, Leon Panetta, avrebbe illustrato a Kiev quali potrebbero essere i rapporti USA-Ucraina dopo l'8 novembre. Panetta ha lasciato intendere che le speranze di Kiev in un sostegno “contro l'aggressione russa” possono essere riposte solo sulla vittoria della candidata “democratica”. Un pronostico che è facilmente condiviso anche da diversi osservatori russi, i quali sottolineano come, visto il sostanziale fallimento delle sanzioni, l'aperta russofobia clintoniana, che rappresenta la “volontà di dominio globale delle multinazionali statunitensi”, potrebbe esprimersi in un'accentuata spinta a fare dell'Ucraina il bastione principale della contrapposizione a Mosca. Una contrapposizione che può interessare più di una dalle diverse “periferie” della Russia, ma, soprattutto, parrebbe doversi concentrare su una guerra aperta nel Donbass che, tra l'altro, promette buoni affari alle imprese yankee.

Quasi a fare da eco a questi pronostici, la Camera dei deputati USA ha approvato un progetto di legge – “Sulla stabilità e la democrazia in Ucraina” – che, oltre all'inasprimento delle sanzioni antirusse, prevede la fornitura di armi letali a Kiev. Pur se il disegno di legge riveste carattere di “raccomandazione”, è indicativo di come già ora Washington intenda rispondere a quella road map franco-tedesca (senza dubbio concordata con Mosca) che comincia appena a muovere i primi stentati passi, rischiando ogni momento di sbattere la testa nel muro statunitense.

E non aiuta certo l'avvio del cessate il fuoco nemmeno l'appoggio che giunge a Kiev da Varsavia. Dopo la sequela di polemiche estive sulla questione dei massacri in Volinia durante la seconda guerra mondiale e delle pretese territoriali polacche nei confronti dell'Ucraina, il settimanale “NIE” scrive di un reparto di commandos polacchi che sarebbero presenti nelle vicinanze della linea del fronte nel Donbass, equipaggiati di alimenti e soprattutto di armi e munizioni in abbondanza.

Quali siano le reali intenzioni di Kiev rispetto al processo di pace e quali forze interne si scontrino in Ucraina pro o contro la continuazione della guerra, lo testimoniano anche le informazioni secondo cui, parallelamente al “cessate il fuoco” sulla linea del fronte, Kiev starebbe attivando azioni di sabotaggio e di aperto terrorismo nei centri delle Repubbliche popolari. Ne ha parlato il leader della LNR Igor Plotnitskij, accennando anche a non meglio precisate coperture esterne all'azione ucraina, non escluse alcune provenienti dalla Russia.

La strada sembra ancora molto lunga.

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