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21/09/2016

Chomsky: «Vergognosa l’Europa su Siria e Turchia»

Noam Chomsky ospite del convegno «Dice2016» organizzato dall’Università di Pisa: «Gli immigrati migliorano l’economia: è inquietante che in paesi dove il tasso di migranti è alto, il razzismo invece di diminuire, aumenti»

Virginia Tonfoni - tratto da ilmanifesto.info

Noam Chomsky è in questi giorni in Italia ospite del convegno «DICE2016» organizzato dall’Università di Pisa e il Comune di Rosignano «Spacetime-Matter-Quantum Mechanics». Lo abbiamo incontrato in un incontro riservato alla stampa e abbiamo avuto occasione di parlare dello stato politico ed economico mondiale.

Professor Chomsky, qual è la condizione della democrazia statunitense alle porte delle presidenziali?

Parlare dei candidati in termini di popolarità non ha senso, visto la loro impopolarità... ma questo non deve portarci fuori strada, poiché l’insoddisfazione verso le istituzioni negli Stati Uniti è estesa. Se chiedete le impressioni sul Congresso, la maggioranza delle persone vi dirà che sono tutti da mandare a casa: tutti odiano banche, multinazionali, governo etc.

L’unica istituzione che sembra essere sempre rispettata è quella militare. Le ricerche scientifico politiche, non finanziate perché scomode, dimostrano che il 70% della popolazione, che ha il reddito più basso, non trova riscontro effettivo tra le sue attitudini e le posizioni dei suoi rappresentanti politici; come ci spostiamo un po’ più su nello spettro di reddito si ha progressivamente più attinenza, fino ad arrivare a quella frazione dell’1% che non ha bisogno di leggere le scienze politiche perché è perfettamente rappresentata.

Questo genera effetti tremendi, che in Europa conoscete bene, come il crollo dei governi e un violento declino della democrazia che si traducono in disillusione e rabbia e che si mostrano in modi anche piuttosto spaventosi in certi casi: penso al partito neo nazi canadese, alle elezioni in Austria... un po’ la stessa cosa accade anche negli Stati Uniti in misura minore.

Queste elezioni correnti sono sorprendenti: Hillary Clinton è una figura politica mainstrem, è una democratica, ma in altri tempi si sarebbe chiamata una repubblicana moderna: entrambi i partiti si sono spostati molto a destra nel periodo delle politiche neoliberali, divenendo poco riconoscibili.

A proposito del cambio climatico, ogni singolo candidato alle primarie ne nega l’esistenza e perciò non se ne parla più. Donald Trump, invece pensa che dobbiamo incrementare l’uso dei combustibili fossili, specialmente di carbone, eliminare le restrizioni, smantellare la COP21, e rifiutare ogni assistenza ai paesi poveri che tentano di investire nelle energie sostenibili. La sua campagna sta inoltre facendo emergere situazioni analoghe a quelle del nord Europa con episodi di xenofobia, rabbia, paura: la popolazione bianca, che ha una forte tradizione di supremazia bianca, è attraversata però da un inquietante e nuovo fenomeno demografico: c’è un aumento del tasso di mortalità tra i maschi bianchi della classe lavoratrice (35-55 anni) e questo non era mai accaduto in un paese sviluppato e non in guerra... Non è così semplice risalire da questa situazione.

C’è relazione tra il crollo dei grandi modelli culturali, come quello raccontato nel suo documentario «Requiem for the American Dream» e la crescente xenofobia?

Sì, anche in Europa. Un paio di giorni fa la Merkel ha subito un duro colpo nelle regionali da un partito di ultra destra; la Danimarca è un paese con una percentuale credo pari all’1% di popolazione migrante e sta letteralmente collassando poiché l’idea che qualsiasi cosa possa interferire con la loro purezza è inaccettabile. Quando mi riferisco al crollo del sogno americano alludo a problemi sociali ed economici molto rilevanti per la classe operaia, i cui salari sono uguali a quelli di 40 anni fa; nonostante la crescita del PIL, negli ultimi 15 anni il 95% della ricchezza prodotta è andata nelle tasche di appena l’1% della popolazione.

Gli Stati Uniti sono il paese più ricco del mondo, ma se consideriamo il Pil rispetto alle misure di giustizia sociale, nelle statistiche dell’Ocse, il loro posto è molto in basso, alla stregua di paesi come la Grecia e la Turchia. Non ci sono ammortizzatori sociali, i salari sono bloccati e i lavori diventano temporanei invece che permanenti. Si perdono lavori nell’industria manifatturiera in parte per i progressi tecnologici e in parte perché le multinazionali scelgono di produrre all’estero dove i salari sono più bassi.

Ma gli immigrati non c’entrano, anzi migliorano lo stato dell’economia: lavorano, pagano le tasse, in qualche caso investono. Per questo è inquietante che in paesi europei come la Germania, dove il tasso di migranti è alto, il razzismo invece di diminuire, aumenti.

Quali sono i rischi per la ricerca scientifica nel mondo contemporaneo?

La scienza negli stati totalitari corre dei rischi molto seri, ma anche in altri ambiti ci possono essere forti limitazioni, a volte molto difficili da superare. Negli Stati Uniti, per esempio, ci sono barriere per quanto riguarda la ricerca sulla cellule staminali, soprattutto barriere culturali e sociali. In campi più affini alla ricerca scientifica il contenzioso politico è molto più evidente, ad esempio nel dibattito sul cambio climatico, che riguarda tutti: il partito repubblicano si limita a negare la sua esistenza.

Lamar Smith, un rappresentante repubblicano, cristiano evangelico, assilla gli scienziati richiedendo loro di fornire i tabulati delle loro mail tra colleghi, in cerca di una traccia di cospirazione, che tagliando il consumo di combustibili fossili, distruggerebbe l’economia. Anche nelle scienze politiche, come in quelle politico-sociali, le ripercussioni possono essere molto importanti; le ricerche sulle relazioni tra opinione pubblica e politiche pubbliche, come dicevo, non sono quasi mai finanziate, visto che portano spesso alla scomoda conclusione che l’opinione pubblica è poca cosa in politica.

Il 24 settembre si terrà a Roma una grande manifestazione di solidarietà contro l’attacco di Erdogan al popolo curdo; qual è la sua opinione al riguardo?

Il conflitto risale agli anni ’90: migliaia di persone uccise, centinaia di villaggi distrutti, centinaia di migliaia di persone fuggirono e tutte queste operazioni sono state appoggiate dagli Stati Uniti e paesi Nato. Tra le orribili atrocità ci furono anche processi sommari, come quello al mio editore del tempo, per un mio libro in cui erano contenute 5 pagine sulle repressioni in Turchia.

Dopo un momento di maggiore tolleranza – uno dei miei ultimi viaggi è stato per un intervento in memoria del coraggioso editore Hrant Dink che voleva far luce sul massacro degli armeni e che fu ucciso – nell’ultimo anno la repressione si è accentuata: ci sono stati attacchi contro la popolazione curda, centinaia di intellettuali sono stati minacciati, licenziati, imprigionati; gli attacchi in Siria, teoricamente contro l’Isis, si sono dimostrati rivolti ai curdo siriani per impedire loro il controllo del confine con la Turchia.

È un conflitto molto aspro che non accenna a migliorare ed è vergognosa la poca attenzione dell’Europa, dovuta probabilmente alle negoziazioni ciniche che sta portando avanti per tenere lontani i profughi siriani. Gli Usa hanno accolto 10.000 profughi, un numero esiguo che rivela la profonda crisi morale di tutti i paesi occidentali: gli stessi, Italia inclusa, che hanno creato le condizioni per questo conflitto, che hanno fornito armi e copertura diplomatica.

In termini di responsabilità, è una crisi umanitaria davvero molto pesante per i paesi Nato.

15 settembre 2016

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