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23/08/2016

Tre leader in barca, ma con i cannoni

Il vertice a tre, a bordo di una portaerei – l'unica, per l'Italia – ha confermato le più facili e peggiori previsioni. Da un lato la retorica seul'”Europa unita”, nonostante la Brexit, dall'altra interessi divergenti che appaiono giorno dopo giorno meno ricomponibili.

La retorica è stata la chiave scelta, ancora una volta e molto “italianamente”, dal governo Renzi. Ventotene come fondale per le inquadrature fotovideo, esattamente come la stazione Ostiense, costruita a tempo di record nel 1938, per mostrare ad Hitler una “potenza” italica che non aveva molto da offrire oltre alla facciata “romana”. Questo è un governo in crisi, quindi si è risparmiato – nessuna nuova costruzione, solo un viaggetto in elicottero e nave – speculando oltre ogni decenza su un simbolo deriso nei fatti. L'unica spesa vera è stata la fiction commissionata alla Rai dei fidi Campo Dall'Orto e Monica Maggioni (una pioniera del giornalismo embedded, nella prima guerra all'Iraq), sui poveri tre confinati che sognavano l'Europa unita. Fondali e narrazione, null'altro.

Di risultati è difficile persino parlare, visto che nemmeno in conferenza stampa – davanti a una platea di cronisti mai come questa volta embedded (selezionati per esse ammessi sulla portaerei) – i tre leader di Italia, Francia e Germania sono riusciti a nascondere uno spirito “nazionalistico”, più che europeo-solidale.

Del resto, mettere riparo allo sbrego reale, oltre che simbolico, creato dalla Brexit non è affatto facile. Soprattutto per una costruzione oppressiva – l'Unione Europea, una macchina burocratico-amministrativa – che poco ha da spartire con l'Europa delle utopie. Costruzione che dunque si trova quasi costretta a non cambiare alcunché sul piano economico-normativo proprio nel momento in cui la prima, rilevantissima, defezione mostra l'insopportabilità sociale di quanto fin qui realizzato.

Se ne è avuta una prova immediata nel bislacco sì-però-no tra Renzi e la Merkel. Con il primo a insistere sulla “flessibilità” per i conti pubblici nazionali in vista della legge di stabilità (si punta a guadagnare un margine minimo di 10 miliardi, ha ammesso il viceministro dell'economia Morando), e l'altra a ricordare che nei trattati ce n'è già quanto basta. Il distinguo non è affatto secondario, perché a Bruxelles questa “flessibilità” è considerata una tantum, e quindi già sfruttata dal governo Renzi nel 2015. Chiederla di nuovo, insomma, non sarebbe permesso, ma basta non alzare troppo la voce – anche Angela Merkel è pericolante, in vista delle elezioni 2017 tedesche – e magari un via libera a mezza bocca potrebbe anche arrivare (come per Spagna e Portogallo, completamente fuori dai parametri di Maastricht, ma “perdonate” in vista di scadenze elettorali difficili per i governi “europeisti”).

E proprio per ottenere questa “flessibilità” contabile il contafrottole di Rignano sta finendo di mettere a punto l'ennesima mazzata contro i lavoratori di questo paese: la detassazione dei contratti di secondo livello, quelli aziendali, in modo da annullare i contratti nazionali di lavoro.

Da quando sono stati istituiti, infatti, i contratti nazionali costituiscono una sorta di “difesa minima” per i lavoratori delle aziende più piccole o meno sindacalizzate, dove non esistono i le condizioni per una “contrattazione” vera e propria. Le regole sul salario e sulle condizioni di lavoro medie, insomma, vengono contrattate a livello nazionale (tra sindacati e Confindustria), lasciando ovviamente spazio ai contratti aziendali per aggiustamenti o miglioramenti a seconda dell'impresa. Sono oramai decenni che i contratti di secondi livello non prevedono alcun “miglioramento”, ma soltanto “aggiustamenti pro azienda”, come l'aumento dei turni di lavoro (il notturno è ormai dilagante anche nella grande distribuzione commerciale).

Azzerare il contratto nazionale significa – come già avvenuto con l'abolizione dell'art. 18 – consegnare il lavoratore singolo, nudo e indifeso, nella mani dell'azienda. Un solo esempio sarà sufficiente: la più grande azienda italiana è forse ancora la Fiat-Fca, non a caso uscita dal sistema Confindustria ai tempi del “modello Pomigliano”, e neanche in quella i lavoratori riescono più a contrattare qualcosa. Figuriamoci cosa può avvenire in tutte le altre imprese con meno dipendenti...

Bene. Una misura strutturale del genere – tendenzialmente perpetua – è vista dal governo Renzi come “contropartita” per ottenere flessibilità temporanea (un altro anno, al massimo) sui conti pubblici. C'è bisogno di altri esempi per trovare conferma di che pasta sia fatto questo governo? O meglio, a quali interessi – nazionali e multinazionali – risponda?

Gli altri argomenti del vertice si riducono tutti a dichiarazioni spot (come sull'immigrazione, con il ministro Alfano a giurare che i migranti saranno dirottati in Germania a partire dalla prossima settimana…), tranne che sul piano militare e della “sicurezza”.

Un po' poco per “ridisegnare il futuro dell'Unione Europea”. E soprattutto qualcosa di segno opposto rispetto al “sogno di Ventotene”.

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