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31/08/2016

Le “priorità” dei paesi Baltici

Nemmeno al terzo tentativo, ieri pomeriggio, il Riigikogu, il Parlamento estone è riuscito a eleggere il nuovo Presidente della repubblica. Nessuno dei tre candidati ha raccolto i 68 – 2/3 dell'assemblea – voti necessari. Entra dunque in scena il Collegio degli elettori che comprende, oltre ai 101 deputati, anche 234 rappresentanti di enti locali e che dovrà riunirsi nel giro di un mese per decidere tra i due candidati – Siim Kallas e Mailis Reps – che all'ultimo turno parlamentare di ieri hanno raccolto il maggior numero di voti (rispettivamente 42 e 26), più altri candidati che il Collegio stesso può ora proporre. Anche nella votazione del Collegio, se al primo turno nessun candidato avrà raggiunto il 50%+1, per il secondo turno rimarranno in corsa i due candidati col maggior numero di suffragi. Se nemmeno in quel caso ci sarà fumata bianca, entro due settimane l'intera procedura ricomincerà da capo in Parlamento. Dal momento della “indipendenza” (dall'Urss) il presidente estone è stato eletto dal Parlamento nel 1992 e 2011, mentre nel 1996, 2001 e 2006 dal Collegio degli elettori.

Se tanta difficoltà pare incontrare il Riigikogu a concentrare su un nome i 68 voti necessari all'elezione presidenziale, con pari facilità il Tribunale circondariale della capitale estone è riuscito a confermare la sentenza emessa due anni fa dal Tribunale amministrativo sul divieto di usare la lingua russa nei ginnasi russi Haabersti e Tonismae di Tallin, come richiesto dalle relative direzioni didattiche. Tra il 2013 e il 2015 istanze simili erano state presentate da cinque ginnasi di Narva e altri 10 di Tallin. Alle direzioni scolastiche rimane ora l'ultima alternativa per ottenere soddisfazione: rivolgere istanza al Tribunale europeo per i diritti dell'uomo.

La questione della lingua russa pare un'afflizione comune ai paesi Baltici, tanto che il Ministro degli esteri lettone Edgars Rinkēvičs ha addirittura chiesto all'ambasciata USA a Riga di non usare contemporaneamente il lettone e il russo nei social network, perché ciò può dar l'impressione che “nel paese ci siano due lingue ufficiali e questo porta alla legalizzazione informale di ciò contro cui abbiamo votato nel referendum del 2012”. L'ambasciata USA ha promesso di correggere la prassi precedente, forse per timore di incorrere nella stessa multa inflitta dal Centro per la lingua di stato al sindaco di Riga Nils Ušakov, “reo” di aver usato il russo per le comunicazioni del Consiglio municipale su Facebook, Twitter e Instagram.

E per ribadire il proprio credo autarchico, a Limbaži, una novantina di km a nordest di Riga, i nazionalisti lettoni della Apvienība "Tēvzemei un Brīvībai"/LNNK (Unione conservatrice “Per la patria e la libertà”) hanno smontato dal basamento il monumento ai marinai sovietici che perirono nella difesa della città nel luglio 1941. Nella Lettonia della istituzionalizzazione della “Legione volontaria SS lettone”, non è questa una novità. Il fatto “nuovo” è che le autorità locali, pur dando il benestare ufficiale e contribuendo con macchinari e finanziamenti allo smontaggio, quasi vergognandosi del gesto, hanno poi dichiarato che esso si è reso necessario perché il monumento era instabile e costituiva un pericolo per i bambini del vicino asilo. In ogni caso l'ambasciata russa a Riga ha indirizzato una nota al Ministero degli esteri lettone in cui si ricorda che, in base all'accordo del 1994, la Lettonia si è assunta l'onere della conservazione dei monumenti sul proprio territorio.

Per dare anche il contributo lituano alla “indipendenza” baltica, il Ministero degli esteri di Vilnius ha levato la propria voce per la continuazione e il possibile inasprimento delle sanzioni UE contro la Russia. Ciò, dopo che sia il premier slovacco Robert Fico, sia la dirigenza ungherese che il presidente ceco Miloš Zeman si erano espressi per l'eliminazione delle sanzioni. E perché tale “indipendenza” sia meglio garantita, è già stato individuato il sito in cui, a partire dalla prossima primavera, verrà dislocato il battaglione Nato destinato alla Lituania: la cittadina di Rukla, (circa 90 km a nordovest di Vilnius) sede della brigata di fanteria motorizzata Gelezinis vilkas. Il battaglione di 4.000 uomini, a guida tedesca, sarà composto di militari norvegesi, croati, francesi e del Benelux. La formazione degli altri battaglioni Nato da dislocare in Polonia, Estonia e Lettonia, come deciso al vertice Nato del luglio scorso a Varsavia, è curata da Gran Bretagna, Canada e USA.

Del resto, le priorità occidentali erano state ribadite pochi giorni fa dal vice presidente USA Joe Biden, incontratosi a Riga coi presidenti di Lettonia, Estonia e Lituania, Raimonds Vējonis, Toomas Hendrik Ilves e Dalia Grybauskaitė: “Mosca deve tener presente” aveva detto Biden, “che la Nato è pronta alla difesa collettiva. Non ci deve essere alcun dubbio sull'applicazione del quinto paragrafo dello statuto Nato. L'attacco a uno, è l'attacco a tutti. Vogliamo che Mosca sappia che noi abbiamo in mente proprio quello di cui parliamo”. La questione era sorta dopo le dichiarazioni di Donald Trump il quale, a differenza di Hillary Clinton – “la Nato è uno degli investimenti di più successo nel futuro” – aveva messo in discussione addirittura l'esistenza stessa dell'Alleanza atlantica, diventata troppo dispendiosa per gli USA e aveva spaventato gli alleati “morosi” con la minaccia per cui “se non ci rimborseranno adeguatamente le somme enormi che spendiamo nella difesa di altri paesi, sono assolutamente pronto a dire a tali Stati: mi congratulo, d'ora in poi vi difenderete da soli”. Qualcuno nel Baltico, consapevole della propria economia azzoppata, aveva inteso che Trump si riferisse proprio a lui.

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