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22/08/2016

Hande Kader, l’assassinio d’un simbolo

Nella Turchia morente per stragi o per il tiro al bersaglio di sicari di partito e di Stato, non poteva mancare l’assassinio della trans. Per il maschilismo sempiterno, il perbenismo censore, la proiezione criminale che usa e abusa, distrugge e getta via. Così il cadavere mutilato e bruciacchiato di Hande Kader è stato rinvenuto in una zona bene della Istanbul dai cento volti. Hande era una trans molto nota nel Paese, assurta a simbolo di un movimento Lgbti (lesbian, gay, bisexual, transgender, intersex). L’avevano fotografata mentre s’opponeva agli idranti della polizia quando a giugno provava a manifestare contro la repressione poliziesca del Gay Pride. L’avevano fermata e malmenata. Come altre attiviste chiedeva libertà per le proprie scelte sessuali e dignità per la persona, e rivolgeva queste richieste a un regime ossessionato dal pensiero unico nel pensare, parlare, pregare, comportarsi, vestirsi. Hande era scomoda per la caparbietà con cui inseguiva il desiderio diventato volontà d’esprimere e vivere il proprio mondo. La sua eliminazione è di per sé un omicidio politico, specie in un sistema che insegue con foga modelli uniformanti e vuole imporli a tutti.

Ma questo sistema non veste solo il minimalismo degli spezzati presidenziali o il velo che da contrassegno si trasforma in imposizione di ritorno rispetto ai precedenti dogmi kemalisti. Rappresenta un’idea criminale e violenta ampiamente diffusa nelle società che puntano il dito sulle altrui vergogne, che divulgano omologazione e supremazia sessuale tramite i propri brand, di cui l’Occidente e certi “made in” vanno fieri. Non è un caso che nella graduatoria dell’infamia assassina, monitorata negli ultimi sette anni, la Turchia preceda con 41 omicidi di trangender l’Italia che ne segna 33. Se poi s’inseguono le tristi cronologie del femminicidio i numeri vanno in tripla cifra. Ieri lungo l’Istikal Caddisi di Istanbul duecento attiviste del movimento Lgbti chiedevano giustizia per quest’ennesimo misfatto, che è di regime ma pure di popolo. Di quella grossa fetta di popolo maschio e maschilista che ritiene gli altri generi inferiori a sé e comunque li utilizza. Erano duecento, determinate ma solo duecento. Forse anche perché fra gli oppositori di Erdoğan, ogni tipo d’oppositore, queste battaglie sono ritenute secondarie rispetto ad altre lotte. E, come da noi, risultano meno importanti. Come le vite delle tante Hande che se ne vanno.

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