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27/07/2016

Turchia - Dopo il golpe si pensa ad una nuova costituzione

Il governo turco è pronto a lavorare con i principali partiti di opposizione per scrivere una nuova costituzione. A riferirlo alla stampa è stato ieri il premier turco Binali Yildirim dopo il vertice tra il presidente Erdogan e i leader del partito repubblicano (Chp) e quello nazionalista (Mhp). Nel frattempo, ha però spiegato, “ci sarà un piccolo cambiamento per rimuovere gli ostacoli [presenti] nel testo”.

La modifica dell’attuale costituzione (che risale al 1980 dopo il golpe militare) è da tempo il principale obiettivo di Erdogan che vuole trasformare il Paese in una repubblica presidenziale dove il capo dello Stato potrà godere di molti più poteri di quelli che ha attualmente.

L’incontro di ieri tra Erdogan, il Chp e l'Mhp è stato giudicato “produttivo e storico” dal premier: i tre avrebbero concordato su alcuni “modifiche” da fare soprattutto per ciò che concerne la parte giudiziaria. “Abbiamo visto che la pensiamo in modo simile per ciò che concerne le misure necessarie da prendere a breve termine [per evitare un futuro golpe] e [in futuro] per una nuova costituzione” ha detto alla stampa Yildirim. “In particolare – ha aggiunto – un emendamento in piccola scala del testo costituzionale potrà avvenire attraverso un accordo reciproco così da rimuovere le conseguenze negative derivanti dal collasso del sistema”.

Il premier ha aperto anche al partito di sinistra filo curdo (Hdp): “Non c’è alcun limite, possono partecipare ai lavori”. Eppure ieri il suo leader Selahattin Dermitas non è stato invitato a prendere parte all’incontro con Erdogan. “Continuare ad escluderci dalle politiche turche, specialmente dopo il tentato golpe, è insensato” aveva lamentato Dermitas intervistato dal quotidiano turco Cumhuryet . “L’Akp [il partito di Erdogan, ndr] – ha spiegato – è arrabbiata personalmente contro di noi perché, in definitiva, siamo l’unica forza di opposizione che ostacola il suo potere. Ecco perché prova ad associarci alla violenza”.

Mentre il processo politico muove i suoi primi passi, continuano le purghe di Ankara. Ieri le autorità turche hanno fermato altri 40 militari ed emesso un mandato di arresto nei confronti di 42 giornalisti. Secondo quanto riferisce la Cnn Turk, anche quest’ultimi infatti sarebbero sospettati di essere coinvolti nel golpe. Oggi, invece, a finire in manette sono stati l’ex governatore di Istanbul ai tempi di Gezi Park, Huseyn Avni Mutlu, ma soprattutto il General Maggiore Mehmet Cahit Bakir e il Brigadier generale Sener Topuc. I due, fermati a Dubai dai servizi di sicurezza emiratini, sono stati deportati in Turchia per essere interrogati. Bakir e Topuc, due importanti figure dell’esercito che operavano in Afghanistan, si aggiungono alla lista delle oltre 13.000 persone arrestate da quando è stato sventato il golpe (tra questi vi sono 100 generali).

La campagna mediatica di Ankara contro il religioso Fetullah Gulen – ritenuto da Erdogan la mente del colpo di stato del 15 luglio e capo di uno “stato parallelo” – sembra convincere la maggior parte dei turchi. In uno studio effettuato del sondaggista Andy-Ar, infatti, i due terzi della popolazione turca (64,4%) credono che sia stato proprio il religioso in esilio negli Usa ad aver pianificato il putsch. Solo il 3,8% e il 3,6% ritiene che ad aver organizzato il golpe siano stati rispettivamente gli Stati Uniti e non meglio precisate “forze straniere”. Dalle pagine del New York Times, Gulen prova a difendersi attaccando Erdogan. Dopo aver ribadito la sua condanna “verso tutte le minacce alla democrazia” e di aver sempre “denunciato pubblicamente e privatamente gli interventi militari nelle politiche interne” degli stati, il predicatore ha attaccato il presidente per il suo tentativo “sistematico e pericoloso” di portare il paese ad un governo “di un solo uomo al comando”. “In Turchia – ha scritto Gulen – lo spostamento del governo di Erdogan verso la dittatura sta polarizzando la popolazione lungo linee settarie, politiche, religiose ed etniche fomentando così i fanatici”.

Ma Erdogan, forte dei sondaggi e legittimato dal sostegno di forze (teoricamente) di opposizione come il Chp e il Mhp, tira dritto per la sua strada e, dagli schermi televisivi della rete tedesca Ard, ha attaccato ieri l’Unione Europea perché avrebbe trasferito solo 2 milioni dei 3 previsti dall’accordo sui rifugiati. Il presidente è stato irriverente quando ha ribadito la possibile reintroduzione della pena di morte perché “se siamo in uno stato democratico, allora deciderà il popolo”. Ma il sultano lavora anche per ripristinare i suoi legami con Mosca dopo la rottura di novembre 2015 in seguito all’abbattimento turco in Siria di un jet russo: il prossimo 9 agosto volerà a Mosca dove incontrerà il suo pari russo Vladimir Putin.

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