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27/06/2016

Torino: il declino di un modello

La vittoria di Chiara Appendino e del Movimento 5 Stelle alle ultime elezioni comunali di Torino ha costituito certamente l’avvenimento che ha destato maggior sorpresa nell’ultima tornata elettorale. La ricandidatura di Piero Fassino sembrava destinata a continuare il più che ventennale governo di centro-sinistra della città (con due giunte a testa per Valentino Castellani e per Sergio Chiamparino, più una per Fassino). Se da un lato questa vittoria si inserisce in un contesto nazionale in cui il voto delle amministrative ha espresso un generalizzato sentimento di rifiuto nei confronti del governo Renzi, dall’altro è impossibile comprendere la vittoria dell’Appendino se non si capiscono le dinamiche di sviluppo locale dell’ex “factory town” italiana.

Per fare questo è utile recuperare l’interessante teoria formulata da David Harvey per cui il capitale produce una propria spazialità e questa spazialità è dinamica. Se da un lato il capitale si “fissa” producendo una conformazione geografica particolare, essa però non è destinata a durare nel tempo[1]. Gli investimenti una volta persa la loro redditività cercano un diverso assetto e si spostano in differenti regioni lasciando le zone precedenti in stato di crisi e abbandono. La “distruzione creativa” che il capitale porta da sempre con sé è evidente in una città come Torino (cosi come la sua gemella americana Detroit) definita nel 2013 “capitale degli sfratti” e flagellata dalla disoccupazione (quella giovanile è tra le più alte d’Italia)[2]. Lo storico economico Giuseppe Berta ha usato una metafora efficace per descrivere il dualismo centro-periferia che si è venuto a creare nel corso degli ultimi decenni: “C’è un tram, il numero 3, parte dalla bella pre-collina borghese e arriva alle Vallette, periferia estrema. Il tram numero 3 è il viaggio in una società segmentata da cui vedi cambiare scenario in poche centinaia di metri. Un epidemiologo ha calcolato che la speranza di vita di uno che abita in pre-collina è di 7 anni superiore a quella di uno che sta al capolinea, alle Vallette”[3]. Non è un caso che il Movimento 5 Stelle abbia iniziato la sua battaglia nelle periferie, e nelle periferie l’abbia poi vinta (come è evidente dalla distribuzione dei voti non solo al secondo ma già al primo turno).

Sappiamo bene che questa situazione è in larga parte dovuta al lento processo d’esaurimento della produttività degli stabilimenti FIAT che avevano modellato quegli spazi urbani e definito con lo stabilimento di Mirafiori (e la sua immensa concentrazione operaia) la politica e l’economia non solo cittadina ma nazionale. La lenta parabola di questa città è in qualche modo paradigmatica del passaggio da quella configurazione sociale definita fordismo ai processi odierni di accumulazione flessibile. La strategia di diversificazione economica interna al gruppo FIAT, conduce quest'ultimo a perdere di vista, come notava giustamente Luciano Gallino, il proprio core-business ovvero la produzione di auto[4]. Inseguendo volatili investimenti finanziari e attività sussidiarie e delocalizzando parte ingente della produzione l’occupazione garantita da questa azienda (direttamente e tramite l’indotto) crolla vertiginosamente.

Il tentativo delle giunte di centro-sinistra di sostituire un modello di sviluppo basato sull’industria con uno basato sul turismo, l’edilizia e i grandi eventi ha avuto successo solo per gli abitanti del centro (che infatti in maggioranza hanno votato per confermare la giunta in carica). Il centro di Torino è ad oggi uno dei più belli in Italia e il turismo è in continua crescita, ma questo non basta a recuperare i livelli occupazionali pre-crisi né a diminuire le file davanti alle mense dei poveri. Le olimpiadi hanno lasciato in eredità soprattutto debiti, e contribuito ad alimentare un sistema (il Sistema Torino di cui ormai si parla apertamente dopo che per anni se n’è negata finanche l’esistenza) costituito da un conglomerato di fondazioni bancarie, cooperative ex “rosse” e partecipate comunali. Il Sistema Torino si è pesantemente schierato con Fassino nel corso della campagna elettorale, salvo poi tentare velocemente di riposizionarsi a seguito della sua fragorosa sconfitta (si vedano in merito le dichiarazioni del presidente di Intesa SanPaolo Salza e di John Elkan, presidente di FIAT-FCA). Bisognerà vedere adesso se la giunta a guida 5 Stelle avrà la forza di cambiare questo modello di sviluppo e i potentati ad esso collegati, o se si limiterà ad una gestione dell’esistente magari più trasparente ma incapace di incidere davvero sul declino di quella che è stata la capitale industriale italiana.

Note:
[1] Teoria dello “Spatial Fix” riassunta in D. Harvey, Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo pp. 150-166

[2] Dati riportati in: http://ilmanifesto.info/linvisibile-popolo-dei-nuovi-poveri/ e qui: http://www.lastampa.it/2014/10/13/cronaca/disoccupazione-giovanile-a-torino-il-record-del-nord-QwLSQGdeJriKRyLr9CRUDP/pagina.html

[3] Intervista alla Stampa del 21 Giugno 2016.

[4] Luciano Gallino, La scomparsa dell’Italia Industriale pp. 82-89


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