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30/06/2016

Siria: gli Usa non vogliono la fine della guerra

“Quest’anno l’estate sarà particolarmente “rovente” in tutto il territorio siriano”. Con questo titolo è uscito un editoriale del quotidiano libanese Al Akhbar legato ai numerosi fronti di combattimento in tutto il territorio siriano. Sicuramente lo scontro principale è nella parte settentrionale del paese vicino alle città di Aleppo, principale centro logistico del Fronte Al Nusra (Al Qaida), ed a quella di Raqqa, capitale dell’autoproclamato Stato Islamico. Altrettanto cruciali per importanza strategica sono però gli altri due fronti di combattimento: nella parte centro orientale del paese in prossimità della città di Deir Ezzor, ultima roccaforte di Daesh (ISIS) e fondamentale crocevia per i collegamenti con il territorio iracheno, e quello nel suo meridione nei pressi della città di Deraa.

Dopo l’intervento russo nel settembre 2015 le sorti della guerra sembravano notevolmente tendere in favore delle forze lealiste. Bisogna anche dire che la scelta di Putin di sospendere le operazioni militari russe in Siria, dal febbraio 2016, per favorire una tregua, aveva lasciato perplessi i suoi principali alleati nel paese: Iran ed Hezbollah per primi. Il governo russo aveva, però, da subito chiarito quale era il suo principale obiettivo: ristabilire un equilibrio sul campo per favorire il regime di Al Assad negli accordi di pace e mantenere le proprie basi, strategiche per la zona del mediterraneo, visto il continuo accerchiamento dell’alleanza NATO verso oriente. Lo stesso si può dire per quanto riguarda la volontà di non opporsi militarmente agli USA, ad Israele ed alla stessa Turchia, nonostante l’incidente del velivolo russo abbattuto dalle forze turche.

Dalla sua entrata in vigore, però, le cose non sono andate come il governo russo aveva previsto. Dopo appena un mese l’amministrazione statunitense non ha rispettato gli accordi legati ad una separazione nel supportare i gruppi “moderati” ribelli, (principalmente quelli legati all’Esercito Siriano Libero – ESL) da tutte quelle milizie legate ad Al Qaida. In Aprile le forze sostenute dagli americani, i jihadisti come Ahram al Sham e Al Nusra (Al Qaida) si sono alleate per sferrare un nuovo attacco per conquistare tutta la regione di Aleppo. Nonostante due risoluzioni delle Nazioni Unite per “combattere Al Qaida in Siria come lo Stato Islamico”, il governo statunitense ha sempre richiesto ai russi di non bombardare il fronte Al Nusra. La motivazione era legata al fatto che “non è possibile separare gli alleati moderati dai jihadisti” e che un attacco avrebbe inevitabilmente colpito gli “amici” del governo americano, come denunciato più volte dal governo russo. In una sua intervista, durante il recente Forum Economico di San Pietroburgo, il ministro degli esteri russo, Lavrov, ha ufficialmente dichiarato che “gli americani dicono che hanno bisogno di alcuni mesi perché non riescono a separare i loro alleati “moderati” dai gruppi jihadisti, anche se penso che sia una tattica per mantenere ancora un legame con Al Nusra e usarlo poi in seguito per rovesciare il regime di Assad”. La stessa stampa occidentale, come il giornalista tedesco Jurgen Todenhofer primo inviato occidentale ad essere accolto a Raqqa dall’ISIS, ha più volte evidenziato come gli USA giochino su “più tavoli” ed appoggino “diversi gruppi, anche jihadisti, pur di rovesciare il regime siriano”, senza tener conto che una numerosa parte delle milizie armate dalla CIA ha poi raggiunto i diversi gruppi islamici come Al Nusra o Daesh.

Con gli accordi di pace inter-siriani sempre più impantanati ed il mancato impegno Usa nel combattere la galassia jihadista presente in territorio siriano, il governo russo ha preso sempre più coscienza della volontà statunitense di non rispettare la tregua. Le stesse rilevazioni aeree russe hanno documentato l’ingresso indisturbato di centinaia di miliziani di Al Qaida, attraverso il confine turco, diretti verso Aleppo. Lo stesso sostegno Usa nei confronti dei combattenti curdi dell’YPG o la creazione delle Forze Democratiche Siriane (insieme ad arabi e turcomanni) ha lo scopo di indebolire non solamente lo Stato Islamico, ma anche le forze lealiste: siriani, iraniani ed Hezbollah.

L’obiettivo di conquistare parte del territorio siriano, Raqqa compresa, e di costituire una zona indipendente curda, sotto tutela statunitense e francese, ha proprio la “finalità di smembrare lo stato siriano e di indebolire il regime di Assad” come ammesso dalle fonti CIA sul New York Times. Anche da questo punto di vista le cose però non sono andate come gli americani avevano programmato. La Turchia, pur di contrastare le milizie curde, ha tentato di chiudere parte dei rifornimenti di armi ai gruppi ribelli ed ha tentato un riavvicinamento con il governo russo. Le stesse forze curde e arabe hanno da subito avuto diversi motivi di frizione ed hanno evidenziato una certa incompatibilità principalmente per due motivi. Il primo è legato alla diffidenza degli arabi e dei turcomanni, sostenuti dal governo turco, nei confronti delle aspirazioni curde visto che coinvolgerebbero anche una parte di territorio non propriamente appartenente al Kurdistan siriano. C’è, inoltre, una differenza sostanziale tra i due fronti: i gruppi arabi delle FDS vogliono la caduta del regime, mentre quelle curde intendono consolidare la loro zona di controllo nel nord del paese per poi ottenere una maggiore autonomia anche, eventualmente, con Bashar Al Assad. Il secondo, invece, è legato ai rapporti di curdi e arabi con Damasco e la Russia. In diverse occasioni, infatti, i gruppi ribelli arabi hanno accusato le forze curde dell’YPG di aver combattuto insieme alle truppe lealiste e russe nella regione di Aleppo.

Come nel settembre del 2015 e nel febbraio 2016, il governo russo ha nuovamente sorpreso sia i suoi alleati sia il governo Usa. Lo stesso Lavrov ha dichiarato che “la pazienza russa è finita... la strada per una tregua ed una pacificazione del conflitto attraverso la diplomazia è ormai difficile vista la continua azione di disturbo del governo americano che mira con qualsiasi mezzo a far cadere il regime siriano”.

Il cambio di strategia e l’approvazione di un nuovo intervento è stato sancito il 9 giugno a Teheran nella riunione a tre con la partecipazione dei ministri della difesa di Russia, Iran e Siria. Subito dopo il summit il governo russo ha “annunciato la ripresa delle azioni militari di terra ed aeree su tutto il territorio siriano e su qualsiasi gruppo ribelle al regime”. Dopo poche ore, infatti, l’aviazione russa ha sferrato numerosi attacchi su Aleppo, Raqqa, Deir Ezzor e Deraa.

La scorsa settimana è stato confermato, invece, l’attacco nella zona di confine con la Giordania (città di Tanf) che aveva come obiettivo un campo di addestramento di milizie ribelli sostenute dagli USA. Il portavoce del Cremlino, Dimitri Peskov, ha dichiarato ironicamente che “è difficile distinguere tra i diversi gruppi ribelli quelli moderati dagli altri”. Il messaggio, sintetizzato dall’agenzia stampa russa Sputnik, è stato: “dovete finire con gli inganni e dividere subito le milizie che appoggiate da quelle jihadiste, perché altrimenti tutti i vostri effettivi ed i vostri alleati diventeranno un obiettivo per i caccia russi”.

Da quanto riportato dal giornale Al Akhbar, l’obiettivo statunitense era utilizzare le milizie del campo di Tanf per conquistare parte del territorio meridionale, fino a Deir Ezzor, e insediare una zona di influenza arabo-sunnita ribelle per indebolire ulteriormente il regime.

Appare, infine, nuovamente rinvigorita l’alleanza tra lealisti siriani, iraniani, Hezbollah e russi. Le truppe della coalizione sembrano, infatti, aver resistito ai nuovi attacchi sia ad Aleppo che a Deraa portati avanti dal fronte Al Nusra e dai suoi numerosi alleati. Lo stesso si può dire per la battaglia di Raqqa, dove sia le forze lealiste che quelle curdo-arabe hanno rallentato la loro avanzata verso la capitale dello Stato Islamico. Anche in questo caso l’obiettivo di dividere il territorio siriano è stato in parte ostacolato con l’avanzata lealista da ovest e la conquista di territori strategici per il controllo dell’area. Le sorti della guerra sono ancora incerte e di difficile previsione. L’unica certezza è che sarà un’estate “rovente” in Siria, come purtroppo avviene da più di cinque anni a questa parte.

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