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23/06/2016

L’opposizione moltiplica violenze e saccheggi per creare il caos in Venezuela

Negli ultimi giorni in molte città del Venezuela, in particolare negli stati di Sucre e di Zulia, alcuni settori dell’opposizione, appoggiati dalla rete di televisioni private, hanno, in un primo momento, fomentato il risentimento della popolazione per la mancanza dei generi alimentari, che le fabbriche sviano per alimentare il contrabbando. Subito dopo, sono cominciate le proteste davanti ai supermercati e i negozi che vendono i prodotti alimentari con i prezzi controllati dal governo, istigando i settori popolari più poveri al saccheggio puro e semplice. Nello stesso tempo gruppi organizzati si dedicavano alla distruzione fisica dei negozi e dei suddetti supermercati.

Stranamente l’inaudita violenza dei saccheggi non ha toccato quei negozi che sono legati ai gruppi di contrabbandieri e dei “Bachaqueros (1). Un elemento che le televisioni e i giornali europei e statunitensi, evidentemente, tacciono preferendo l’immagine del caos generalizzato, per fare un’errata comparazione storica con il Caracazo (2).

In effetti l’esplosione dei saccheggi, i pestaggi dei negozianti e gli scontri con la polizia, dopo quasi un mese di calma, non sono avvenuti per caso. Sono, invece, la risposta violenta dell’opposizione venezuelana alla decisione del presidente Nicolas Maduro di consegnare al CNE (3) la raccolta di firme per il referendum abrogatorio per verificarne la validità. Per questo il CNE ha riscontrato che 200.000 firme sono false e altre 800.000 devono essere confermate dai titolari.

Sul versante internazionale, non bisogna dimenticare che per gli strateghi di Langley (4) i piccoli miglioramenti economici operati dal governo venezuelano, le vittorie diplomatiche che hanno contraddistinto l’attività del ministro degli esteri bolivariana, Delcy Rodriguez e i risultati positivi nelle relazioni con il mercato finanziario ottenute dal governo di Nicolas Maduro e dalla PDVSA (5), possono rimettere in gioco la validità dell’operazione “Freedom-2” .

I piccoli miglioramenti economici

Durante gli ultimi quattro mesi, le grandi città del Venezuela hanno sofferto la riduzione dell’energia elettrica, che il popolo chiama “apagones”. Per questo l’attività dei servizi pubblici si limitava a due giorni di lavoro a settimana. Di conseguenza il capo dell’opposizione, Henry Ramos Allup ne approfittava per attaccare il governo nell’Assemblea Nazionale dicendo: “...La mancanza di energia elettrica è la prova dell’incapacità del governo e dei suoi burocrati di amministrare il paese!...”.

In realtà, tutti sapevano, da Allup a Capriles, dai corrispondenti di CNN, BBC e Reuters, ai giornalisti venezuelani di El Nacional , El Universo e Televen che il problema degli “apagones” dipendeva unicamente dall’intensa siccità che ha colpito il Venezuela. Infatti, la mancanza di piogge ha fatto abbassare il livello delle acque nelle dighe in tutto il paese. Per questo le turbine erano azionate soltanto una o due volte a settimana, cioè, il tempo necessario ai fiumi per riempire i bacini delle dighe. Con il ritorno delle piogge la maggior parte delle dighe venezuelane sono tornate a produrre energia elettrica a un livello minimo, ma costante.

Da rilevare che la siccità aveva messo in crisi anche l’agricoltura, che però non ha mai smesso di produrre. Infatti, nel 2015, Waleska Miguel, una alta funzionaria della “Coca-Cola de Venezuela”, aveva dichiarato alla “BBC Mondo” che la multinazionale statunitense “...sviluppava una straordinaria operazione produttiva in Venezuela.” Però, questa settimana, la stessa funzionaria annunciava che “...la Coca Cola, a causa della mancanza di zucchero nel mercato, ha sospeso la produzione degli estratti che preparava per le industrie che realizzano l’imbottigliamento delle bibite...”.

Una dichiarazione contraddittoria, che ha sorpreso i dirigenti del Ministero dell’Agricoltura, dell’Alimentazione e dell’Industria che vorrebbero sapere da quella multinazionale dove è andato a finire lo zucchero raffinato che hanno comprato l’anno passato, quando tutte le quote di produzione sono state garantite dai proprietari agricoli e dalle cooperative.

In realtà, la storia della mancanza dello zucchero in Venezuela nasconde un’altra verità e cioè quella del contrabbando. Infatti, la maggior parte dello zucchero prodotto nel 2015 è stato immagazzinato in Colombia in attesa di poterlo ricomperare in dollari. Un’altra parte è finita nelle mani delle imprese di distribuzione legate al contrabbando, che mantengono questo prodotto nascosto all’interno del paese, per poi venderlo a prezzi di usura nelle città.

La decisione della Coca Cola, come pure quella delle multinazionali del settore alimentare che hanno sospeso la produzione, è stata presa per obbligare il governo a “liberare” l’esportazione dei suoi guadagni in dollari. Una rappresaglia nei confronti del governo venezuelano, che dal 13 maggio, da quando ha decretato lo stato di emergenza, sta realizzando rigorosi controlli fiscali, applicando la legge del 2003 che regola l’uscita in dollari dal paese dei guadagni ottenuti dalle multinazionali. Per esempio, le compagnie aeree Lufthansa e la Latam hanno preferito lasciare il Venezuela pur di disciplinare la propria situazione fiscale.

A questo punto Maduro ha detto con estrema chiarezza “...Signori delle multinazionali, non provocate, perché se bisogna espropriare, noi lo faremo e senza chiedere l’autorizzazione di nessuno!...”

E’ innegabile ed è ancora presto per dire se lo stato di emergenza, proclamato il 13 maggio, abbia determinato grandi cambiamenti. Quello che è certo, è che con l’attribuzione data all’esercito e alla polizia di vendere attraverso i comitati popolari dei CLAP i prodotti alimentari che sono sequestrati ai “Bachaqueros,” la guerra economica non è più così facile come lo era nel 2015. Anche perché se adesso le autorità scoprono che un’impresa commerciale alimenta con i suoi prodotti i circuiti illegali del contrabbando, la stessa è immediatamente espropriata e trasformata in cooperativa!

Lo stato di emergenza comunque è un fenomeno di effettivo cambiamento che, però permetterà concreti risultati solo nel 2017. Infatti non è casuale che gli analisti hanno indicato che la caduta del PIL del Venezuela nel 2016 sarà del -7,8%, mentre nel 2017 sarà pari a un -1,5%, per poi tornare a crescere fino a +0,35% nel 2018. Per questo l’inflazione del 2016, che all’inizio dell’anno era stimata in 680%, è già caduta a 326% per poi, nel 2017, scendere fino al 244,5% . Infatti le previsioni indicano che nel 2016 ci sarà un abbassamento del consumo interno dell’11,4% che però nel 2017 tornerà a crescere dello 0,30%. Previsioni che, nel caso del Venezuela sono determinate dall’aumento dei prezzi del barile del petrolio (5), che nel mese di giugno è tornato a salire da 28 dollari fino a 53, poiché l’Arabia Saudita non riesce più a imporre il suo controllo sulle decisioni dell’OPEC.

Delcy Rodriguez: il rispetto della sovranità

Dopo le drammatiche dichiarazioni guerrafondaie di Obama sul diritto degli Stati Uniti di intervenire militarmente per “ristabilire la democrazia e difendere l’applicazione dei diritti umani” e dopo aver, per la seconda volta, dichiarato che il Venezuela “...era un pericolo per la sicurezza degli Stati Uniti...” le relazioni diplomatiche tra gli USA e il Venezuela avevano toccato il punto zero. Tanto che nel mese di maggio il consolato statunitense a Caracas non aveva concesso i visti di ingresso al gruppo di funzionari del Ministero degli Esteri che avrebbero dovuto accompagnare la ministra Delcy Rodrigues nella riunione dell’OSA in Washington.

In seguito, la valanga di proteste nei confronti del Segretario Generale dell’OSA, Luis Almagro che aveva proposto l’applicazione dell’articolo 20 della Carta Democratica dell’OSA e, il passo indietro del presidente dell’Argentina, Maurizio Macri, associato al silenzio del presidente della Colombia, Juan Manuel Santos e all’altolà delle federazioni industriali brasiliane FIESP e FIRJAN (7), hanno obbligato le “eccellenze” della Casa Bianca a raffreddare l’arroganza imperiale, per cercare un “modus vivendi” con il Venezuela. Il che in pratica corrisponde al monito che il ministro degli esteri bolivariano, Delcy Rodriguez ha lanciato agli Stati Uniti ricordando che il rispetto della sovranità di un paese è l’elemento fondamentale e determinante che permette di definire il tipo di relazioni che due nazioni vogliono avere.

In questo modo la diplomatica bolivariana è riuscita anche a preservare il ruolo politico delle istituzioni regionali (UNASUR, OSA, MERCOSUL, ALADI e CEPAL) e il progetto di integrazione regionale, politica e economica, la cui esistenza è un complemento che, appunto, deriva dall’esistenza nel continente latino-americano di nazioni sovrane. In questo difficile momento congiunturale, il rafforzamento del concetto di sovranità e la riabilitazione delle relazioni per l’integrazione regionale, sono stati i cavalli di battaglia del ministro degli Esteri del Venezuela, Delcy Rodriguez, che in questo modo è riuscita a liberare lo Stato-Nazione bolivariano dagli effetti prodotti dalla manipolazione mediatica e, quindi, avviare un nuovo tipo di relazioni con gli USA in regime di parità.

Per questo il segretario di Stato Usa, John Kerry, e Delcy Rodriguez si sono incontrati durante l’Assemblea Generale dell’Organizzazione degli Stati Americani, che si è tenuta nella Repubblica Dominicana. Di conseguenza il Dipartimento di Stato ha divulgato un comunicato stampa in cui si diceva che John Kerry e Delcy Rodriguez: “...hanno avuto una discussione costruttiva sulle attuali sfide politiche, economiche e umanitarie che sta affrontando il Venezuela...”. Kerry ha, poi, condiviso la proposta di dialogo con l’opposizione che nell’ambito dell’UNASUR è stata presentata dal presidente di turno, Ernesto Samper con l’appoggio dell’ex-primo ministro spagnolo, Zapatero, l’ex-presidente di Panama, Martin Torrijo e quello della Repubblica Dominicana, Danilo Medina. Una proposta che vuole contribuire a riunire l’opposizione e il governo attorno ai problemi provocati dalla crisi che ha colpito il paese subito dopo l’abbassamento dei prezzi del petrolio.

Una riunione che dopo il congelamento delle relazioni con il ministro degli esteri argentino, Susanna Malcorra, ha ricevuto una lettura negativa all’interno del MUD, moltiplicando i dubbi sulla disposizione politica e militare degli Stati Uniti di distruggere il governo bolivariano di Nicolas Maduro.

Il punto di vista del mercato

Per Wall Street le immense riserve petrolifere e la tendenza al rialzo dei prezzi del petrolio e del gas giocano ancora a favore del governo venezuelano che, nonostante la situazione di crisi, garantisce il funzionamento delle istituzioni e, soprattutto quello dell’industria petrolifera. Per questo motivo, dopo l’esperienza disastrosa della Libia, a Wall Street nessuno è disposto a correre inutili rischi con un’avventura militare in Venezuela.

Anche a Londra sono dello stesso parere, tanto è vero che gli analisti di Exotix Partners, stanno negoziando nei mercati la vendita dei bond venezuelani che hanno già incontrato l’interesse di Eaton Vance’s Global e di Ashmore, due gruppi finanziari che ritengono interessante scommettere sulla ripresa economica del Venezuela e quindi ottenere un consistente guadagno finanziario, comprando ora i bond ad un prezzo molto basso. John Baur, un amministratore di Eaton Vance’s Global ha voluto commentare questa situazione dichiarando all’Economist che: “...I prezzi dei titoli venezuelani sono talmente bassi che è normale prevedere l’inevitabile recupero finanziario di un paese come il Venezuela con delle potenzialità petrolifere così grandi”.

Comunque la decisione di Wall Street e del London Stock Exchang è stata determinata anche da un’altra sconfitta politica dell’opposizione. Infatti il 13 maggio il presidente Nicolas Maduro proclamava lo stato di emergenza, che l’opposizione, in maggioranza nel Parlamento (Asamblea Nacional) rigettava. Per questo il governatore dello stato di Miranda, Henrique Capriles – che aspira ad essere il successore di Maduro – tentava di promuovere un colpo di stato di palazzo, chiedendo all’esercito “...di scegliere se stare con il Parlamento o con il Presidente Maduro!...”

La risposta delle FANB (8) è stata unanime, al punto che il Ministro della Difesa ha ordinato ai 100.000 membri delle forze armate di non prendere nessun ordine dal Parlamento che vada contro la Costituzione e il Presidente. Un’altra sconfitta politica per i partiti del MUD, che è anche un avviso da parte del chavismo per certi settori dell’opposizione che vogliono a tutti i costi radicalizzare il confronto politico.

Le ambiguità della sinistra eurocentrista con il Venezuela

La concentrazione del potere economico, finanziario e militare nell’asse franco-tedesco ha mutato tutti i partiti riformisti della sinistra europea non solo dal punto di vista politico e organizzativo, ma soprattutto in termini di revisione teorica dell’ideologia del movimento operaio. Cioè, la logica della lotta di classe contro il capitalismo, gradualmente, è stata sostituita dalla logica dell’eurocentrismo che condiziona l’essenza politica e ideologica dei partiti di sinistra e di centro-sinistra gravitanti all’interno del cosiddetto Europolo, al punto di diventarne parte integrante. Cioè la sinistra riformista è ammessa nelle sale del potere solo come difensore dello status quo dell’Europolo e con il compito di esercitare un diretto controllo del movimento popolare, riuscendo in questo modo a manipolare e quindi a castrare qualsiasi rivendicazione di tipo classista, rivoluzionaria e internazionalista. Un ruolo che oggi In Italia è assolto dal PD (Partito Democratico).

Il partito di Matteo Renzi e dell’ex-presidente Giorgio Napolitano, che hanno trasformato gli ultimi e pochi residui del partito di classe fondato da Gramsci, il PCI, in uno strumento di coazione politica totalmente centrato nell’accettazione dell’ordine liberista e delle imposizioni della Troika. Un partito che ha legittimato il ruolo dell’asse franco-tedesco nell’Unione Europea, che in pratica significa accettare in silenzio il comando esercitato da Angela Merkel – anche lei sostenuta dalla socialdemocrazia (SPD) – e da François Hollande, padrone indiscusso del PS.

Per questo, le lotte rivoluzionarie sviluppate dal governo bolivariano del Venezuela e dagli altri governi dei paesi dell’ALBA dell’America Latina, sono considerate dalla segreteria del PD “...un esempio poco interessante...”, che non può e non deve essere preso in considerazione nella cosiddetta sinistra eurocentrista italiana.

A causa di questa interpretazione, le rappresentanze diplomatiche italiane hanno avuto “sempre occhi dolci per chi fa l’opposizione democratica”, manifestando, quasi sempre un sentimento di distacco nei confronti dei rappresentanti delle forze rivoluzionarie che oggi governano Venezuela, Bolivia, Ecuador, Cuba e Nicaragua. Posizioni che sono frutto dell’adeguamento del cosiddetto Partito Democratico alla logica imperialista dell’Europolo, motivo per cui la graduale sostituzione del vecchio PD con un nuovo “Partito della Nazione”, interessato a rappresentare in termini politici l’elettorato moderato, la classe media e i settori industriali di punta, potrà presentare nel prossimo futuro un’agenda di relazioni diplomatiche abbastanza contraddittoria soprattutto per quanto riguarda i paesi dell’America latina.

Dopo aver idolatrato in Argentina il successo del liberista Mauricio Macri e preparare una “tourné” in Brasile per legittimare il governo golpista di Michel Temer ci si può aspettare di tutto dallo Staff del ministro Paolo Gentiloni.

In discussione l’operazione “Freedom-2”

In teoria, la logica dell’imperialismo, giustifica la decisione di Barack Obama di promuovere un’azione militare dirompente per riconquistare un paese come il Venezuela, governato da una “dittatura socialista” e ricco soprattutto di petrolio, di gas e militarmente importante nella struttura geostrategica degli USA atlantica e caraibica.

Una logica che ha permesso la creazione di un “organigramma della crisi politica” in cui tutte le azioni di destabilizzazione, da quelle di carattere diplomatico alla guerra economica, dalle manipolazioni dei media alle operazioni terroristiche, dal finanziamento dei gruppi di opposizione alla pratica dei saccheggi indiscriminati, corrispondono a un perfetto ordine operativo messo in moto dalla Casa Bianca fin dal 2012.

Per questo dopo la sconfitta diplomatica degli USA nell’OSA, è sorta l’operazione “Freedom-2”, elevando i livelli della violenza organizzata in Venezuela con l’obiettivo specifico di creare una complessa situazione di crisi.

E’ in questo scenario che ricompaiono i vecchi attori del cosiddetto “ordine mondiale della criminalità organizzata” che ha sempre usato il Venezuela come importante punto di vendita della “blanquita”, cioè la cocaina e come piattaforma navale per esportare negli Stati Uniti e in Europa ingenti quantità di pasta di cocaina prodotta in Colombia.

Il falso moralismo della borghesia venezuelana ha sempre impedito di rivelare lo smodato uso di cocaina nelle principali città venezuelane, soprattutto tra la gioventù delle classi più agiate. Un vizio che, però, ha bisogno di una grande struttura umana per garantire i consumi. Per questo a Caracas ci sono più di 700.000 emigranti colombiani clandestini, di cui un quarto sono tutti “impiegati” dei gruppi di narcotrafficanti o semplicemente membri di gang sempre a caccia di vittime da derubare. Non è un caso che la capitale del Venezuela sia considerata dalle Nazioni Unite la città con maggiori livelli di violenza criminale. Infatti, nel 2015 sono stati registratati 28.000 omicidi!

I legami tra i narcos e i differenti settori della borghesia e dell’oligarchia, sempre disposti alle quotidiane “sniffatine per sentirsi meglio”, sono serviti per creare un nuovo tipo di relazione “commerciale” all’interno della guerra economica. Il contrabbando, l’accaparramento di generi alimentari e di elettrodomestici e poi la partecipazione nelle azioni armate dei “guarimbas” o nei saccheggi, hanno bisogno di una “manodopera” numerosa disposta a lavorare nell’illegalità. Così per i narcos venezuelani è sorta la variante molto redditizia del contrabbando, vale a dire un accordo commerciale e politico tra una lunpen-borghesia e un lunpen-proletariato, proprio come la descriveva Andre Gunder Frank nel 1970.

Oggi, analizzando la situazione politica, economica e sociale del Venezuela, è possibile prevedere che le macchinazioni sovversive della “Freedom-2” siano destinate al fallimento, poiché le giustificazioni teoriche dei generali del Pentagono e quelle strategiche delle “eccellenze” di Langley si scontrano con gli interessi del mercato.

In secondo luogo, sono in pratica due anni che l’opposizione vaticina la deposizione di Nicolas Maduro, ma, in realtà non riesce a far insorgere un unico quartiere popolare di Caracas e tantomeno a convincere un unico ufficiale del Comando Operativo Strategico delle Forze Armate Nazionali Bolivariane (COFANB) disposto a rompere il giuramento di fedeltà dei principi costituzionali per capeggiare una rivolta armata contro il governo bolivariano.

NOTE
1 – “Bachaqueros” – (formichine) Si tratta di gang che si dedicano al mercato nero e al contrabbando. Per questo i gruppi dei Bachaqueros si sono associate alle gang dei Narcos poiché questi controllano una o più strade del quartiere di cui vivono. Così, in questa miriadi di territori controllati dalle gang dei Narcos Bachaqueros moltiplicano i posti di vendita del contrabbando.
2 – “Caracazo” o “Sacudón” iniziò a pochi chilometri da Caracas, il 27 febbraio del 1989, nella città di Guarenas, con una serie di forti disordini che si ampliarono in tutto il Venezuela per protestare contro la politica economica del governo di Carlos Andrés Pérez. Il 28 febbraio, le forze di pubblica sicurezza della Polizia Metropolitana (PM), l’Esercito Nazionale del Venezuela e la Guardia Nacional (GN) avevano ammazzato più di 3500 manifestanti, anche se il governo dichiarò che i morti furono solo 300.
3 – CNE – Comitato Nazionale Elettorale
4 – Langley è la sede della CIA.
5 – PDVSA – E’ la statale petrolifera che si dedica all’estrazione, al raffinamento del petrolio e del gas, oltre che alla distribuzione di benzina, diesel e del gàs metano.
6 – Nel mese di gennaio il barile del petrolio era sceso 28 dollari. A maggio è tornato a salire fino a 56 dollari
7 – Fiesp e Firjan, sono le poderose Federazioni degli Industriali degli stati di Sao Paulo e di Rio de Janeiro che hanno comunicato al governo di Michel Temer che non si azzardasse a rompere con il governo bolivariano con cui hanno sottoscritto contratti di esportazione per un valore di 3,4 miliardi di dollari.
8 – FANB – Forze Armate Nazionali Bolivariane

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