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21/06/2016

Lo stupore e la rabbia dei commentatori per lo schiaffo al ducetto

Stupore, frustrazione, rabbia, denegazione, depistaggio, seduzione: questi gli atteggiamenti che ho visto/ascoltato affiorare sui volti e nelle parole di politici, giornalisti ed "esperti" mentre seguivo (rimbalzando fra Rai1, Rai3 e La7) le reazioni a caldo a exit poll e proiezioni la notte di domenica scorsa.

Stupore: non se lo aspettavano, malgrado gli innumerevoli segnali di irritazione (a partire dai tassi di astensionismo sempre più elevati) che da tempo salivano dal basso, le élite di questo Paese erano convinte di poter seguitare a manipolare a tempo indeterminato un’opinione pubblica che, evidentemente, stimano incapace di intendere e di volere.

Frustrazione e rabbia: lo spettacolo più spassoso, in tal senso, lo ha offerto l’ineffabile Piepoli che, dando un limpido saggio della sua "obiettività scientifica" in veste di analista-sondaggista, commentava in diretta, con espressioni di stizza degne di un Gollum derubato del suo tesoro, la débâcle dei propri datori di lavoro. Ma non sono stati da meno commentatori e giornalisti: Mentana, dopo avere a lungo e ostentatamente ignorato il risultato di Napoli, quando finalmente ne ha parlato, lo ha fatto sia tentando di sminuirne la portata (ha votato solo il 36%) sia accompagnandolo con battute velenose sulla personalità di De Magistris, imitato dai molti suoi colleghi che lo hanno variamente definito "impresentabile", "folcloristico" e quant’altro (ricordate come parlavano di Hugo Chávez i media occidentali?). Ma si sa, il popolo napoletano è infingardo, pigro, nutre istinti plebei facilmente vellicabili da abili demagoghi (se invece il demagogo è Renzi e si rivolge alla buona borghesia dei centri storici tutto va bene: mai come in queste elezioni sono emersi l’odio e il disprezzo di classe contro le periferie).

Denegazione e depistaggio: gli esponenti del Pd presenti ai vari tavoli sono stati particolarmente attivi nell’inutile sforzo di negare l’evidenza: "abbiamo vinto a Milano e in tutta la Lombardia, quindi in fondo non è andata poi tanto male". Oppure, per spiegare la sconfitta di Torino "ove pure abbiamo governato bene per più di vent’anni": "è colpa di una ventata mondiale di populismo e dei sentimenti anti establishment di destra" (ovviamente senza porsi il problema di quale sia la causa di tale ondata). Per inciso: il populismo deve essere per definizione di destra, per cui, se si parla di America ci si riferisce a Trump (e non a Sanders che riscuote molto più consenso ma, per loro fortuna, non è riuscito a battere la donna del regime neoliberista, Hillary Clinton), se si parla invece dell’Italia, è di destra anche il Movimento5Stelle ("avete visto: hanno vinto con i voti della Lega!").

Seduzione e cattura: lo sforzo di "normalizzare" i 5Stelle, se era già evidente in precedenza, ora si farà più energico, e già nello spettacolo televisivo dell’altra sera è apparso frenetico, oscillando dal sarcasmo: "adesso che vi tocca governare vediamo che siete capaci di fare", alla pedagogia: "aiutiamoli a maturare, impareranno dalla forza dei fatti (per esempio tagliandogli i bilanci, come ha soavemente annunciato la ministra Boschi) che certe sparate demagogiche come il reddito di cittadinanza sono impraticabili". E poi, ha aggiunto speranzoso Paolo Romani, si può sperare che una donna come la Appendino, essendo un’imprenditrice, abbia i piedi ben appoggiati a terra e non si lanci in politiche avventurose. Purtroppo, temo che tale speranza abbia un qualche fondamento, ove si consideri che l’originario spirito antisistema di 5Stelle sembra essersi alquanto stemperato nel corso della trasformazione da movimento a partito.

Staremo a vedere. Per il momento godiamoci lo schiaffo al ducetto nella speranza che sia il preludio di una sonora sconfitta referendaria. Ma soprattutto godiamoci uno scontro che assume sempre più la connotazione della lotta di classe, sia pure nella forma semplificata dello schema alto/basso. Il che non è solo l’effetto delle mutazioni socioeconomiche degli ultimi decenni, ma anche dell’assenza di qualsiasi credibile alternativa di sinistra (basti vedere i penosi risultati di ciò che resta delle cosiddette sinistre radicali: come le smonti e le rimonti non vanno al di là del 4%, ma la cosa non sembra minimamente indurle a chiedersene il perché).

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