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25/05/2016

Una nuova ambasciatrice USA per controllare meglio l’Ucraina golpista

Con la forzata uscita di scena – forse solo temporanea – del paggio fidato di Victoria-Fuck-the-UE-Nuland, l’ex primo ministro Arsenyj Jatsenjuk, dimissionato perché divenuto impresentabile anche per FMI e Banca Mondiale, Washington giudica troppo indipendente il proprio “Fort Alamo” in Europa orientale. Tolto di mezzo il “Davy Crockett” degli interessi USA ai confini con la Russia, la Casa Bianca ritiene che, con entrambe le prime figure del paese – il presidente Porošenko e il nuovo premier Vladimir Grojsman, uomo del presidente – più legate alla UE che agli Stati Uniti, la bandiera a stelle e strisce rischi di perdere qualche corpo celeste proprio dove la strategia geopolitica yankee più ne abbisogna. Questo, nonostante che, come scrive Stockinfocus.ru, l’amministrazione Porošenko abbia sempre concordato ogni singolo passo sia con l’ambasciatore USA Geoffrey Pyatt, sia con il vice presidente Joe Biden, di casa più a Kiev che a Washington.

E’ così che Barack Obama ha deciso la sostituzione dell’ambasciatore USA a Kiev: a prendere il posto di Pyatt sarà Mary Jovanovic, funzionaria del Dipartimento di stato, di origini russe. Nella diplomazia USA dal 1986, ha lavorato come consigliera d’ambasciata in Canada, Russia, Somalia e Gran Bretagna ed era già stata in Ucraina, come vice ambasciatore, dal 2001 al 2004. Dal 2005 al 2008, dopo la prima “rivoluzione dei tulipani”, è stata ambasciatore in Kirghizia – dove non perse tempo a “proporre” il programma di FMI e BM “Heavily Indebted Poor Countries” e legò il suo nome alla contrastata vicenda della base aerea USA “Manas” – e poi, fino al 2011, in Armenia. E’ dunque considerata specialista dello spazio postsovietico e più adatta del poco brillante Pyatt a prendere le redini di una situazione che rischia di sfuggire di mano a Washington. In attesa della conferma del Senato alla sua nomina a Kiev, Jovanovic continua a dirigere l’Istituto di lingue straniere presso il Servizio di politica estera del Dipartimento di stato, dopo aver ricoperto posti di rilievo in varie sezioni regionali del Dipartimento di stato per l’Europa e l’Asia.

A parere degli osservatori ucraini e russi, Pyatt non sarebbe più in grado di tenere sotto controllo i circoli oligarchici ucraini; a Kiev dall’agosto 2013, ha fatto poco più che farsi vedere in compagnia di Victoria Nuland, sia nelle giornate di majdan, sia durante le sue successive ispezioni a Kiev, allorché è stato necessario ordinare questa o quella modifica nella compagine governativa ucraina. Secondo il collaboratore dell’Istituto per USA e Canada dell’Accademia delle scienze russa, Gevorg Mirzajan, il ricambio all’ambasciata indica che gli Stati Uniti temono di perdere il controllo su Kiev, con Porošenko che si sta comportando in maniera “troppo indipendente”: in ogni caso, un ambasciatore non viene sostituito dopo meno di tre anni dalla nomina. Jovanovic sarebbe dunque chiamata a mettere ordine dove Pyatt ha fallito: portare l’Ucraina sotto il pieno controllo USA. Gli Stati Uniti, dicono tanto i media russi che americani, “hanno apparentemente sottostimato le specificità politiche ucraine e non hanno saputo imbrigliare l’enorme peso dei clan oligarchici”.

Parere diverso è espresso dal direttore del Centro ucraino di ricerche politiche, Mikhail Pogrebinskij, il quale, sul sito “Vzgljad”, nota come la Jovanovic sia ricordata a Kiev solamente per un episodio del 2002, allorché si incaricò di protestare presso il governo ucraino per la presunta vendita della stazione di radiolocalizzazione “Kolčuga” all’Iraq. Al di là di questo, dice Pogrebinskij, il predecessore di Pyatt, John Tefft, ora ambasciatore a Mosca, “era molto più energico, sia dell’attuale, che della nuova nominata; ciò significa che l’amministrazione USA attribuisce alla Russia maggiore importanza che non all’Ucraina”. L’ex ambasciatore USA a Kiev, Steven Pifer, rimarca all’agenzia ucraina Unian, come l’occidente cominci a esser stanco dell’Ucraina e potrebbe giungere alla conclusione che “essa sia inaggiustabile”.

L’esperto dell’Istituto per i paesi della CSI, Artëm Žurko ritiene che gli USA abbiano “semplicemente sottovalutato il fatto che la pienezza del potere in Ucraina è sempre stata terreno dei clan oligarchici e dei loro feudi regionali. È per questo che gli americani avevano scelto come capo di stato un oligarca che, come il tempo ha dimostrato, non è il più influente. Jovanovic è considerata “specialista” dello spazio postsovietico, conoscitrice delle specificità delle élite locali e di come ci si debba comportare nei loro confronti. Perciò sarà interessante osservare con chi terrà i contatti, a lato di quelli ufficiali”.

Il coordinatore del movimento ucraino “Borotba”, Viktor Šapinov, giudica l’avvicendamento di ambasciatori indice del fatto che Washington non intende “permettere che in Ucraina il potere cada in mano a qualche politico troppo indipendente. Questo, tra l’altro, è un brutto segnale per Julija Timošenko che, sebbene pro occidentale, è però troppo autonoma. Inoltre, le garanzie fornite a Kiev agiscono solo finché c’è l’attuale amministrazione USA e alcuni personaggi, non ultimo Porošenko, potrebbero perdere tale appoggio. Non dimentichiamo che la questione ucraina, per gli USA, sta passando da strategica a tattica”.

In questo quadro, la questione che sembra rimanere fuori è quella del Donbass, in cui pure Kiev sembra puntare più sulla UE che su Washington. Dopo i colloqui telefonici del “Quartetto normanno”, Porošenko ha sbandierato un presunto “consenso” europeo all’invio nel Donbass di “osservatori Osce armati in funzione di polizia militare”. Come scrive Novorosinform, se oggi, all’occupazione tedesca dei centri del Donbass, nel 1941-’43, si sostituisce quella dei battaglioni neonazisti “Azov” e “Ajdar” e dei loro mercenari stranieri, presto sulla linea del fronte potrebbero comparire soldati regolari tedeschi o di qualche altro stato europeo. Il disegno di Porošenko è chiaro: con la copertura straniera, le forze (regolari e non) di Kiev potranno bombardare impunemente le città del Donbass e qualunque azione di risposta da parte delle milizie verrebbe considerata come un attacco alle “forze di pace” internazionali. Il Consiglio di sicurezza ucraino già assapora uno “scenario croato” per la liquidazione di DNR e LNR, scrive Novorosinform, sul modello di quanto avvenuto, con la presenza delle forze di pace, nella Krajna serba di Croazia. Al pari di Franjo Tudjman, Porošenko rifiuta il dialogo diretto con le Repubbliche popolari e prepara la soluzione bellica della questione. Avendo rifiutato la presenza di un contingente bielorusso, Kiev insiste per l’invio di truppe da paesi Nato, che già ora riforniscono l’Ucraina di armi, istruttori, mezzi tecnici e soldi. Dunque, un contingente tedesco di 200 uomini dovrebbe fungere da difesa armata della Missione di osservatori Osce. Osservatori che, come i canadesi di origine ucraina, in più di un’occasione si sono rifiutati di monitorare i bombardamenti ucraini denunciati dai civili del Donbass. Se dal punto di vista del diritto internazionale, la presenza di truppe tedesche potrebbe prefigurare l’ingerenza in un conflitto interno dalla parte di uno dei contendenti, dal punto di vista morale, scrive Novorosinform, come accoglieranno gli abitanti del Donbass, finora terrorizzati dai neonazisti di “Azov” e “Ajdar”, l’arrivo proprio di soldati tedeschi?

La Jovanovic dovrà districarsi anche tra “alleati” e “Quarto Reich”?

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