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20/04/2016

Siria, tregua in bilico. Piano segreto di Mosca e Washington?

Il cessate il fuoco in Siria, che fino a qualche giorno fa aveva in qualche modo tenuto, sembra ora sul punto di sfociare in una ripresa degli scontri armati su grande scala.

I leader delle maggiori organizzazioni delle opposizioni siriana – quella manovrata dalle petromonarchie e dalla Turchia, in particolare – hanno cominciato nei giorni scorsi a lasciare Ginevra, sospendendo i colloqui in corso da settimane con la mediazione delle Nazioni Unite. Il pretesto lo ha fornito il presunto bombardamento, da parte dell’aviazione siriana, di due mercati nella provincia di Idlib, che avrebbe provocato circa 50 morti in una zona controllata da al Nusra, la branca locale di al Qaeda. Il cosiddetto “Alto Comitato per i negoziati”, che raggruppa le fazioni islamiste, ha definito l’attacco aereo su Maaret al Numan “un massacro” e una chiara violazione del cessate il fuoco. “Si tratta di una pericolosa escalation di una situazione già fragile, mostrando disprezzo per l’intera comunità internazionale in un momento in cui ci dovrebbe essere una cessazione delle ostilità”, ha commentato il portavoce delle opposizioni Salem al Meslet, secondo il quale il raid è stato “la risposta di Assad” alla decisione dell’opposizione siriana di sospendere la sua partecipazione formale ai negoziati.

Ma in realtà, lo scorso 16 aprile, era stato il negoziatore capo della delegazione delle opposizioni, Mohammad Alloush, a esortare pubblicamente le milizie ribelli a lanciare nuovi attacchi contro l’esercito di Damasco nonostante la tregua in vigore da un mese e mezzo. “Non fidatevi del regime e non aspettatevi che abbia pietà di voi. Colpiteli da tutte le parti” aveva twittato Alloush, citando un versetto del Corano. Un membro dell’opposizione aveva provato a spiegare che l’invito di Alloush era da intendersi come ‘personale’ ma era ovvio che quanto affermato dal capo negoziatore non poteva non esprimere una decisione assunta collettivamente dalle varie milizie ribelli che infatti hanno ripreso ad attaccare i governativi su diversi fronti dopo settimane di relativa calma. Anche Jaish al-Islam, gruppo salafita che partecipa ai negoziati, ha invitato le varie milizie a «colpire il regime al collo, colpirlo ovunque».

“I negoziati non sono congelati. A parte il Gruppo di Riad (l’Alto comitato dei negoziati che rappresenta l’opposizione), partecipano ai negoziati una delegazione del governo, delegazioni dei gruppi che si sono riuniti a Mosca, al Cairo e ad Astana e il gruppo di Hmeimim” ha commentato il ministro degli Esteri di Mosca, Sergej Lavrov, il quale ha stigmatizzato il comportamento “capriccioso” delle opposizioni manovrate dai sauditi, le quali nella capitale svizzera hanno lasciato solo un team composto di ‘tecnici’. Segno che non sono veramente interessati alla fine vera e propria della trattativa ma sperano di conquistare qualche posizione sul campo con una nuova offensiva per poi tornare a negoziare con una maggiore forza contrattuale.

Intanto però alcuni media parlano di ‘accordi segreti’ tra Russia e Stati Uniti nel tentativo di sbloccare una situazione che potrebbe ridiventare esplosiva ed ingestibile per entrambe le grandi potenze, a tutto vantaggio delle petromonarchie – Damasco accusa esplicitamente Qatar, sauditi e turchi – che puntano alla destabilizzazione completa e allo sfascio pur di imporre i propri interessi nell’area.

Secondo alcuni media libanesi, in particolare, Mosca e Washington starebbero concordando un piano per imporre ai ribelli e al governo siriano la creazione di un Consiglio Militare che avrebbe pieni poteri sul paese, indipendentemente da chi sarà il presidente. Il quotidiano progressista libanese “As-Safir”, solitamente molto informato sulle vicende siriane, cita fonti sia dell’opposizione che del governo e sostiene che Mosca e Washington, “d’intesa con Stati influenti e coinvolti nel conflitto siriano” hanno compiuto “grandi passi” verso la “formazione di un Consiglio militare” che guidi la fase di transizione. I poteri di questo consiglio andrebbero oltre la figura del presidente Bashar al Assad, che comunque rimarrebbe al suo posto. Secondo le fonti di Assafir, il Consiglio sarebbe “composto al 70% da comandanti militari del regime e ci sono trattative con ufficiali disertori che si trovano in Turchia e Giordania” e che dovrebbero costituire il restante 30%, destinato a una parte dell’opposizione. Compito principale del Consiglio militare dovrebbe essere “quello di affrontare la principale emergenza” del Paese: la guerra all’Isis, il coordinamento con “le principali fazioni armate dei ribelli” e “la salvaguardia dell’unità territoriale del Paese”. Mosca e Washington si sarebbero convinti del fatto che solo l’instaurazione di un’autorità militare mista potrà essere accettata da entrambi gli schieramenti sul campo e costituire la base per una soluzione globale che bypassi, per ora, le apparentemente insormontabili divisioni sulla composizione del governo, sulla presidenza e sulla transizione. Secondo il quotidiano di Beirut Mosca e Washington sarebbero pronti, in accordo con altre potenze non meglio specificate, a imporre il piano con il sostegno dell’Onu anche nel caso in cui le parti non fossero convinte, un po’ sulla scia di quanto sta avvenendo in Libia con il governo Sarraj sostenuto più dall’esterno che dai protagonisti locali dello scontro.

Intanto la situazione sul campo ha ripreso a peggiorare. Lo Stato islamico (Isis) ha preso nei giorni scorsi il controllo di un importante quartiere a Deir Ezzor, città nell’Est della Siria, avvicinandosi all’aeroporto tuttora in mano alle forze lealiste. L’Isis ha ottenuto recentemente importanti conquiste anche nel nord della Siria, a danno sia delle forze governative sia di altri gruppi islamisti. La controffensiva dell’Isis ha ridimensionato anche i successi dei ribelli dell’Esercito Siriano Libero e di altri gruppi nell’area di frontiera a Nord di Aleppo, dopo l’avanzata dei giorni scorsi su Azaz, città otto chilometri a sud del confine turco. Nel distretto di Azaz, denuncia Medici Senza Frontiere, più di 100 mila persone sarebbero intrappolate tra la linea dello Stato Islamico, le linee delle Forze Democratiche Siriane egemonizzate dai curdi e la frontiera turca blindata da Ankara. Nei giorni scorsi i militari turchi hanno anche aperto ripetutamente il fuoco contro la folla di profughi siriani che tentavano di oltrepassare le recinzioni per mettersi in salvo dall’altra parte della frontiera.

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