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26/04/2016

Scontro Renzi-Davigo: uno sguardo più ampio

Una settimana fa, il neo presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Piercamillo Davigo non si era ancora seduto sulla sua nuova sedia, che già dava fuoco alle polveri attaccando frontalmente la classe politica per il diffuso malcostume e, come era prevedibili, Renzi, che, chissà perché, si è sentito chiamare in causa, ha subito risposto per le rime (solito “spirito buzzurro” fiorentino). Siamo ad un nuovo tempo dell’ormai eterna saga “Politica contro Magistrati”? Ragioniamoci su.

Davigo, lo si sa, fu nel pool di Mani Pulite e, per giunta, ne fu la vera mente fine, anche più del mondano Borrelli. Il fatto stesso che sia stato eletto presidente dell’Anm, e con larghissima confluenza, dice quale sia lo stato d’animo della magistratura nei confronti della politica in generale e del Pd in particolare. Quello fra Magistratura da un lato e Pci-Pds-Ds-Pd dall’altro non è mai stato vero amore ma strumentalizzazione reciproca, prima contro Craxi e dopo contro Berlusconi. Il cavaliere, che in queste cose è sempre stato un po’ grossier, mise le cose in termini di “toghe rosse”, favoleggiando di una Magistratura Democratica, padrona assoluta dell’ordine giudiziario ed esecutrice fedelissima degli ordini delle Botteghe Oscure (poi Palazzo del Nazareno, dove lui andrà a concludere il ben noto patto).

Ma in realtà le cose sono molto diverse e complesse ed hanno a che fare con le dinamiche della globalizzazione. Nel mondo pre-globalizzazione, quando ancora vigeva un pur senescente ordine westfalico, la magistratura aveva il compito di tutelare l’ordine di classe interno, ma con il declino di quell’ordine internazionale cui corrisponde l’affermarsi di una nuova lex mercatoria (ne abbiamo già detto tempo fa) la magistratura è assorbita in un diverso circuito di potere che la chiama a difendere l’ordine di classe mondiale sancito dal neo liberismo.

In questo quadro, i rapporti fra potere esecutivo e potere giudiziario, che erano in “rotta di collusione” nell’ordine precedente, ora entrano in “rotta di collisione”. E, infatti, non è solo in Italia che, da un quarto di secolo in qua, si registra una ondata di scandali politico-giudiziari senza precedenti e basti accennare a casi come quelli di Fujimori in Perù, Collor De Mello e Kirchner in Argentina, Petrobras-Roussef in Brasile, Spitzer negli Usa, Olmert in Israele, Recruit ed Abe in Giappone, Rubiandini in Indonesia, Rajoy e Cristina Infanta in Spagna, Cahuzak, Sarkozy, Villepin in Francia, Guttenberg e Wulff in Germania, Cameron in Inghilterra tanto per citare i primi che mi vengono in mente senza dover fare alcuna ricerca.

In genere si tratta di casi di corruzione, ma anche di evasione fiscale e, in qualche caso, di illeciti legati al sesso. Sono due concezioni diverse del potere, quella di chi fa la legge e quella di chi l’applica, che divergono nel momento in cui i primi continuano ad avere come propria base di potere il contesto nazionale ed i secondi il contesto internazionale. Mani pulite non fu un fenomeno solo italiano, in Francia, Spagna, Inghilterra, Germania, soprattutto Belgio piovvero i procedimenti contro le rispettive classi politiche, anche se solo in Italia questo portò al crollo del sistema politico. A cavallo fra gli ottanta ed i novanta si svolsero diversi convegni di magistrati  europei sul tema della corruzione e di uno in particolare uscitogli gli atti in francese “La justice ou le chaos” che è tutt’ora una lettura molto istruttiva per comprendere la formazione di questa magistratura “globalista” non coincidente con alcuna particolare corrente organizzata, ma presente in modo trasversale in tutte.

In Italia la spinta proveniente dal nuovo assetto internazionale si sommò alla presenza di una anomalia tutta italiana, una corrente di magistrati particolarmente legata ad un partito politico, il Pci. Ma, attenzione, non è di tutta Magistratura Democratica che si parla, ma di una corrente interna ad essa, quella particolarmente forte nei distretti giudiziari di Milano, Torino e Napoli e che si collocava alla destra di Md, mentre c’era una sinistra (Roma, Bari, Padova) più legata – ma in modo molto fluido all’estrema sinistra degli anni settanta ed ottanta ed un centro che ruotava intorno a Marco Ramat, originariamente alleato alla sinistra e che passò all’alleanza con la destra filo Pci con il congresso di Giovinazzo, nel 1979. Via via, Md ha subito molte trasformazioni e, dopo la scandalo P2, che portò al crollo di Magistratura indipendente, ha stabilmente fatto parte della maggioranza nell’Anm, in coalizione con Unità per la Costituzione.

Nella fase iniziale di Mani Pulite e, successivamente in quella dello scontro con Berlusconi, le due aree, quella globalista e quella filo Pci-Pds-Ds-Pd, non si distinguevano granché l’una dall’altra ed entrambe sostenevano la necessità di applicare con rigore le leggi anche agli uomini di governo. Le cose cambiano ora che al governo ci sono gli amici del Pd (e basti vedere quanto magistrati, in questo anni, sono stati parlamentari del Pds-Ds-Pd). Adesso l’uscita di Davigo ha portato allo scoperto  le differenze fra “globalisti” e uomini legati al Pd che si sono precipitati a difendere l’autonomia della classe politica, la necessità di evitare toni demagogici e populisti, di distinguere fra politici e politici, Bruti (quello che rinfacciò al suo vice, che attaccava Md di non ricordarsi di averne avuto i voti determinanti per avere il posto che occupava) si è persino lasciato andare a dire che “i magistrati non danno i voti ai governi”. Ve la immaginate una frase del genere ai tempi di Berlusconi premier. Forse Davigo, con la sua intervista al Corriere, ha voluto lanciare un ballon d’essai per saggiare quanti sono pronti alla crociata contro Renzi che, dal suo canto, dice che “I giudici devono parlare attraverso le sentenze “ e, per il resto, tenere il becco chiuso (questo però lo ha sottinteso. Ed allora, Borrelli che di fronte al governo incitava al “Resistere, Resistere, Resistere”?) Certo: i magistrati dovrebbero osservare un maggiore riserbo soprattutto in tema politico. Ma questo in condizioni normali, ma vi sembra che un paese con una classe politica così indecente sia in condizioni normali?

Tutto lascia intendere che sia per riaprirsi  la guerra fra potere politico e potere giudiziario, ma questa volta con una spaccatura anche fra magistrati. Renzi dice “Dai magistrati mi aspetto sentenze”. Io quella frase, al suo posto non la direi: rischia d’essere preso troppo sul serio ed... accontentato. E poi, chissà i brividi per la schiena di papà Boschi!

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