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21/04/2016

New York lancia Hillary e Trump

di Michele Paris

Le primarie nello Stato di New York hanno premiato come previsto i candidati in testa nella corsa alla nomination per la Casa Bianca sia tra i Democratici che i Repubblicani. Per Hillary Clinton e Donald Trump, le rispettive e più o meno scontate vittorie di martedì hanno messo fine, almeno per il momento, alle ansie e ai timori delle ultime settimane e che sembravano poter intaccare il loro status di favoriti.

A giudicare dalle reazioni dei media negli Stati Uniti, le prime elezioni primarie competitive a New York da molti anni a questa parte hanno dato un impulso decisivo alle campagne dei due “frontrunners”. Trump, in particolare, dopo settimane durante le quali erano stati pubblicati centinaia di commenti e analisi che presagivano un percorso sempre più complicato verso la nomination, si ritroverebbe ora con il successo finale a portata di mano.

Le dimensioni dell’affermazione nel suo stato, in effetti, pesano come un macigno sulle speranze dei suoi due rivali, il senatore del Texas, Ted Cruz, e il governatore dell’Ohio, John Kasich. Il superamento in quasi tutti i distretti elettorali del 50% dei consensi ha permesso a Trump di aggiudicarsi ben 89 delegati sui 92 in palio. Il businessman newyorchese ha chiuso con oltre il 60% dei voti nello stato, mentre a ottenere i restanti delegati è stato Kasich (25%). Cruz è rimasto invece a bocca asciutta, fermandosi al 14,5%.

L’esito del voto di New York è indubbiamente dovuto in parte al fatto che Trump giocava in casa e che il suo principale sfidante, Cruz, è attestato su posizioni ideologiche lontane anni luce dalla maggioranza dei Repubblicani dello Stato. Vista la storia di queste primarie e della sua ascesa, a influire sullo sfondamento di Trump a New York è stato però probabilmente anche l’effetto delle polemiche con l’establishment del partito in cui è stato di nuovo coinvolto alla vigilia del voto.

In questo caso, lo scontro era avvenuto sulle nomine, in vari stati americani, dei delegati da inviare alla convention Repubblicana di luglio, quasi sempre favorevoli a Cruz e determinanti in un eventuale voto per l’assegnazione della nomination una volta svincolati dai risultati di primarie e “caucuses”. Trump ha trasformato la polemica nell’ennesimo conflitto con i vertici di un partito che cerca di ostacolarlo in tutti modi, così che quelli che sono stati definiti come grattacapi dalla stampa sono diventati un punto di forza per la sua campagna, vista la disposizione decisamente anti-sistema dell’elettorato americano di entrambi gli schieramenti.

L’onda del successo a New York potrebbe avere effetti positivi sulla corsa di Trump ma, come minimo, per scongiurare ribaltoni alla convention dovrà confermare i margini di vittoria di martedì in molti degli appuntamenti a venire, a cominciare dalle primarie di martedì prossimo in vari stati a lui comunque favorevoli: Connecticut, Delaware, Maryland, Pennsylvania e Rhode Island. L’obiettivo del partito e dei due contendenti resta quello di impedire a Trump di aggiudicarsi la maggioranza assoluta dei delegati durante primarie e “caucuses”, e dunque lasciare liberi questi ultimi di votare il loro candidato preferito alla convention di Cleveland.

Per i Democratici, la netta affermazione di Hillary Clinton ha un peso notevole dal punto di vista psicologico, anche se non aggiunge molto agli equilibri numerici. L’ex segretario di Stato ha aumentato di una trentina di delegati il suo margine di vantaggio già piuttosto consistente sul senatore del Vermont, Bernie Sanders. Soprattutto, però, ha fermato un’emorragia che durava da varie settimane, nelle quali Sanders aveva prevalso in sette delle ultime otto sfide.

Martedì, Sanders ha sopravanzato Hillary in 49 delle 62 contee in cui è suddiviso lo stato di New York, ma quest’ultima ha portato a casa quelle più popolose, affermandosi in tutti e cinque i “boroughs” della città di New York, così come nelle contee di Long Island e in quelle a nord della metropoli.

Alcuni giornali negli Stati Uniti hanno provato a spiegare come Sanders, nativo di Brooklyn, abbia perso la sfida decisiva di New York commettendo una serie di errori strategici: dagli attacchi con toni accesi a Hillary a qualche incerta dichiarazione pubblica alla trasferta-lampo in Vaticano della settimana scorsa.

Anche in questo stato, però, Sanders è stato in grado di mobilitare un numero di sostenitori di gran lunga superiore a quelli accorsi per gli altri candidati Democratici e Repubblicani. I sondaggi su scala nazionale, poi, hanno evidenziato come Sanders abbia in pratica chiuso il gap che lo separava da Hillary nel gradimento degli elettori.
A influire in maniera forse decisiva sulla sua sconfitta con un distacco di quasi 16 punti percentuali potrebbero essere state invece le regole elettorali previste dal Partito Democratico di New York, scritte appositamente per salvaguardare lo status quo.

Qui come in altri stati, infatti, nelle primarie del partito possono votare solo gli elettori registrati come Democratici, mentre i circa 3 milioni registrati come “indipendenti” risultano esclusi. Proprio questa fetta di elettorato ufficialmente non allineato a nessun partito ha costituito finora la base d’appoggio più solida del cammino di Sanders, il quale ha ottenuto la maggioranza dei consensi tra gli elettori registrati come Democratici solo nel suo stato, il Vermont.

Non solo, nello stato di New York chi non era registrato nelle liste elettorali poteva farlo entro un termine scaduto 25 giorni prima del voto, quando cioè le campagne dei due candidati non avevano praticamente nemmeno iniziato a operare. Ciò ha favorito Hillary, molto più nota di Sanders in uno Stato per il quale venne eletta al Senato di Washington. Ancora peggio, poi, gli elettori registrati come “indipendenti” avevano la possibilità di cambiare la loro affiliazione e quindi votare nelle primarie Democratiche (o Repubblicane) entro il 25 ottobre dello scorso anno, quasi sei mesi fa, quando Sanders sembrava destinato a svolgere un ruolo minore nella corsa alla nomination.

Rilevanti, anche se con ogni probabilità non decisive, sono state infine le numerosissime irregolarità segnalate nelle operazioni di voto in molti seggi. Oltre a carenza di personale e macchine per la votazione non funzionanti, il dato più preoccupante è stato quello della sparizione di decine di migliaia di elettori dalle liste degli aventi diritto. Solo a Brooklyn, i Democratici hanno visto diminuire di ben 60 mila il numero di elettori registrati per il proprio partito negli ultimi mesi, laddove in quasi tutte le contee dello stato di New York è stato registrato un aumento.

Dopo il voto di New York, Hillary Clinton ha comunque mostrato di sentirsi ormai vicinissima alla nomination, come ha affermato per la prima volta in maniera esplicita nel suo intervento alla chiusura delle urne. La ex first lady è data in vantaggio in tutti e cinque gli stati del nord-est che voteranno martedì prossimo e anche quelli a cui Sanders puntava (Connecticut, Pennsylvania, Rhode Island) potrebbero non essere più competitivi dopo il risultato di New York.

Sanders, da parte sua, ha chiuso la serata di martedì con una dichiarazione di circostanza per poi ritirarsi nella sua residenza in Vermont, lasciando intendere forse per la prima volta di voler riflettere su un possibile ritiro tra qualche settimana e sull’atteggiamento da tenere nei confronti di Hillary e del Partito Democratico, di cui è entrato a far parte in maniera formale solo lo scorso anno.

Con Hillary prossima alla nomination, il ruolo di Sanders avrà un certo rilievo in vista delle presidenziali di novembre. Il Partito Democratico si aspetta evidentemente che il veterano senatore appoggi senza riserve la sua rivale nelle primarie e, di certo, egli stesso aveva pensato fin dal lancio della sua campagna al momento in cui si sarebbe fermato e avrebbe dato il suo “endorsement” a Hillary. D’altra parte, la sua candidatura ha avuto fin dall’inizio il compito di esprimere il malcontento e le frustrazioni della sinistra USA per poi convogliarle in maniera inoffensiva all’interno del Partito Democratico.

Le aspettative che la candidatura di Sanders ha sollevato in ampie fasce della popolazione e, in particolare, tra giovani e lavoratori a basso reddito, rende però questa scelta, tipica delle primarie americane per entrambi i partiti, piuttosto complicata o, quanto meno, imbarazzante. Sanders ha presentato agli americani un’agenda per molti versi progressista come non accadeva da decenni, combinando politiche di redistribuzione sociale con attacchi a Hillary Clinton in quanto rappresentante di Wall Street e dei poteri forti del paese.

Forse involontariamente, vista la sua sostanziale fedeltà al Partito Democratico nei decenni trascorsi al Congresso, ciò ha contribuito a portare i riflettori sulla vera natura di Hillary, già di per sé ampiamente disprezzata da moltissimi americani, indebolendo ancor più la sua posizione di candidata alla Casa Bianca.

Questo aspetto è sicuramente da considerare, soprattutto alla luce del fatto che il confronto che si prospetta a novembre sarà tra due candidati – Hillary Clinton e Donald Trump – tra i più impopolari nella storia politica americana. Un recente sondaggio di NBC News e Wall Street Journal ha rilevato come Hillary sia vista con sfavore dal 56% degli intervistati e positivamente solo dal 32%, con un saldo negativo pari al 24%. In una situazione peggiore si trova solo Trump, con un saldo negativo del 41%, mentre Sanders è in positivo del 9%.

Hillary, inoltre, suscita sentimenti negativi tra la maggioranza degli elettori maschi, tra le donne e tra i bianchi (sia uomini che donne). Un bilancio positivo lo può vantare solo tra gli appartenenti a minoranze, come neri e ispanici. Proprio il favore che Hillary raccoglie tra questi ultimi è stato determinante nel portarla a un passo dalla nomination e ciò dipende non tanto da inesistenti iniziative sue e del marito per l’emancipazione delle minoranze etniche negli Stati Uniti. Anzi, ad esempio, la “riforma” giudiziaria di Bill Clinton del 1994 ha se mai determinato un’impennata nel numero di detenuti tra gli americani di colore negli ultimi due decenni.

Il relativo successo di Hillary tra neri e “latinos” dipende in larga misura dalla promozione delle politiche identitarie da parte del Partito Democratico in questi anni, non a caso in parallelo con lo spostamento a destra registrato sulle questioni economiche, sociali e della sicurezza nazionale.

Questo contribuisce a spiegare perché gli appartenenti a minoranze etniche compongano una fetta molto consistente degli elettori registrati come Democratici, i quali a loro volta sono stati gli unici a poter votare in alcune primarie che sembrano avere deciso le sorti della nomination in casa Democratica, come appunto quelle nello stato di New York di questa settimana.

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