Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

21/04/2016

Il garantismo da Beccaria a Verdini. Una breve storia materiale

Il discorso di Renzi al Senato, durante il dibattito sulla sfiducia al governo, dedicato alla “barbarie giustizialista” suggerisce qualche riflessione sul garantismo. O, meglio, sulla sua versione ventunesimo secolo. Tanto più che, scomparso dalla società italiana ogni tangibile riferimento al superamento del carcere, del prigionismo, del mito della pena anche il garantismo non viene più percepito nei suoi aspetti paradossali. E stiamo parlando di paradossi che investono le politiche e la concretezza quotidiana.

Prendiamo Beccaria, citato invariabilmente come alla radice di ogni garantismo per il concetto di proporzionalità della pena. Oggi sfugge e non di poco, la materialità del discorso di Beccaria. Quella che, invece, Foucault aveva fissato – in Sorvegliare e punire come ne La società punitiva – come elemento cardine della nuova economia del disciplinamento. E la parola economia non è certo, qui, spesa a caso. Per Foucault infatti, la nuova economia settecentesca del grano, quella che lui leggeva dall’analisi storiografica dell’andamento dei prezzi dei mercati parigini dell’epoca, influenza direttamente il discorso di Beccaria. Si trascura spesso l’importanza dell’economia del grano, e del raccolto, nel mondo contemporaneo. Ad esempio, nella pratica di stipulare assicurazioni sul prezzo del raccolto futuro, è alla base della nascita dei futures di borsa così come li conosciamo. Beccaria, in Foucault, influenzato da questo modo di costruire i concetti, costruisce un nuovo approccio disciplinare, un nuovo dispositivo della docilità dei corpi, che si basa su tre livelli: giuridico (la modalità di fare e pensare le leggi), disciplinare in senso stretto (cosa rendere docile e come, attraverso istituzioni concrete) e governamentale (quale rete di potere attivare, e come, nelle istituzioni disciplinari). Qualcosa di molto diverso dal Beccaria pensato come difensore nei confronti degli abusi dello stato. Perché per Foucault, Beccaria applica al disciplinamento le regole della nuova economia del grano legittimando per la pena solo i principi elementari, e universalistici, di punizione e correzione. In questo modo il sistema della penalità, così come un’agricoltura ormai razionalizzata, si libera di comportamenti anacronistici (come la gogna) e antieconomici. Ed è pronto al grande salto dell’universalizzazione: agile, economico è in grado ormai di produrre leggi, disciplinamento e governamentalità in ogni interstizio sociale. Quando si dice che economia e filosofia del diritto si guardano sul serio, insomma. Saltano inoltre due miti con l’impostazione foucaultiana su Beccaria: quello della protezione dell’individuo col garantismo, il controllo passa dalla sua fase brutale a quella della forza microfisica e diffusa del soft power, e quello della legalità. L’idea che la legge sia garanzia in quanto legge viene vista qui nella sua ottica reale: la legge disciplina quindi è in grado di attivare, altro che la libertà, una forte reticolarità universale di controllo. Tanto più è legittimata in quanto legge, tanto più controlla sul piano microfisico, tanto più è implacabile. Quando Renzi parla chiede garantismo, mettendo tra parentesi il fatto che guarda a Verdini e non certo al miglior formalismo giuridico, serve quindi una modalità di controllo, di messa a docilità, di potere gerarchico appena sterilizzato dalla norma giuridica. Ovviamente, quando si parla di garantismo, da Beccaria a Verdini è cambiato qualcosa, non solo in termini di evoluzione delle società di controllo nè, naturalmente, solo in quelli di statura dei personaggi. Stiamo parlando del passaggio da un garantismo tarato sull’economicità, sull’evoluzione della nuova economia agricola, pronto per farsi dispositivo universale di disciplinamento ad un altro genere di garantismo. Quello basato sulla tutela della mano libera delle reti di affari neotribali del liberismo. Così, la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio non vale, tanto, per l’accusato politico (la cui presunzione di innocenza viene azzerata dai media che suggeriscono immediate politiche di contenimento). Vale soprattutto per una rete di affari di cui un individuo fa parte che, in questo modo, rimane intatta quanto possibile nelle cariche istituzionali occupate, nella possibilità di commerciare, guadagnando tempo. E in un modo, quello garantista attuale, che spacca l’universalità del diritto. Mentre in Beccaria il nuovo regime disciplinare universalistico superava un sistema duale del diritto, tipico dell’Ancien Régime, il garantismo attuale, Verdini style, lo reintroduce. Perché Beccaria guardava al capitalismo nascente e il garantismo di oggi guarda a quello del mondo delle bolle finanziarie: dove le reti di potere vanno tutelate nell’esercizio, pieno di rischi di ogni tipo, delle loro azioni. Certo, essendo ancora formalmente universalistico, facendosi ancora forza del vecchio rapporto tra disciplinamento, docilità e diritti universali, il concetto di garantismo può ancora essere preso in mano da molti soggetti. Ma l’egemonia, nell’uso del concetto di garantismo, è in mano a coloro che praticano una concezione duale del diritto. Come, a livello globale, fanno i Soros che di finanza e diritto internazionale ne sanno qualcosa. E cosa dire del concetto di garantismo in senso stretto? Coniato da Fourier, lo stesso filosofo che ha direttamente ispirato la costruzione della divisione in lotti del quartiere Paolo VI di Taranto, vicino alle acciaierie: in questo senso origine del garantismo, utopia urbanistica, disastro sociale, economico e ambientale sembrano guardarsi direttamente in faccia.

Ma c’è un altro elemento al quale, nel concetto di garantismo che ha compiuto il passaggio da Beccaria a Verdini, si vogliono spezzare le dita: i media. I quali, avendo capacità di far sentire la pressione sociale, se si alleano con una pratica universalistica del diritto, non solo riproducono una società disciplinare di nuovo tipo (su questo Deleuze è una pietra miliare) ma mettono in discussione proprio il garantismo che nasconde questa concezione duale del diritto. Perché la concezione duale del diritto, in questo caso davvero erede dell’Ancien Régime, ha bisogno di discrezione non di show. Vuole governare lo spettacolo, non esserne governata. Per questo Renzi, in Senato, ha parlato di 25 anni di “barbarie giustizialista”. La barbarie, per i Renzi, è finire in tv trattati come notizia quanto il delitto di Avetrana, un gommone avvistato a Pantelleria o l’ultima carambola stradale. Ci dovrebbe essere, si sottintende, una discrezionalità del potere che i media dovrebbero rispettare. Altrimenti, come si vede, è denuncia di barbarie. Quella di Renzi è una denuncia di barbarie che teme le telecamere non i cannibali.

Ma dal 1992 ad oggi lo scontro tra settori della magistratura e del ceto politico si gioca tutto su un piano di conclamata materialità. Altro che “magistrati politicizzati”, formula berlusconiana coniata per suggerire un rapporto tra politica e lotta di fazione irrazionale. C’è un nesso politica, appalti, grandi (e piccole) opere che, dall’inizio degli anni ’90, ha incontrato l’intervento regolatore della magistratura. Ed è anche il nesso dove c’è la grande politica, tutta, le banche, le reti neotribali della negoziazione affaristica. Basta guardare alla biografia di Impregilo, per dirne una. Stiamo parlando di arterie vitali del potere italiano che, nell’ultimo quarto di secolo, ha mollato la rappresentanza sociale dedicandosi esclusivamente alla diplomazia del business-to-business. Ma tanto più questo nesso politica-appalti, ha dovuto incontrare le enormi mutazioni del settore dei lavori pubblici, tanto più si è scontrato con l’intervento regolatore della magistratura. Senza entrare in dettagli infiniti, quanto infinitamente interessanti, tanto più la politica si identifica con le esigenze del privato, facendosi sopratutto mediazione di business, tanto più lo spazio vuoto del politico è occupato dalle istituzioni, e dai poteri della regolazione, quindi della magistratura. Naturalmente la magistratura sostiene formalmente un concetto di garantismo alla Beccaria, per legittimare il rinnovarsi di un dispositivo che si vuole universalizzante, quindi esteso, di potere. Mentre il garantismo alla Renzi di filosofi ne usa pochi, usa soprattutto Verdini per sostenere una concezione, di fatto, duale del garantismo. Quella per chi è in grado di godere di immunità, avvocati, allungare i tempi dei processi e quelli per agire in discrezione. Quella che serve al potere neotribale della mediazione business-to-business all’italiana per continuare ad esistere sul settore, molto incerto ma strategico, delle grandi opere. Se dietro a Beccaria c’era la nascente economia produttiva, dietro Verdini c’è un settore di grandi appalti in tumultuosa, e incerta, trasformazione. Ad ognuno la sua base materiale.

Le difficoltà della politica, di tutte le colorazioni della sinistra, stanno nell’aver perso contatto con la materialità delle ristrutturazioni, non solo delle concezioni del diritto ma anche delle modalità di estrazione della ricchezza. Per cui si passa dall’uso delle inchieste della magistratura come surrogato di inchieste che la politica non sa più fare; dalle parole arcaiche di Tangentopoli sui processi e sulle manette, a una concezione del garantismo che non sa bene cosa sta riproducendo. Se una concezione che serve ad un nuovo disciplinamento della società, oggi giocoforza tecnologicamente innervato, oppure una che aiuta una concezione duale del diritto. Il punto è che non esistendo egemonia di una concezione, una pratica, una politica del diritto e dell’economia vediamo, a sinistra e non solo, agitarsi personaggi che recitano a soggetto. Perchè un pragmatismo politico privo di una conoscenza della natura delle nostre società porta ad impugnare oggi qualche parola di garantismo, domani qualche frase di denuncia degli abusi sui lavori pubblici e dopodomani si vedrà. Dimenticando che, proprio rimanendo al tema delle grandi opere, il garantismo invocato non è certo stato poi raccolto nei confronti delle lotte sociali, vedi caso Tav, ma soprattuto per i Verdini. In una, appunto, concezione duale del diritto e delle garanzie.

Quindi, quando si parla di garantismo, piuttosto che a Beccaria o a Filangieri – un altro che sul rapporto tra nuova scienza del disciplinamento e nascente economia capitalistica ha saputo dire molto, prima che la cultura italiana lo beatificasse – è meglio guardare a cosa, in tutto questo corpo del discorso, si intravede davvero. Ad una nuova universalizzazione del disciplinamento, dove l’assoggettamento si dà poi sempre un un piano nuovo, nel caso di chi sostiene, a spada tratta, ogni comportamento della magistratura. Oppure ad una concezione duale del diritto che, una volta tolta la retorica del potere, bada a garantire reti neotribali di potere entro una mediazione business-to-business che non vuole intralci. E’ chiaro che a sinistra qui ci sono due grandi ostacoli culturali a) la mancanza di abitudine a guardare a questi piani strategici b) la vertigine provocata da tutto ciò che non risulta traducibile in un post o in un tweet c) l’enorme difficoltà a tradurre questi problemi in termini politici e di comunicazione.

Visto poi che, in ogni caso, la versione del garantismo alla Verdini piace solo ai diretti interessati, è bene capire verso quale versione del garantismo, matura, di fatto ci si sta rivolgendo. Quella che, a suo tempo, ha trovato trionfo nell’Italia unitaria e liberale rintracciabile in una figura del primo ottocento, Gian Domenico Romagnosi. Si tratta di un autore che, per le competenze dell’epoca, riuniva diritto, garanzie individuali ed economia. Si guardi alla sua Collezione degli articoli di economia politica e statistica e civile. E’ costellata di un garantismo che invoca la libera impresa e il laissez-faire liberista. D’altronde, all’epoca, si andava verso la prima globalizzazione, la cui versione liberale italiana portò danni non da poco alle masse dell’Italia unitaria. Oggi, nella seconda globalizzazione, disorientati dalla velocità, e dalla consistenza di quanto accade, si imbracciano formule simili, culturalmente eredi di quel passato. I danni, di questa sorta di social-liberismo ovviamente, verranno messi in conto ad altri. Ci mancherebbe.

Per Senza Soste, nique la police

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento