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24/03/2016

L’Intelligence buona che ci salverà

Non le bombe, che usano loro, i terroristi. Le nostre bombe non li neutralizzeranno perché dovremmo tempestare di fuoco i loro quartieri che sono nelle nostre città. Ogni angolo d’Occidente ha la sua Molenbeek e non saranno gli Orbán e i Salvini a cancellarle. Le nostre bombe, sganciate da caccia e droni, colpiscono altrove. Magari neppure i parenti dei miliziani maghrebino-belgi, ma gli iracheni e gli afghani sì. Anche quest’intervento, dunque, non serve, lo dimostrano quindici anni di ‘guerra al terrorismo’ che hanno solo fatto lievitare il terrore. Da Oriente a Occidente. E’ vero che il terrorismo sarebbe cresciuto per proprie strategie, però la politica imperialista lo concima bene. E lo arma e lo finanzia, con e senza gli alleati sunniti. Egualmente non bastano le forze di sicurezza che in Belgio, come in Afghanistan, non funzionano affatto. Siamo d’accordo con Giuliana Sgrena che, nell’odierno editoriale su Il Manifesto, medita sul tema e afferma un’altra verità quando dice che occorre una conoscenza approfondita dell’ideologia di quel wahhabismo che costruisce martiri, fabbricandone illusioni e seminando morte. E allora: “Chi può supplire a questa carenza di conoscenze interne a quel mondo? – si chiede Sgrena.

E si risponde: “Solo un’intelligence che abbia come obiettivo quello di raccogliere informazioni non per giustificare un intervento militare o compiacere un governante ma per essere al servizio della sicurezza dei cittadini e dello stato”. E noi ci chiediamo e le chiediamo: esiste? Lei ricorda (come non potrebbe) la sua personale vicenda e il sacrificio di chi le salvò la vita, il Nicola Calipari che “è stato fondamentale per la mia salvezza e quella di altri ostaggi, perché conosceva il terreno, sapeva come e con chi trattare, era consapevole che senza la conoscenza dell’intelligence non ci può essere una strategia politica”. Tutto vero. Ma oltre quel tragico evento, quali strategie aveva potuto attuare Calipari per indirizzare diversamente il corso di quella storia? Alla fine ne è rimasto vittima, ucciso dal fuoco “amico” di chi comunque decide la sorte dell’esistenza di tutti. Fu solo un errore o una mancanza di coordinamento fra apparati? Inutile perdersi nei meandri di segreti che non sapremo mai, oppure sì: perché sulla vicenda è subentrato il classico segreto di Stato? Peccheremo forse di ruvida ingenuità continuando a pensare, come la parte politica cui Sgrena appartiene, che i nostri Servizi interni e quelli internazionali non puntino alla sicurezza dei cittadini e in tanti casi neppure dei propri addetti.


Non solo Calipari ha terminato anzitempo i suoi giorni. Simile sorte, certo in contesti differenti, hanno vissuto personaggi se non agenti dell’Intelligence, comunque coinvolti con tanto di divisa e gradi in segreti di Stato come la strage di Ustica. Gli apparati di sicurezza potranno anche reclutare, formare, utilizzare agenti galantuomini della stoffa di Calipari, ma costoro dovranno sempre render conto a comandi, governi, partiti che li utilizzano in tante occasioni per strategie né democratiche né libertarie. Perché questi piani rispondono a progetti decisamente più ampi, a linee di sicurezza per l’Occidente tuttora dettate dalla Nato, che, la Sgrena e Il Manifesto sanno, si tracciano a Washington e a Langley. Questo insegna la Storia, lontana e recente. E se il conflitto, o guerra asimmetrica col terrore, prevede anche altri terreni su cui l’Europa è coinvolta, come la questione dei profughi, è sempre la Politica, con la maiuscola, a dettare le danze. A dare le misure di ciò che i “tecnici delle Intelligence” devono o non devono fare. Purtroppo anche gli agenti galantuomini, se pure ci sono, dipendono dalle strategie del Potere.

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