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31/03/2016

Le guerre che l’Europa si prepara a combattere

Le guerre del XXI Secolo si caratterizzano per due fattori: l’uso e la sperimentazione delle tecnologie più avanzate in funzione militare, che riducono al minimo il numero di perdite tra i soldati, e specularmente la mattanza di civili in proporzione assai superiore rispetto al passato. Le guerre moderne diventano così un’orgia tecnologica e un concentrato di terrore/terrorismo puro tra la gente normale.

L’Unione Europea sta facendo i conti con entrambi i fattori, ma solo il secondo – a causa degli attentati di Parigi prima e di Bruxelles poi – sta ottenendo la meritata attenzione. Il primo fattore, quello dello sviluppo delle tecnologie di guerra, continua a passare inosservato o sottovalutato ed invece proprio su questo terreno la tabella di marcia innestata dalle classi dominanti europee e dalle istituzioni di Bruxelles, sta bruciando le tappe superando ritardi e arretratezze di anni. Nel prossimi Consiglio Europeo di giugno, verrà presentato da mrs. Pesc Federica Mogherini il documento sull’European Union Global Strategy (Eugs). Poco più di un mese fa invece un gruppo di esperti nominato dalla Commissione Europea, ha presentato il suo Report sull’European Defence Research.

Cosa c’è di nuovo, interessante e inquietante in questi documenti? In primo luogo il fatto che il complesso militare-industriale europeo si candida a promuovere e svolgere “un ruolo determinante per contribuire ad una migliore e più efficace politica di sicurezza e difesa del continente europeo”. Non è un dettaglio, perché – affermano gli esperti – detenere e gestire un vantaggio tecnologico “è un elemento fondamentale di ogni politica di deterrenza così come di ogni intervento volto ad assicurare la stabilità internazionale e contrastare ogni minaccia alla sicurezza e alla convivenza”. Non solo, essi sottolineano anche come “Ogni eventuale azione di tipo militare o di sicurezza in senso lato poggia sulla necessità di un rafforzamento delle capacità tecnologiche e industriali europee volte a garantire un livello minimo di autonomia strategica dell’Europa”.

Molti, troppi osservatori continuano a guardare con distrazione e sufficienza a quanto si muove dentro le industrie tecnologiche e nelle istituzioni europee che ne agevolano in ogni modo i progetti. Sarà perché molti progetti di carattere militare vengono occultati dalla ricerca, sperimentazione, produzione formalmente di tipo civile. Ma già dalla metà del XX Secolo attraverso la categoria del “dual use” moltissimi brevetti e applicazioni hanno avuto, hanno ed avranno ricadute sia sul piano civile che militare. Gli unici ad averlo sottovalutato, e spiace dirlo, furono i dirigenti sovietici che hanno sottovalutato le ricadute sociali e civili delle innovazioni tecnologiche realizzate in campo militare, protraendo il segreto e la limitazione delle applicazioni nello sviluppo delle forze produttive oltre ogni ragionevole tappa.

Il dual use è quella sottilissima soglia che consente di utilizzare le tecnologie e le loro applicazioni sia per scopi civili che militari in pochissimo tempo e in moltissimi campi. Lo sono stati la cibernetica prima e internet poi. Il nucleare è uno di questi, ma lo sono anche i droni, i sistemi satellitari come il Gps, i nuovi motori a propulsione etc. Ed infatti gli esperti nominati dalla Commissione Europea hanno gioco facile nel rivendicare che “la dualità delle tecnologie avanzate e l’interazione col crescente settore della sicurezza avvalorano sempre di più il ruolo del settore della difesa nello sviluppo di una nuova Europa tecnologicamente avanzata”.

L’ambizione degli stati europei di affrancarsi da decenni di dipendenza tecnologica, politica e militari degli Usa, sta producendo passi in avanti notevoli. Lo segnala un autorevole membro dell’Istituto Affari Internazionali quando descrive bene come “In realtà l’Europa è uno strano animale che evolve per approssimazioni successive, spingendo l’integrazione là dove risulta più necessaria e, quindi, politicamente più sostenibile”. E non è irrilevante, come segnala appunto Michele Nones consigliere scientifico dello IAI in un suo breve saggio, che questa accelerazione sia avvenuta negli ultimi dieci anni, introducendo anche un significativo cambio di paradigma dal semplice concetto di “difesa” ereditato dalle promesse post seconda guerra mondiale affinché l’Europa non fosse più teatro di conflitti devastanti, a quello più offensivo di “Sicurezza e Difesa” che allude anche alle capacità di proiezione all’esterno. “Per fortuna l’allargamento della “difesa” alla più ampia “sicurezza e difesa”, lo sviluppo della nuova dimensione duale nell’innovazione e nella realizzazione di equipaggiamenti ad alta tecnologia, la necessità di una comune capacità di proiezione internazionale” scrive Nones “hanno consentito di far rientrare dalla finestra quello che era stato buttato fuori dalla porta: l’Unione Europea ha, quindi, potuto, soprattutto in questo decennio, occuparsi di alcune problematiche della difesa” Va in questa direzione la Preparatory Action on Csdp related research con cui, per la prima volta, la Commissione Europea finanzierà direttamante e sperimentalmente alcuni progetti di ricerca nel campo della difesa.

Quello che per anni abbiamo definito come keynesismo militare, trova proprio nell’Unione Europea il terreno fertile per realizzarsi, sia economicamente che ideologicamente. “Una prima barriera, anche ideologica, è stata rimossa con l’entrata in vigore, nel settembre 2014, del nuovo sistema di contabilità europeo Esa 2010 che considera le attività relative alle acquisizioni e R&T militari come investimento e non più come consumi intermedi” ammette entusiasticamente il dirigente dello IAI.

“Questo significa riconoscere che le spese per acquisizione di equipaggiamenti e R&T militare rappresentano veri e propri investimenti con conseguente creazione di ricchezza”. Alcuni dati parlano chiaro: con un giro d’affari di 96 miliardi di euro nel 2012, 400.000 dipendenti diretti e 960.000 posti di lavoro indiretti, l’industria europea della difesa è un settore industriale ormai di primaria importanza. Per chi volesse saperne e capirne di più, dal 22 al 24 giugno ad Amsterdam si svolgerà la conferenza europea Industrial Technologies 2016. Si tratta del più grande evento Ue nel campo delle nuove produzioni di materiali tecnologici, nanotecnologie, biotecnologie e digitale. Gli organizzatori prevedono la partecipazione di più di 1.250 delegati di alto livello.

Scopriamo così che il Programma europeo “Horizon 2020” dovrebbe attivare circa 80 miliardi di euro nei sette anni programmati, ed anche destinando una relativa percentuale di risorse, potrebbe consentire all’Europa un “salto tecnologico senza precedenti nel settore dell’aerospazio, sicurezza e difesa, recuperando l’attuale preoccupante ritardo”.

Sui sistemi satellitari ad esempio, il sistema Galileo sarà operativo tra pochissimo tempo – se non ci sono incidenti si parla di fine 2016 – consentendo a tutti gli europei ma anche alla Cina di sganciarsi definitivamente dal monopolio del Gps statunitense. E’ l’Agenzia Spaziale Europea a indicare la tabella di marcia. Alla fine del 2015, il 17 dicembre, sono stati lanciati i satelliti 11 e 12. Il lancio dei satelliti 13 e 14  è in agenda a maggio 2016. In autunno è previsto il primo lancio con il vettore Ariane 5 appositamente concepito per portare in orbita  un carico utile di 4 satelliti. Nei primi sei mesi del 2016 il sistema sarà sottoposto a una campagna di test che porterà all’avvio dell’operatività con la fase denominata Initial Services, obiettivo della Commissione Europea per la fine dell’anno. Un sistema satellitare globale e autonomo europeo, consente una montagna di applicazioni, sia in campo civile e commerciale che, ovviamente, militare.

Gli Usa per anni hanno cercato di dissuadere o bloccare il progetto satellitare europeo affermando che si trattava di una inutile duplicazione. Poi hanno accusato gli europei di un atteggiamento di sfiducia verso gli Usa e la loro storia di messa a disposizione dei partner delle tecnologie statunitensi.  Adesso devono fare buon viso a cattivo gioco. A meno che la vittoria di Trump non produca quelle variabili impazzite che fanno saltare anche le relazioni storiche e precipitano il mondo nei buchi neri. Insomma, le grandi ambizioni della “piccola Europa” stanno crescendo sotto il naso dei molti distratti.

L’Unione Europea non sta solo praticando una politica di austerità che si rivela una vera e propria “guerra contro i poveri”, ma si sta pienamente sintonizzando sulle caratteristiche delle guerre del XXI Secolo. Da un lato ci abitua alle mattanze di civili innocenti, liquidandoli come danni collaterali o male necessario a secondo di dove muoiono, dall’altro sviluppando e finanziando con crescenti risorse pubbliche (che da altre parti proprio per questo vengono tagliate) lo sviluppo di tecnologie dual use, quelle che servono a farsi percepire come una potenza globale. Il keynesismo militare in Europa è decisamente di casa.

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