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22/03/2016

Iran: tra speranza di democratizzazione, cammino autonomo dall’imperialismo e movimenti popolari

Da pochi giorni si è spenta l’eco dei risultati al primo turno delle elezioni per il Parlamento, Majlis, iraniano, che hanno visto una consistente affermazione del blocco politico capitanato dall’attuale Presidente della Repubblica Islamica, Hassan Rohani, e l’entrata nel Parlamento di molte donne, in proporzione allo status ancora misogino e sessista di quella repubblica, che è una moderna teocrazia con basi di massa.

Contropiano ha commentato i risultati di queste elezioni e noi torniamo a parlare di Iran, in una maniera più ampia, magari per avviare un vero e proprio osservatorio su questa Stato chiave nell’asse che va dal Vicino Oriente fino alle sterminate pianure dell’Asia, per usare un suggestivo richiamo leopardiano.

Solo 4 anni fa, nell’estate del 2012, l’attacco militare israeliano, appoggiato dagli USA, all’Iran sembrava cosa fatta; quattro anni dopo, anche a seguito del cronicizzarsi del conflitto civile siriano, e dell’emergere sanguinoso dell’Isis, l’Iran (che ha raggiunto un accordo con le potenze occidentali, l’ONU e la Russia, spalleggiata dalla Cina, sul programma di arricchimento dell’uranio in sede civile) esce dall’embargo economico, diventa, per ammissione in primis degli attuali decisori politici USA, determinante per stabilizzare la Siria, nonché agognato partner commerciale delle imprese europee, oltre che Usa: in Italia, il brasseur d’affaires del capitalismo italico scarsamente internazionalizzato, Renzi, organizza una pomposa visita di Stato del Presidente Rohani, arrivando a coprire le statue dei musei, ove egli sarebbe passato, per non ferire la sensibilità clericale sua e del suo seguito, il tutto al margine di importanti incontri d’affari per le industrie italiane, di Stato e private, che discutono di commesse con la controparte iraniana.

Ma veniamo, per un attimo, riferendoci a fonti ufficiali, ad inquadrare brevemente la storia dell’Iran, una storia statuale, che rimonta a 5000 anni di storia, partendo dalla formazione statale conosciuta come Persia, id est Iran in epoca novecentesca:

“L’Iran (persiano: ايران‎‎, [iˈrɑːn][9]), conosciuto anche come Persia, ufficialmente Repubblica Islamica dell’Iran, è uno Stato dell’Asia, situato all’estremità orientale del Vicino Oriente. L’Iran – sino al 1935 noto in Occidente come Persia – è patria di una della più antiche civiltà del mondo. La prima dinastia dell’Iran si formò durante il regno di Elam nel 2800 a.C., mentre i Medi unificarono vari regni dell’Iran nel 625 a.C.

Nel 633 d.C. cominciò la conquista islamica della Persia, che portò al definitivo collasso dei Sasanidi nel 651 d.C. L’affermazione della dinastia Safavide nel 1501 promosse uno dei rami minoritari dell’Islam, lo sciismo duodecimano, come religione ufficiale dell’Impero, segnando un punto cruciale nella storia della Persia e del mondo islamico. La rivoluzione costituzionale persiana stabilì il parlamento del paese nel 1906, il Majlis, e una monarchia costituzionale, seguiti nel 1921 dall’autoritaria dinastia Pahlavi. Nel 1953 fu spento il primo esperimento democratico del paese per via di un colpo di Stato perpetrato da parte di Stati Uniti e Regno Unito, riportando al potere i Pahlavi. Il dissenso popolare portò alla cosiddetta rivoluzione iraniana, istituendo la Repubblica Islamica dell’Iran il 1º aprile 1979, un regime di democrazia con tendenze autocratiche.

Storicamente il paese era noto come Persia. Il 21 marzo 1935 lo scià Reza Pahlavi chiese formalmente alla comunità internazionale di riferirsi alla nazione con il nome utilizzato dai suoi abitanti in persiano, “Iran”, ovvero “Paese degli Arii”. Alcuni studiosi protestarono contro questa decisione, perché il cambio di nome avrebbe separato il paese dalla sua storia. Nel 1959 lo scià annunciò che i nomi di Persia e Iran erano interscambiabili e di uguale rilevanza in comunicazioni ufficiali e non. Tuttavia il nome “Iran” rimase il termine di uso più frequente in riferimento allo Stato, mentre i sostantivi/aggettivi “persiani” e “persiano” sono tuttora usati frequentemente in riferimento alla popolazione e alla lingua del paese.”

In seguito alla rivoluzione del 1979, l’Iran è diventato una repubblica islamica, realizzando, di fatto, un sistema duale di potere basato sulla compresenza di organi a legittimazione religiosa e organi a legittimazione popolare. Il sistema del Velāyat-e faqīh (‘governo del giurisperito’) progettato dall’ayatollah Khomeini nei giorni della rivoluzione, è basato sull’attribuzione della leadership politica a un faqīh (‘giurista’), incaricato di garantire il rispetto dell’islam da parte del popolo, in qualità di vicario del dodicesimo imam (secondo lo sciismo duodecimano, Muhammad al-Mahdī, appunto il dodicesimo imam, non sarebbe morto ma si sarebbe nascosto nel 9° secolo a.C. e se ne attenderebbe tuttora il ritorno). Il faqīh è incarnato politicamente nella Guida Suprema, che rappresenta la carica più importante dello stato: a sceglierlo è l’Assemblea degli esperti.

Di seguito, nella gerarchia della Repubblica iraniana, viene il presidente, detentore del potere esecutivo: è eletto ogni quattro anni, per un massimo di due volte consecutive, con suffragio universale. Il presidente sceglie i ministri del governo, il parlamento (Majlis) li conferma e ne può chiedere la rimozione. Al Majlis è affidato il potere legislativo: ha struttura unicamerale ed è composto da 290 membri eletti ogni quattro anni.

Per potersi candidare alle elezioni parlamentari e presidenziali è indispensabile avere il beneplacito del Consiglio dei guardiani, formato da sei esperti religiosi nominati dalla guida suprema e da sei giuristi, nominati dal Majlis dietro indicazione del capo del sistema giudiziario, anch’egli nominato dalla guida. Oltre che per il potere di preselezione dei candidati, il Consiglio è uno degli organi più potenti del sistema politico per due motivi: può bloccare l’iter legislativo delle proposte parlamentari e giudica la conformità della legge alla Costituzione e ai precetti islamici. Data la complessità dell’assetto istituzionale, risulta evidente il ruolo prioritario del Consiglio, che agisce sotto lo stretto controllo della Guida Suprema.

Dal 1979 a oggi, solo due uomini hanno ricoperto la carica di guida suprema: l’ayatollah Khomeini, che, dopo avere ideato la posizione, ha ricoperto tale ruolo fino alla morte, nel 1989, e l’ayatollah Khamenei, tuttora in carica. Il titolo religioso di ayatollah non deve ingannare circa la natura della carica. Soprattutto durante l’era Khamenei, infatti, tale carica è andata accumulando sempre più potere politico a dispetto dell’aspetto più squisitamente religioso.

Alla carica di presidente della Repubblica si sono invece alternati negli anni, con mandati limitati nel tempo, i grandi nomi del panorama rivoluzionario iraniano. Se dal 1979 al 1989, nel decennio khomeinista, tale ufficio rappresentava una carica prettamente onorifica, la modifica costituzionale del 1989, che ha eliminato il ruolo di primo ministro e aperto la strada all’ascesa dell’ex presidente Khamenei al rango di Guida Suprema, ha dato nuova linfa anche al ruolo di presidente. Dal 1989 al 1997 sullo scranno presidenziale si è seduto Hashemi  Rafsanjani, a capo della corrente dei cosiddetti ‘tecnocrati’ che, pur muovendosi all’interno dell’orizzonte islamico, chiedevano un rilassamento dell’ideologia rivoluzionaria in favore di un maggiore pragmatismo che potesse risollevare le sorti – soprattutto economiche – del paese. Dal 1997 al 2005 è stata la volta del riformista Mohammad Khatami, i cui tentativi di cambiamento del sistema dall’interno sono falliti, preparando di fatto la strada all’ascesa, nel 2005, del radicale Mahmoud Ahmadinejad. Proprio la rielezione di quest’ultimo, avvenuta nel 2009 tra sospetti di brogli e manipolazioni, ha dato vita a un movimento di protesta noto con il nome di ‘Movimento verde’ che ha messo in evidenza la profonda crisi di consenso e legittimità attraversata dalla Repubblica islamica. A sanare in parte tale crisi è stata nel giugno 2013, l’elezione di Hassan Rouhani, religioso considerato un moderato all’interno del vasto panorama politico iraniano, e ritenuto vicino alla fazione politica guidata da Hashemi Rafsanjani.

Tuttavia il tasso di crescita della popolazione (1,3%) è oggi tra i più bassi della regione, mentre in epoca pre-rivoluzionaria sfiorava il 3%. Questa contrazione è dovuta a diversi fattori, tra i quali l’innalzamento del livello di istruzione delle donne. Il tasso di alfabetizzazione supera l’85% per gli adulti e raggiunge quasi il 99% per i giovani (15-24 anni), maschi e femmine. La percentuale di ragazze che frequentano la scuola primaria è quasi pari a quella dei ragazzi e le donne rappresentano circa il 60% dei laureati nel paese.

Vi è quindi un eccesso di domanda da parte della gioventù iraniana di miglioramento, e finanche di cambiamento radicale delle proprie condizioni di vita, cui sia la condizione di restrizione delle libertà civili, in particolare per le donne, sia le difficoltà economiche legate all’embargo, per alcuni prodotti di fatto 40.nale, non danno la dovuta risposta: l’accordo con l’Occidente, il rientro a pieno titolo tra i Paesi esportatori di petrolio, le prime, limitate liberalizzazioni civili, in un Paese in cui è prevista ancora la lapidazione come pena legale e l’omosessualità manifestata è un reato gravissimo, tentano di arginare una deriva che potrebbe destabilizzare l’assetto teocratico-democratico-sessista di uno Stato, che forse non è paragonabile con nessun altro al Mondo.

Nel campo della Cultura e Società, avanzatissimi sono i progressi scolastici e scientifici di una Repubblica, dove pure vige la censura di Stato sui giornali e sulla produzione intellettuale, dove il Partito Comunista, Tudeh, è al bando per legge, dove ci sono milioni di disoccupati, e metodi di coltivazione delle campagne, che favoriscono i coltivatori di media ricchezza sui piccoli, dopo l’abolizione degli usi comuni e l’esproprio dei piccoli appezzamenti, voluto dallo Sciah Reza Pahlevi, non solo determinano profonde iniquità sociali, ma non consentono uno sviluppo della produzione tale da garantire l’autosufficienza alimentare.

Eppure alle origini della rivoluzione islamica vi è stato un pensiero profondamente di sinistra e di trasformazione, che ne ha consentito, sin dall’inizio, il legame col movimento antimperialista nel mondo, anche ricollegandola al generoso tentativo del Primo Ministro Mossadeq, che nazionalizzò l’industria petrolifera iraniana, concludendo la lunga stagione delle concessioni agli inglesi e per questo fu rovesciato da un colpo di Stato congiunto tra CIA ed Mx britannico, ormai consegnato alla storia per ammissione ufficiale del Presidente Obama.

«Se non potete eliminare l’ingiustizia, almeno raccontatela a tutti»

Ali Shariati (Mashaad 1933- Londra 1977)

Questo nome risulterà sconosciuto ai più, eppure Ali Shariati ha avuto un ruolo fondamentale in quella che poi sarebbe diventata la rivoluzione verde di Khomeini. Purtroppo non ebbe mai l’occasione di vedere coi propri occhi la realizzazione delle proprie idee, poiché morì misteriosamente a Londra nel 1977, dove si era rifugiato a seguito dell’ennesima dura incarcerazione comminatagli dai pretoriani dello Scià. Non è possibile comprendere la reale essenza di quanto accaduto in terra persiana nel 1979, senza conoscere il pensiero di questo eterodosso “islamo-marxista” (etichetta non certa precisa, ma che gli è stata affibbiata negli anni secondo i dettami ideologici dell’Occidente).

Fin da giovane, soprattutto sotto l’influenza del padre, Ali Shariati iniziò ad elaborare un corpus dottrinario radicalmente rivoluzionario, ma non per questo ostile al fattore religioso, anzi. Tenace contestatore del clero oscurantista, riteneva comunque, al contrario di quanto propugnato dai “rivoluzionari da salotto” del Vecchio Continente, che la religione avesse un ruolo fondamentale come mito mobilitante per scardinare l’allora società iraniana passatista, conservatrice e fedele cagnolino degli interessi atlantici. E’ del 1968, anno in cui in Europa scoppiavano le “rivolte” studentesche il suo libro più importante, Islamologia.

In questo testo Shariati descriveva la religione coranica come una vera e propria ideologia a favore della liberazione delle masse dall’oppressione dei clericali, i quali utilizzavano al contrario il Libro Sacro solo per mantenere il proprio potere assoluto. Grande risalto veniva dato a quei passi del Corano dove si parlava di giustizia sociale e della lotta tra oppressi ed oppressori, indicando perciò nell’Islam la via più corretta per la liberazione delle classi sociali più deboli. La religione musulmana veniva indicata chiaramente e nettamente come unico mezzo valido per combattere le ingiustizie del capitalismo e l’oppressione dello Scià.

In poco tempo Islamologia divenne una sorta di libretto rosso tra le giovani generazioni iraniane. Tale fu il successo di Shariati che, nel 1973, il regime atlantista dell’epoca ne ordinò l’arresto ed una durissima carcerazione. Per fortuna il suo nome era nel frattempo divenuto famoso in quasi tutto il mondo, così nel 1975 fu liberato a seguito delle forti pressioni internazionali. Ricordiamo, per inciso, che proprio in quell’anno Amnesty International definì l’Iran il peggior paese violatore dei diritti umani. Ma il suo sacrificio, come detto prima, non fu invano. Dopo solo due anni l’imam Khomeini, che si trovava in esilio a Parigi, potrà finalmente tornare a calpestare il suolo l’iraniano dopo la cacciata di Reza Pahlavi, dando vita a quella rivoluzione islamica che mai dimenticò di coniugare la tradizione religiosa con la questione sociale, indicando chiaramente il nemico principale: “i capitalisti divoratori del globo”, come definiti direttamente da Khomeini.

Eppure, anche il clero khomeinista, pur partendo anche da queste premesse ideologiche, svolse la sua azione in maniera da favorire la rinascente borghesia locale e l’assetto sociale della Repubblica islamica, il suo continuare a tenere impunemente le Donne in una dimensione di pieni diritti politici, ma dimezzamento delle libertà personali e del ruolo di esperta religiosa, è basato sul compromesso dinamico tra clero detentore del potere politico, complessi economici di Stato, guidati dai cd. Guardiani della rivoluzione e capitali privati, fortemente embricati alla commessa pubblica, di cui il ruolo ambivalente di Rafsanjani è l’espressione massima, come già ricordato sulle colonne di Contropiano.

L’economia iraniana è retta anche dalla piccola e media imprenditoria, detta i figli dei bazaari, i quali hanno consentito la nascita di una nuova borghesia ricca e pragmatica che ha sostenuto la governance solo per mantenere il proprio status quo. Una sorta di associazione che può reggere le sorti dell’economia interna e fungere da collante fra la classe politica e quella meno abbiente. Ma la svalutazione del rial e l’aumento dei prezzi ha provocato un allontanamento dei bazaar dallo Stato centrale, in quanto non erano disposti a subire la diminuzione del loro status per coadiuvarlo e seguirlo contro l’Occidente in una politica economica ed estera sfavorevole alle nuove condizioni volute da loro stessi. L’effetto di un mancato appoggio da questa parte fondamentale dell’economia ha avuto un ruolo determinante sulle autorità politiche costringendoli ad adottare soluzioni urgenti come quello di accettare l’accordo sul nucleare, pena una possibile destabilizzazione del sistema Iran e della classe dirigente.

La sottolineatura di Ali Khamenei, la Guida suprema, riguardo i futuri rapporti con gli Stati Uniti, definiti arroganti, in qualche modo confermano la precarietà dell’establishment politico nei confronti dei bazaar, ma palesa anche la necessità di comunicare al popolo iraniano di non indulgere verso l’antico nemico, ma di perseverare nell’atteggiamento critico verso una società consumistica che non appartiene all’Iran.

Infatti, è proprio lo stile di vita della nuova borghesia affluente che mina alla radice il sempre più improbabile mantenimento dello status quo in termini di costumi sessuali e sociali, che gli ayatollah vorrebbero mantenere, ad imitazione dei calvinisti nella Svizzera sempre più integrata al capitalismo del Seicento europeo. Ciò corrisponderà ad una valuta più forte ed un’inflazione più moderata. Il prezzo del petrolio potrebbe attestarsi a 110 dollari al barile, favorito dalla maggior domanda dei paesi europei.

Il sentiero di crescita dell’Iran si innalzerà presto, tant’è che è stimato al 2% per il 2015, e l’aumento del PIL petrolio per il consumo interno, per il quale, allo stato, esso è clamorosamente ancora importatore.

Infatti l’Iran, in accordo con la Russia, è stato esentato dalle conseguenze dell’accordo, siglato di recente  a Mosca, tra gli altri quattro grandi Paesi produttori, la Russia appunto, il Qatar, il Venezuela e l’Arabia Saudita, che hanno deciso di tagliare la produzione. L’Iran potrà arrivare a quattro milioni di barili annui, per tornare al suo livello nel mercato mondiale prima delle sanzioni, e finalmente sviluppare adeguate tecniche di raffinazione del petrolio per il consumo interno, per il quale, allo stato, esso è clamorosamente ancora importatore.

Verremo presto, in un altro articolo, ad approfondire le modalità con cui il genio femminile, attraverso l’istruzione, i social media, ma anche coraggiose scelte in famiglia e sul luogo di lavoro, sempre più mette in discussione il suo status dimezzato, sul quale peraltro concordano esponenti femminili della classe politica più legata a Khamenei, vero capo dei conservatori clericali in Iran.

Parliamo, per l’Iran, di un modello statuale e di relazione tra religione e politica, vero Giano Bifronte, che da un lato tiene testa alle terroristiche ambizioni del polo islamico di matrice sunnita, dall’altro ha un rapporto troppo spesso repressivo con le sue minoranze interne, etnico-politiche, come i curdi legati al Pyak, filiazione iranica del PKK, o religiose, come i Bahaj, dall’altro ancora, anche negli anni di maggiore repressione oscurantista-clericale, ha sempre rispettato le minoranze cristiane e mantenuto sempre relazioni diplomatiche col Vaticano, anche all’epoca di Papa Woityla, al cui funerale accorse l’allora Presidente Khatami, ma ancora prima, al tempo dell’assalto all’ambasciata USA a Teheran, mai si sono chiusi i canali diplomatici ufficiali tra Santa Sede e Repubblica Islamica

Qui tocchiamo il ruolo del movimento operaio organizzato, per concludere questa incursione su un argomento che non è facile rendere chiaro ai nostri lettori italiani.

Proprio per le sue caratteristiche di storia antichissima, di porta girevole tra Vicino Oriente ed Asia profonda, di grande paese produttore di petrolio, di moderno sviluppo delle tecnologie, almeno in ambito urbano, e di vicinanza alla Russia sovietica, ed ancor più all’Azerbaigjan ed alla Georgia, l’Iran, sin dai primi anni del Novecento, ha visto svilupparsi sia il movimento operaio organizzato sindacalmente e sia il partito comunista.

In seguito anche organizzazioni di matrice troskista conobbero una discreta diffusione, anche perché, forse, ma è un tema da approfondire questo, le masse diseredate dello sciismo erano più facilmente avvicinabili, rispetto a quelle influenzate dal sunnismo gerarchizzato, dall’ideale comunista e dalla lettura scientifica della trasformazione sociale, di stampo prima marxiano, poi leninista, quest’ultima attenta a depurare l’eurocentrismo insito nella prima.

Eppure i comunisti, a partire dal proclama di Baku di inizio Novecento, hanno svolto un ruolo e sono stati repressi in tutti i grandi tornanti della storia iraniana contemporanea, sono stati favorevoli alla rivoluzione khomeinista del 1979, ma poi sono stati repressi, per concreto scontro di classe, anche ammantato da pregiudiziali del clero islamico riguardo al loro materialismo.

Il sindacato di regime, instaurato dopo la rivoluzione del 1979, ha progressivamente riassorbito, colla forza e coll’assimilazione, le spinte anticapitalistiche e l’ideale socialista di cui era portatore il Tudeh, ma, sotto la coltre della repressione del divieto, ancora oggi, proprio nel settore dell’estrazione petrolifera, in Iran, ma anche nel vicino Iraq, gli operai ed i minatori tornano a lanciare lotte dure, scioperi, che hanno avuto un ruolo non secondario nell’apertura e nella parziale democratizzazione del sistema sociale da parte degli ayatollah.

E’ certo che l’Iran, anche al d là delle intenzioni del clero dominante, di fatto è un alleato oggettivo, sia del popolo palestinese, che del blocco a dominanza USA nel mondo, ed un compagno di strada dei BRICS, come ebbe a dire proprio Lula, quando perorò, ed ottenne, una grazia per una donna ingiustamente condannata a morte.

Su questo filone, come sugli sviluppi dell’inchiesta argentina sull’attentato all’Ambasciata d’Israele, fatali anch’essi per la Kirchner ed i peronisti alle ultime elezioni presidenziali nel Paese del tango, ci sarà ancora tanto da capire dei nessi e dei legami tra lotte di liberazione, degli oppressi e dei popoli, in relazione all’assetto gerarchizzato del mondo, che tiene sempre di meno l’egemonia. Ma queste sono altre vicende su cui, pure, proveremo ad avviare ulteriori momenti di discussione ed approfondimento.

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