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22/03/2016

Bruxelles: l'Europa piomba nella guerra asimmetrica

La serie di attentati di Bruxelles per quanto sia, come di consueto, devastante negli effetti sulle persone, sulle famiglie delle vittime e dei feriti, sulle popolazioni che vivono nel terrore mostra un tratto di differenza con le vicende parigine di novembre e di gennaio 2015. Tratto che va letto con una certa nettezza: mentre gli attentati parigini sembrano ancora un affare francese, la stessa solidarietà alle vittime si esprimeva come vicinanza ai simboli parigini delle stragi, la vicenda belga porta con sé la cifra della guerra asimmetrica contro il continente.

Naturalmente per il ruolo del Belgio che non ha peso in sé in Medio Oriente ma è sede di due importanti, per quanto irrigiditi da una forte complessità interna, attori nell’area: la Nato e le principali sedi della governance europea (colpite, tra l’altro, in modo sanguinosamente simbolico nell’attentato alla metro Maelbeek).

La guerra asimmetrica – quella che si conduce tra i vari scenari mediorientali verso l’Europa – non riguarda più, di volta in volta il singolo paese colpito ma un’area continentale. Non siamo più infatti alla Francia – o alla Gran Bretagna o alla Spagna – che sono colpite per i ruoli che rivestono in uno scenario di crisi (la Francia per la Siria o, a suo tempo, per il golpe algerino mentre la Gran Bretagna e la Spagna sono state colpite per la guerra in Iraq). Ma siamo, entro una evidente risposta all’arresto di Salah, alla guerra asimmetrica di un’area contro un’altra. O meglio, siamo ad un livello di scenario complesso, quello mediorientale, con una pluralità di attori controversi al proprio interno, che muove guerra asimmetrica contro un altro livello: quello europeo che mostra caratteristiche simili anche se, ovviamente, di una complessità politica, logistica, tecnologica, militare ben diversa. Ci sta benissimo che chi ha mosso un simile atto di guerra a Bruxelles sia velocemente annichilito ma, il rischio c’è, è che si apra una nuova stagione di lutti.

Certo, bisogna aver ben chiaro cosa è una guerra asimmetrica ma, prima di tutto, definire il piano delle responsabilità. Tanto più si è deteriorato il Medio Oriente come piano neo-coloniale, dove tutti, dalle potenze dell’area alle tradizionali potenze occidentali, provano a sottomettere tutti, tanto più la guerra si è estesa in occidente. Come guerra asimmetrica dove le difficoltà dell’Europa servono per ridefinire i rapporti di forza sul terreno mediorientale. Non a caso le guerre asimmetriche, quelle che si combattono tra attori tra cui esiste una sproporzione di forze militari convenzionali, nel passato sono principalmente guerre che riguardano la conquista o la perdita di colonie: quella di indipendenza americana, quella ferocissima tra Usa e Filippine per il controllo di quel paese tra ‘800 e ‘900, la guerra anglo-boera in Sudafrica. Come si vede, non si tratta, come ha detto Broek della commissione affari esteri dell’Ue nella concitazione del momento, di “una guerra di tipo nuovo”. Ma di una guerra asimmetrica che tende a ripetersi, in forme nuove, ogni volta che gli squilibri coloniali precipitano. La guerra asimmetrica, tra due attori la cui entità militare non è paragonabile, dura finché ha due caratteristiche 1) quando la guerra classica, sul campo si è impantanata oppure è sempre meno determinante per risolvere la crisi 2) quando fattori mediali, politici, diplomatici, finanziari se opportunamente stimolati dagli atti di guerra asimmetrica, possono cambiare le sorti di un conflitto a favore della parte più debole militarmente.

Naturalmente le guerra asimmetriche, se la situazione sul campo non si risolve, possono essere lunghissime. Possono alimentare una resistenza del più debole militarmente sul campo e una serie di attentati, nel terreno avversario, di impatto spettacolare. Fino a che uno degli attori non cede. Ma il campo, Europa e Medio Oriente, oggi è così complicato che è difficile individuare bene il profilo di uno degli attori e, quindi, persino i possibili segnali del cedimento di uno dei due.

Dagli anni ’90 l’occidente, nella specificità del paese singolarmente colpito, ha vissuto la guerra asimmetrica. Gli Usa per l’Afghanistan, la Francia per l’Algeria negli anni ’90 e oggi per la Siria, la Spagna e la Gran Bretagna per l’Iraq. Con Bruxelles della guerra asimmetrica viene investita l’Europa nel suo complesso. Se c’è una logica militare, da guerra asimmetrica, in questo lo è nell’unificare il soggetto nell’attentato (l’Europa) sapendo che può finire fuori strada proprio per le contraddizioni interne a questo processo di unificazione. Sun Tzu non abita solo in Cina è bene saperlo.

Cosa ci si attende dal dopo attentato di Bruxelles? Naturalmente il peggio, il rilancio del tentativo di risolvere la guerra asimmetrica militarizzando la vita interna dei paesi, rafforzando complesse architetture militari, radicalizzando le tendenze più velenose sul terreno di guerra. L’Europa magari sarà tentata di allargare i bilanci di guerra, non ci sarebbe da stupirsi. Di sicuro la legittimazione della militarizzazione di ogni nesso sociale – dalle migrazioni, alla vita civile, a quella istituzionale – non mancherà la propria liturgica pienezza. Vediamo se l’Europa finirà per votarsi i propri crediti di guerra. Se accadesse, l’inferno sarebbe dietro l’angolo. Perché non sembrano proprio i tempi in cui alle guerre asimmetriche si risponde aggredendo i nodi non militari di questo genere di conflitto.

Appena il giorno prima, attraverso il lutto che è sempre la forma più elevata di legittimazione dei comportamenti della vita sociale, l’Europa celebrava la generazione Erasmus nella tragedia del pullman in Spagna. Il fermo immagine del giorno successivo, quello di Bruxelles, fa capire che la generazione Erasmus riguarda la vita di un passato. E il presente, e il futuro, hanno tutte le caratteristiche del cielo plumbeo di Bruxelles. Un benvenuto agli europei, visti nel loro assieme, nella guerra asimmetrica prevedibile quanto inquietante.

Redazione, 22 martzo 2016

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