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24/02/2016

Intervista ad Ali al-Ahmed: "La tregua in Siria reggerà"

Secondo l’analista saudita, l’accordo di cessazione delle ostilità stavolta potrebbe funzionare perché si fonda sulla debolezza degli attori coinvolti. «Il governo siriano e le opposizioni – afferma al-Ahmed – devono ristrutturare se stessi o scompariranno»

di Chiara Cruciati   il Manifesto

L’accordo di cessazione delle ostilità stavolta potrebbe reggere perché si fonda sulla debolezza degli attori coinvolti. Una tregua obbligata dall’avanzata dello Stato Islamico e dall’incapacità del fronte delle opposizioni di far saltare il presidente Assad. Ne è convinto l’analista saudita Ali al-Ahmed, consulente per Cnn, Ap e Washington Post e fondatore del Gulf Institute.

Dopo Monaco Usa e Russia hanno siglato un nuovo accordo di cessazione delle ostilità in Siria, ma le parti sembrano avere ancora posizioni inconciliabili. Sarà un altro buco nell’acqua?

Questa volta no, stavolta credo che la tregua si farà perché russi e statunitensi ne hanno bisogno. Sono consapevoli di condividere uno stesso obiettivo, lo stop delle attività militari tra governo e opposizioni per concentrarsi definitivamente sulla lotta ad al-Nusra e Stato Islamico. La ragione alla base del compromesso è proprio la debolezza degli attori sul campo. I due fronti devono ristrutturare se stessi o scompariranno. Perché nel campo siriano governo e opposizioni non sono che strumenti in mano ad altri Stati. Le due superpotenze hanno quindi l’opportunità di dimostrare che la diplomazia internazionale può funzionare, come è successo per l’accordo con l’Iran.

Faranno un passo indietro anche Arabia Saudita e Turchia, che per settimane si sono dette pronte ad un intervento militare?

L’intervento di terra di Ankara e Riyadh è una linea rossa invalicabile per i russi e un rischio altissimo per gli Stati Uniti. Alla fine il no internazionale faciliterà sia turchi che sauditi: le loro erano mere minacce, non volevano affatto intervenire. Gli è stata regalata la scusa per non far esplodere un pericoloso scontro internazionale. Il cessate il fuoco è il risultato di questo timore di una guerra aperta con Mosca: sul campo a combattere resteranno solo i siriani, i russi e le milizie legate all’Iran, da una parte, e dall’altra le opposizioni armate. Ma turchi e sauditi non saranno mai autorizzati ad intervenire a terra.

Venendo proprio alle opposizioni, il loro è un fronte molto composito, che pare dettato più dalle esigenze saudite che dalla reale comunanza di visioni. Saranno in grado di partecipare alla transizione politica?

Sì, è assolutamente vero, quello saudita è il terreno di coltura delle opposizioni. In questo momento non esiste un’alternativa al governo di Bashar al-Assad. La Russia ha messo in sicurezza la sua posizione, lo ha fatto sopravvivere. Potrebbe in futuro essere utilizzata una formula simile ad un “pensionamento” del presidente, ma non prima di molti mesi dall’inizio della transizione perché in questo momento non esistono alternative alla sua presidenza. In tale contesto si inserisce la cessazione delle ostilità: i russi obbligheranno il governo a fare delle concessioni, gli Stati Uniti costringeranno le opposizioni. Non ci sono altre possibilità perché le opposizioni rispondono ai propri fondatori: se i fondatori dicono di accordarsi con Assad, lo faranno. Per Damasco è lo stesso: risponde a russi e iraniani. Si arriverà ad un governo di unità con Assad come presidente, che guidi la transizione.

La soluzione politica porterà anche ad un reale intervento comune contro l’Isis, finora lasciato prosperare?

Usa e Russia potrebbero lanciare un’operazione comune. E a causa di tale possibilità sono molti i miliziani dell’Isis che stanno lasciando Daesh perché consapevoli che la pressione aumenterà. L’esercito siriano sta circondando Aleppo e tagliando il collegamento tra la Turchia e i miliziani sul terreno. I rifornimenti che arrivano dal territorio turco sono sempre meno consistenti, in termini di denaro, armi, uomini.

Nella regione sono in atto politiche apparentemente schizofreniche. Dalla Libia alla Siria, il terrorismo di matrice islamista viene più o meno combattuto a seconda delle esigenze

È un futuro buio se non si cancellano tali tendenze internazionali. Come Gulf Institute stiamo lavorando ad un progetto da presentare al Consiglio di Sicurezza dell’Onu perché impegni le Nazioni Unite in una lotta al terrorismo diversa. Sullo stile dell’accordo iraniano, che ha preferito l’approccio politico all’invasione militare, stiamo facendo pressioni perché il terrorismo venga combattuto a monte, colpendo gli Stati che lo creano e lo finanziano, gli Stati fonti di Isis e al Qaeda. Parlo della Turchia, dei paesi del Golfo, che vanno sanzionati.

Solo così si potrà stabilizzare un’area che è terreno di scontro internazionale. E si faranno tornare a casa i rifugiati: un medico siriano non deve fare il tassista a Londra, deve fare il dottore a Damasco. Una regione stabile, prospera e democratica porterà beneficio a tutto il mondo, stravolgendo la vecchia strategia di controllo occidentale tramite la divisione interna del Medio Oriente.

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