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28/02/2016

Gli irlandesi bocciano l’austerità, ma non basta

L’Irlanda non è l’India, eppure per avere i risultati definitivi delle elezioni politiche celebrate ieri nella Repubblica occorrerà aspettare ancora qualche ora. Intanto occorre accontentarsi degli exit poll diffusi nella giornata di oggi, e quindi è possibile abbozzare un minimo di analisi del voto tenendo conto però che ci si basa su sondaggi che possono essere smentiti almeno in parte dal responso reale delle urne.

Di certo c'è che gli irlandesi hanno inferto una durissima lezione alla maggioranza di governo uscente, punendo fortemente i due partiti che la costituivano. Il centrodestra del Fine Gael, guidato dal premier uscente Enda Kenny, perde più di dieci punti percentuali e passa dal 36% ottenuto nel 2011 al 24-26% di ieri. Sorte simile per gli altri partner di governo: il Partito Laburista, di centrosinistra, passa dal 19.5 al 7.5% circa. Le due forze, che insieme avevano il 55% dei consensi, sarebbero quindi ora al 32-34%, troppo poco per governare di nuovo.

I sondaggi danno invece in ascesa il Fianna Fail, opposizione di centro-destra conservatrice e moderatamente liberista, che passerebbe al 22% circa guadagnando 5 punti percentuali.

Buono il risultato del partito nazionalista di sinistra Sinn Fein che diventerebbe la terza forza politica ottenendo tra il 15 e il 16% dei voti; un netto balzo in avanti per un partito che in molti associano ancora al 'terrorismo', ma non tale da superare i partiti storici come invece sembrava dai sondaggi di alcuni mesi fa quando la formazione guidata da Gerry Adams era addirittura data in testa.

Un buon risultato sarebbe stato ottenuto anche dai Verdi e dai Socialdemocratici oltre che da candidati Indipendenti sia di destra che di sinistra. Da vedere il risultato dell’Antiausterity Alliance formata da varie formazioni di sinistra ed ecologiste e cresciuta nelle battaglie contro la privatizzazione dell’acqua imposta dall’esecutivo.

L’Irlanda non è un paese centrale dell’Unione Europea, né per numero di abitanti né per importanza della propria economia. Ma i riflettori sono ugualmente puntati su Dublino per capire come gli irlandesi hanno reagito alla cura da cavallo imposta dal 2010 dall’Unione Europea in cambio di 80 miliardi di euro di prestiti e che, stando alla propaganda del governo uscente e delle istituzioni continentali, avrebbero rimesso il paese in sella e ottenuto i risultati sperati.

Affermazioni che sembrerebbero confermate da alcuni dati macroeconomici: la disoccupazione è calata ufficialmente dal 15 al 9%; l’economia del paese ha ripreso a crescere in maniera consistente, con il Pil che l’anno scorso ha recuperato il 7%; la fuga di cittadini all’estero, in cerca di lavoro, si sarebbe arrestata ed anzi alcune migliaia di emigrati nell'ultimo anno avrebbe già fatto ritorno nell’ex tigre celtica che ora aspira a riprendere la sua corsa lasciandosi alle spalle la crisi.

Ma se è così perché gli elettori avrebbero punito in maniera così eclatante i partiti di governo, responsabili di aver accettato e imposto una brutale austerità all’Irlanda? A scavare sotto il presunto miracolo economico è stato nei giorni scorsi il Sole 24 Ore, che in un interessante articolo di Michele Pignatelli descriveva lo sfascio del sistema sanitario:
“Il settore che rappresenta in modo forse più significativo gli effetti dell'austerity è la sanità, l'immagine più emblematica quella che i giornali irlandesi chiamano “trolley crisis”, la crisi delle barelle: i pazienti parcheggiati per ore al pronto soccorso o nelle corsie degli ospedali in attesa di una diagnosi o di una sistemazione. Un numero in crescita costante, come rivela il monitoraggio dell'Inmo, il sindacato infermieristico irlandese: 67.863 nel 2013, 77.091 nel 2014, 92.998 l'anno scorso. Non è un caso che la situazione del sistema sanitario sia diventata uno dei temi di dibattito di questa campagna elettorale, come conferma Liam Doran, segretario generale dell'Inmo (…). In realtà i nodi della sanità irlandese sono numerosi e non tutti legati all'austerity. È prima di tutto un problema di capienza – spiega ancora Doran –: il nostro sistema sanitario è sempre stato troppo piccolo per far fronte alle esigenze della popolazione, una popolazione che per di più invecchia. Anche per questo abbiamo creato un sistema a due livelli, pubblico-privato: il 40% dei cittadini paga le tasse per la sanità pubblica, ma ha poi anche un'assicurazione privata, per la quale deve sborsare molto di più ma che garantisce rapido accesso alle prestazioni non urgenti». La crisi, con i pesanti tagli nel settore, è stata il colpo di grazia. «Nel 2007 – sottolinea Doran – spendevamo 16 miliardi per il sistema sanitario pubblico, oggi, nove anni dopo, siamo scesi a 13,2 miliardi. Abbiamo perso 2mila posti letto negli ospedali e 10mila impiegati del settore». Per contenere la spesa, è stato imposto un blocco delle assunzioni di personale infermieristico (ora eliminato) che ha spinto molte infermiere a emigrare in Gran Bretagna, Australia, Canada”.
Il problema è che, come spesso accade, dati macroeconomici positivi nascondono una situazione non proprio idilliaca, anzi. E’ vero che in generale l’economia del paese è in ripresa dalla fine del piano di salvataggio nel 2013, ma l’austerity, i tagli allo stato sociale, i licenziamenti di massa hanno causato un vero e proprio choc sociale nel paese; ed ora che la disoccupazione cala e alcune delle misure più draconiane sono state abbandonate, lo standard di vita e di lavoro non è affatto tornato quello precedente alla gestione del paese da parte della Troika: la precarietà nel mondo del lavoro è rimasta alle stelle, la sanità pubblica è stata in gran parte smobilitata, la povertà si è estesa, un numero record di persone ha perso la propria casa e le tasse sono aumentate soprattutto per chi ha redditi bassi e da lavoro dipendente mentre imprese e banche hanno ottenuto un trattamento clemente e in molti casi sono state salvate grazie a generose donazioni di fondi pubblici. Solo una parte dell’Irlanda è tornata a correre, lasciandosi dietro un settore consistente di popolazione – piccola borghesia e strati popolari – che giustamente ha utilizzato il voto per punire i responsabili del disastro.

E’ proprio lo scontento sociale nei confronti di Laburisti e Fine Gael che ha orientato molti voti operai e popolari verso lo Sinn Fein, che da subito ha adottato posizioni molto critiche nei confronti dell’austerity e ha guidato alcune mobilitazioni contro il governo e le politiche della troika, pur senza mai mettere in discussione l’adesione dell’Irlanda all’Ue o all'Eurozona.

Ma il quadro che secondo due diversi exit poll sarebbe uscito dai seggi non sembra permettere grandi svolte politiche nonostante la chiara indicazione degli elettori. Anzi, tutti parlano di frammentazione e di scenario ‘spagnolo’: i partiti che governavano sono stati pesantemente ridimensionati, ma nessuna delle altre forze è cresciuta a tal punto da essere in grado di formare facilmente una maggioranza. A questo punto le soluzioni possibili sembrano due: o un ritorno alle urne entro qualche mese, e nel frattempo la vecchia maggioranza di governo allargata ma a scadenza per gestire gli affari correnti; oppure una inedita alleanza tra Fine Gael e Fianna Fail, partiti assai simili dal punto di vista ideologico ma da sempre accesi rivali in un panorama politico in gran parte ereditato dai tempi dell’indipendenza da Londra. Durante la campagna elettorale i due partiti hanno entrambi escluso una possibile alleanza, ma ora una ‘grande coalizione all’irlandese’ potrebbe essere necessaria per tenere Dublino entro il recinto tracciato da Bruxelles e Berlino. La strana alleanza potrebbe essere caldeggiata anche dalle numerose multinazionali straniere e dalle imprese locali che pretendono che il bassissimo livello di tassazione per le attività economiche venga mantenuto.

Ma per ora occorre aspettare i risultati definitivi: l’originale sistema elettorale irlandese, proporzionale ma con voto singolo trasferibile (cioè con la possibilità per l'elettore di assegnare più di una preferenza sulla scheda, numerando i candidati in ordine di gradimento) rende lo spoglio lungo e complicato.

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