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26/02/2016

Elezioni comunali. Si vota sotto l'ipoteca di Renzi e dei diktat europei

Con la scelta dei candidati sindaci e la definizione delle alleanze si avviano fattivamente le campagne elettorali per le amministrative, confermando le primarie del centro-sinistra nel ruolo di catalizzatore dell’attenzione mediatica e di volano dell’intero ingranaggio elettorale.

La tornata elettorale coinvolge alcune tra le maggiori realtà metropolitane, – Milano, Roma, Napoli, Torino, Bologna – territori che per caratteristiche e funzioni socio – economiche e demografiche comprendono componenti rilevanti del complesso sociale e produttivo nazionale. Condizione oggettiva che eleva il significato del voto oltre gli ambiti territoriali combinandosi sia con le valenze politiche nazionali, il governo Renzi ed il sistema di relazioni del PD, sia con i limiti imposti alla politica del territorio, sovradeterminato dal sistema di  trattati e direttive fondamento della governance dell’Unione Europea.

La prima considerazione attiene proprio la condizione di “sovranità limitata” che attanaglia ormai l’esercizio democratico a qualunque livello espresso, nazionale e/o territoriale,  indipendentemente dalla modalità, elettorale piuttosto che legislativa o referendaria.

La  centralizzazione del modello decisionale dell’U.E., funzionale alla gerarchia delle relazioni interne tra stati membri, opera in modo diretto nella definizione delle priorità che il capitale finanziario-multinazionale impone negli “spazi vitali” della propria valorizzazione. La catena di trasmissione delle direttive europee, con lo svuotamento progressivo dell’autonomia legislativa nazionale, la cui funzione, nella migliore delle ipotesi, è di adeguamento alle indicazioni di Bruxelles, si è sostanzialmente annullata, rendendo possibile l’immediata trasposizione delle disposizioni comunitarie al livello locale. L’incidenza del rispetto dei patti di stabilità, imposti ad ogni livello, a partire dall’assunzione costituzionale dell’obbligo del pareggio di bilancio, confligge con l’autonomia della politica nella gestione dell’intervento pubblico locale, la cui funzione è  soffocata in molti comuni dal rispetto dei piani di rientro dal debito. Il processo di centralizzazione decisionale si configura anche nelle forme dell’intervento governativo verso gli enti locali. Infatti, come esemplificato dalla cosiddetta legge obiettivo si acquisisce alle funzioni dirette dell’esecutivo nazionale la gestione degli interventi rilevanti nel campo degli investimenti infrastrutturali, esautorando di fatto le autorità e le popolazioni locali dal livello decisionale.

Insomma, la subalternità delle politiche locali agli indirizzi centrali direttamente espressi dalla governance politico-finanziaria dell’U.E., ovvero attraverso le articolazioni del governo nazionale, costituiscono le condizione imprescindibile per chiunque ambisca al governo delle città. Le metropoli rappresentano d’altronde il centro privilegiato degli investimenti del capitale finanziario e la disposizione del governo delle città alla recettività dei flussi di capitale è il compito a cui debbono attenersi le classi politiche locali, con l’inevitabile annullamento delle differenze programmatiche tra le componenti partitiche, le cui legittimazione è sempre meno definita dalla rappresentanza degli interessi sociali presenti nel territorio. Il divaricarsi della funzione sistemica di rappresentanza dagli interessi sociali è evidentemente dimostrato dal dato del crescente astensionismo, prossimo al 50%, che  possiamo senz’altro già confermare “partito di maggioranza” anche della prossima tornata elettorale.

Non certo privo di risvolti elettorali il contenzioso avviatosi con la commissione Europea per il riconoscimento al nostro paese di margini di flessibilità di bilancio per l’azione del governo. La rivendicazione da parte del governo Renzi di una maggiore considerazione degli interessi delle nostre classi dominanti nella gestione della crisi e la loro integrazione nella parte alta della gerarchia europea, costituisce un tratto essenziale dell’immagine che il governo, nel ruolo di difensore degli interessi nazionali, intende propalgare nella campagna elettorale. La concreta declinazione del riconoscimento della pari dignità del paese attraverso l’agitazione di temi sensibili come l’immigrazione, gli interventi per  le crisi bancarie e/o industriali, rivendicando la richiesta di modifiche alle politiche comunitarie si prestano  alla rappresentazione della politica del governo sotto “mentite spoglie” nazional-progressiste ed anti-austerity. Una tale pretesa  rivendicativa del governo in ambito U.E.  pone in  fibrillazione gli organismi di comando e rischia di “indispettire”  i paesi, Germania e Francia, saldi detentori delle redini della costruzione ordo-liberale europea , lasciando aperta, se protratta oltre il mero gioco delle parti, soluzioni già in passato sperimentate per i recalcitranti.

E’ fuor di dubbio che le elezioni amministrative costituiscano un passaggio essenziale nella strategia del governo Renzi per l’approdo al referendum-plebiscito costituzionale previsto per il prossimo autunno. D’altronde la scelta dell’immagine dl leader di governo forte è obbligata a fronte di una condizione  locale generalmente pietosa dello stato del partito democratico ridotto a ricettacolo affaristico-clientelare, vedi centro-sud, come affermato da autorevoli esponenti dello stesso.

Naturalmente l’interrelazione degli aspetti generali con le singole realtà urbane chiamate al voto definiscono situazioni affatto diverse. Le elezioni milanesi, ad esempio, all’indomani del successo mediatico dell’Expo e fiore all’occhiello della “rinascita italiana” per il governo, propongono una condizione del centro-sinistra saldamente ancorato al blocco di interessi aziendali e finanziari aggregatosi intorno all’Expo e la vittoria  delle primarie del centro-sinistra del candidato espressione diretta della sua gestione rappresenta una chiara opzione degli interessi posti a guida della città. L’onda dell’Expo raggiunge anche Roma attraverso un suo esponente il commissario Tronca, nominato a seguito del dimissionamento di Marino per  gli effetti della vicenda Mafia-Capitale. Il Documento Unico di Programmazione elaborato dal prefetto sulla scorta delle deliberazioni della giunta Marino, con al centro un massiccio piano per la “ messa a valore della città” con privatizzazioni di aziende pubbliche e patrimonio immobiliare corredato da tagli dei servizi pubblici e sociali, costituirà il riferimento obbligato per chiunque approderà alla guida del campidoglio e il terreno per gli interessi affaristico-speculativi  di quel “mondo di sopra” messi a nudo dall’inchiesta Mafia-Capitale sulla città. In dichiarata controtendenza la situazione napoletana, dove la candidatura De Magistris  per la riconferma alla guida della città sembra assumere un significato di rottura rispetto alle imposizioni del patto di stabilità, proponendo un programma  incentrato sul primato degli interessi del pubblico e di riqualificazione del ruolo di gestione diretta dei servizi da parte del comune. In una situazione in cui il partito del presidente del consiglio, dilaniato da faide interne, non  appare in grado di esprimere una seria ipotesi di governo.

Il quadro degli interessi materiali e delle relazioni politiche che vengono emergendo operano per lo  svuotamento delle contraddizioni sociali dalla competizione elettorale, la priorità assegnata all’individuazione di candidati con “asettiche” capacità gestionali e manageriali  la cui funzione è sostanzialmente predeterminata dalle direttive e dai vincoli  dell’ U.E., mina alla radice l’espressione della democrazia rappresentativa. Le metropoli, di cui le più importanti sono interessate al voto amministrativo, per numerosi aspetti rappresentano un terminale essenziale del cambio di modello di accumulazione, non solo luogo di contenimento di forza lavoro precarizzata e flessibilizzata in periferie degradate e desolidarizzate, ma centri di approdo e moltiplicazioni dei processi di finanziarizzazione attraverso le leve costituite dal binomio grandi opere/grandi eventi. L’appropriazione privatistica del territorio urbano in tutte le sue sfaccettature, dalla speculazione immobiliare alle svendita dei servizi di pubblica utilità, è il tessuto connettivo del sistema di relazioni affaristiche che si diramano direttamente da Bruxelles. I territori urbani che nell’intervento pubblico programmato dovrebbero beneficiare di strutture e servizi tesi a costruire inclusione e coesione sociale, in realtà ne vengono espropriati attraverso l’uso privatistico delle risorse pubbliche. L’emergenza permanente, dai centri di accoglienza alla pavimentazione stradale, che contraddistingue la condizione delle periferie metropolitane è il risultato naturale dell’assunzione da parte del ”complesso affaristico-speculativo” delle redini dell’intervento sociale.

Il modello di città globale è una costruzione classista che può affermarsi solo attraverso la sistematica negazione degli interessi maggioritari della popolazione, interessi popolari sempre più marginalizzati dallo smantellamento del sistema di tutele e ammortizzatori sociali erogati dal sistema pubblico. L’impossibilità per gli interessi popolari di trovare una loro reale e non demagogica e strumentale rappresentanza nelle coalizioni in lizza, senza un dichiarato rigetto dei diktat della U.E., privatizzazioni delle aziende di servizio in testa, e  rottura dei vincoli esterni imposti all’esercizio dell’intervento sociale locale, è uno degli elementi oggettivi che caratterizzano lo scenario politico-elettorale e che definiscono la sostanziale omogeneità dell’una o dell’altra coalizione nella gestione delle politiche sociali attive.

Il tentativo di impedire l’occultamento delle crescenti contraddizioni sociali, lavoro, casa, servizi, cementificazioni, connaturate al modello di metropoli dei gruppi finanziari-affaristici, dietro le cortine fumogene della rappresentazione mistificante delle campagne elettorale può diventare l’occasione per tentare di comporre una visione della città pubblica. La presenza diffusa nei territori metropolitani di aggregazioni sociali, sia tematiche che territoriali, che sul principio della partecipazione diretta hanno costruito una rete di vertenze e conflitti  contrastando il dilagare della mercificazione del territorio e delle vite nella metropoli, è il riferimento imprescindibile per dare visibilità agli interessi popolari negati. Sconfiggere le strumentalizzazioni elettoralistiche del disagio sociale, con una rappresentazione diretta da parte dei protagonisti della battaglia contro la sopraffazione mercantile e privatistica può diventare il modo per “sporcare” la ritualità  della campagna elettorale con la materialità degli interessi di classe. Una possibilità da realizzare in ogni forma possibile ed in ogni città.

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