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31/01/2016

Usa, giochi di guerra in Asia

di Michele Paris

Le iniziative del regime nordcoreano, tornate a occupare le prime pagine dei giornali in queste prime settimane dell’anno, continuano a essere sfruttate dagli Stati Uniti per esercitare pressioni sulla Cina, nel quadro del riallineamento strategico americano nel continente asiatico. L’esempio più recente si è avuto questa settimana durante la visita di due giorni a Pechino del segretario di Stato USA, John Kerry, impegnato a sollecitare pubblicamente il governo cinese a fare di più per contenere la minaccia rappresentata dal vicino indisciplinato.

La presunta detonazione da parte di Pyongyang di un ordigno all’idrogeno il 6 gennaio scorso è stata l’occasione per la nuova offensiva diplomatica internazionale contro il regime di Kim Jong-un, guidata come al solito da Washington.

Le preoccupazioni americane sono state espresse proprio da Kerry, il quale ne ha parlato apertamente mercoledì nel corso di una tesa conferenza stampa con il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi. L’ex senatore Democratico ha assicurato che il suo paese considera in maniera “estremamente seria” il programma nucleare nordcoreano ed è disposto ad “adottare qualsiasi misura necessaria per proteggere il nostro popolo e i nostri alleati”.

Kerry ha poi aggiunto che gli Stati Uniti “non intendono escludere alcuna opzione” nel contrastare la minaccia del regime “comunista”, pur non avendo intenzione di “alimentare le tensioni”. In realtà, il governo americano utilizza le mosse, spesso sconsiderate, di un regime al limite della disperazione precisamente per aumentare le tensioni nel nord-est asiatico, così da giustificare le pressioni sulla Cina e rafforzare la propria presenza militare.

Infatti, subito dopo il quarto test nucleare di Pyongyang a inizio gennaio, gli USA e la Corea del Sud hanno fatto sapere di avere avviato discussioni per posizionare sul territorio della penisola altre “risorse strategiche”, ovvero equipaggiamenti militari destinati a far fronte alla minaccia nordcoreana e non solo. A riprova delle intenzioni americane, qualche giorno dopo l’esperimento nucleare il Pentagono aveva provocatoriamente fatto volare sulla penisola di Corea un bombardiere B-52, in grado di trasportare armi atomiche.

Il segretario di Stato americano, in ogni caso, ha espresso in maniera chiara ciò che il suo governo si attende dalla Cina in merito alla questione della Corea del Nord. Dal momento che l’approccio di Pechino verso l’alleato “non ha funzionato”, non è più possibile continuare allo stesso modo. Washington chiede perciò ai cinesi non solo di assecondare una nuova risoluzione ONU, verosimilmente fatta di ulteriori sanzioni, ma di agire “unilateralmente” alla luce dell’influenza che Pechino può avere su Pyongyang.

Lo stesso Kerry ha elencato gli ambiti interessati da possibili iniziative restrittive, considerando che ci sono “alcuni tipi di merci e servizi che vengono scambiati tra la Corea del Nord e la Cina”, così come avvengono “movimenti di navi” e aerei, ma anche “scambi di… carbone e benzina”.

Gli Stati Uniti vorrebbero in sostanza assistere allo strangolamento dell’economia nordcoreana, visto che il regime, essendo di fatto tagliato fuori dai circuiti commerciali e finanziari internazionali per via delle sanzioni, ottiene praticamente solo dalla Cina gli approvvigionamenti necessari alla propria sopravvivenza e, in buona parte, a quella della popolazione.

Tutt’altro che sorprendentemente, gli inviti americani in questo senso continuano però a essere respinti da Pechino. Un blocco totale della Corea del Nord comporterebbe infatti una più che probabile implosione del regime, aprendo una crisi che verrebbe tempestivamente sfruttata da Stati Uniti e Corea del Sud. La Cina, sostanzialmente, rischierebbe di ritrovarsi con un regime filo-americano o, nella peggiore delle ipotesi, un’occupazione militare di forze ostili in tutta la penisola di Corea.

A Pechino vi è comunque una forte irritazione per il comportamento dell’alleato, poiché azioni come il recente test nucleare non fanno che offrire agli Stati Uniti l’occasione per mettere alle strette la Cina, facendo leva sulle ansie della comunità internazionale.

La Cina ha così condannato l’esperimento con la bomba all’idrogeno, ma ha nuovamente invitato Washington e i suoi alleati a tornare al tavolo delle trattative per risolvere pacificamente la questione nordcoreana. Allo stesso modo, Pechino non esclude l’appoggio a una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza, anche se, come ha spiegato il ministro degli Esteri Wang, essa “non dovrà causare altre tensioni… o destabilizzare la penisola coreana”.

L’iniziativa diplomatica nata attorno alla crisi nordcoreana coinvolge, oltre alle due Coree, gli Stati Uniti, la Cina, la Russia e il Giappone ed è ferma dal 2008 in seguito all’irrigidimento della posizione americana sotto l’amministrazione Bush. Il presidente Obama, da parte sua, non ha mai fatto nulla di serio per riaprire i negoziati, chiedendo invece a Pyongyang come condizione preliminare di rinunciare al proprio arsenale nucleare.

Grazie alla Corea del Nord, d’altra parte, gli USA in questi anni hanno potuto avanzare la propria agenda in Estremo Oriente. Dopo ogni crisi scoppiata con il regime dei Kim, Washington ha infatti ottenuto o avviato negoziati con i propri alleati – a cominciare dalla Corea del Sud – per espandere la propria presenza militare nella regione.

Ad esempio, in seguito al test nucleare nordcoreano del 2013, il Pentagono aveva annunciato il posizionamento di un sistema di missili balistici (THAAD) in Giappone. Questo stesso sistema è attualmente in fase di discussione con le autorità di Seoul per espanderlo alla Corea del Sud. Come si rendono perfettamente conto a Pechino, il vero obiettivo di questa escalation militare USA non è tanto la Corea del Nord e il suo relativamente rudimentale sistema difensivo, quanto la Cina, in previsione di un futuro conflitto provocato dalla crescente rivalità tra le prime due potenze economiche del pianeta.

La Corea del Nord – assieme principalmente alle contese territoriali tra la Cina e svariati paesi nel Mar Cinese Orientale e in quello Meridionale – rimarrà dunque al centro di questo confronto, mentre anche altri paesi della regione ne sono già coinvolti, come il Giappone. Proprio dalla stampa nipponica giovedì è stata diffusa la notizia che il regime di Kim si starebbe preparando a testare un missile balistico a lungo raggio, anche se ciò è vietato dalle sanzioni ONU.

La rivelazione dell’agenzia di stampa Kyodo ha innescato subito la risposta di Seoul, da dove il ministero della Difesa ha manifestato estrema preoccupazione, lasciando intendere che potrebbero essere prese nuove iniziative in conseguenza di un eventuale esperimento, con il risultato di inasprire lo scontro tra le parti contrapposte.

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