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25/12/2015

Tunisia - Esteso lo stato di emergenza

Altri due mesi di stato di emergenza: ieri il presidente tunisino Essebsi ha esteso fino alla fine di febbraio lo stato di emergenza imposto il 24 novembre. Quel giorno un attacco suicida uccise 12 guardie presidenziali a Tunisi. L’Isis rivendicò l’attentato come aveva rivendicato due precedenti massacri: l’uccisione di 38 persone in un resort sulla spiaggia di Sousse ad ottobre e di 22 al museo del Bardo a marzo.

Una catena di attacchi che aveva come chiaro obiettivo quello di affossare l’accidentato percorso verso la democrazia intrapreso dalla Tunisia post-rivoluzione. Di certo un risultato è stato archiviato: gettare la Tunisia nel tunnel del terrorismo e quindi ridurre lo spazio di libertà faticosamente raggiunto dal popolo e dagli attivisti, pericolosamente richiuso dalle autorità con la giustificazione della lotta al terrore. Lo stato di emergenza si accompagna a pacchetti di leggi per garantire la sicurezza che nella pratica si sono tradotti nella riduzione della libertà di espressione e manifestazione.

Nei prossimi due mesi, quindi, saranno garantiti a presidente e forze armate poteri speciali e la sospensione di diritti fondamentali. Ovvero la situazione che ha caratterizzato l’ultimo anno: dispiegamento di migliaia di poliziotti e soldati in tutte le città del paese; il via alla costruzione di un muro al confine con la Libia; arresto di migliaia di persone, interrogate per sospetti collegamenti con gruppi terroristici; moschee chiuse e premi in denaro a chi fornisce informazioni in merito; riduzione della libertà di manifestazione.

La Tunisia vuole dare di sé un’immagine nuova, di paese liberato e libero, sulla spinta del Nobel per la Pace vinto dal “Quartetto per il Dialogo” (il sindacato generale dei lavoratori Ugtt, il sindacato patronale Utica, l’Ordine degli avvocati e la Lega Tunisina per i Diritti Umani). Per farlo stringe la morsa sulla popolazione per stringerla sul pericolo terrorista. Lunedì un’ampia operazione ha portato all’arresto di una cellula basata a Bizerte, a nord del paese, che reclutava future moglie per jihadisti all’estero. L’ennesima dimostrazione del fiorente mercato che i gruppi jihadisti trovano in Tunisia, il paese che esporta il maggior numero di adepti a Isis e gruppi satellite.

La decisione di ieri del presidente Essebsi segue ad una crisi politica che sta dividendo la Tunisia: lunedì il segretario uscente del partito di maggioranza Nidaa Tunis, Mohsen Marzouj, ha annunciato la spaccatura della fazione definendolo “clinicamente morto” e ha fondato la nuova formazione al-Iraq (la volontà). Già a novembre 31 membri del partito, vicini a Marzouk, si erano dimessi dal gruppo parlamentar di riferimento.

Una divisione che potrebbe generare ulteriori tensioni nel paese: Nidaa Tunis è il partito uscito vincitore dalle elezioni presidenziali e parlamentari dello scorso anno, nonostante le molte divisioni interne. Considerato l’alternativa agli islamisti di Ennahda, che hanno guidato la Tunisia dopo la deposizione di Ben Alì, è però visto da molti come la continuazione sotto altre spoglie del precedente regime: i suoi principali esponenti sono ex membri della cricca di Ben Alì, come il presidente Essebsi (ex presidente della Camera sotto il dittatore) e il premier Essid (all’epoca funzionario del Ministero dell’Interno).

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