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29/12/2015

Il 75% dei russi giudica peggiorato il livello di vita nel 2015

Non ha sollevato l'usuale indignazione contro lo “zarismo” di Vladimir Putin la condanna in contumacia, con accusa di omicidio, emessa la scorsa settimana contro Mikhail Khodorkovskij. D'altronde, l'ex magnate della ex Jukos, nel 2013, la grazia l'aveva ricevuta proprio da Putin, dopo aver passato in carcere dieci anni per appropriazione indebita, evasione fiscale e riciclaggio di denaro sporco e, se anche ora dichiara di voler fare da nave-scuola a quei “giovani attivisti politici russi” che intendono “presentarsi quale alternativa all'attuale regime”, in fondo, nemmeno i media nostrani più “antizaristi” riescono a negare che le scelte di politica interna del governo russo si distinguono solo nella forma da quelle di cui sono figli i Khodorkovskij, gli Abramovič, i Deripaska, i Sečin (il capo di Rosneft, che ha preso il posto della Jukos) i Kovalčuk e che, tanto le une che gli altri, sono il prodotto naturale e genuino dei “malvagi anni '90”.

Un anno fa l'analista pietroburghese del PC russo Aleksej Bogačev parlava di un “putinismo romantico”, a proposito di coloro che, pur consapevoli della politica di privatizzazioni di Putin e Medvedev, vedono nel presidente una sorta di àncora che frenerebbe una veloce ricaduta nel liberismo più sfrenato. E plaudono alla ferma linea di politica estera di Vladimir Vladimirovič, nonostante tutte le statistiche, fin quelle ufficiali, mostrino come continui ad aumentare il divario tra i redditi dei diversi gruppi sociali, la corruzione permei tutte le strutture di potere e le scelte di bilancio sacrifichino di anno in anno i settori sociali più deboli, a partire dai tagli a sanità, istruzione e pensioni. Perché, come scriveva qualche tempo fa su Pravda.ru il Presidente dell'Istituto di Strategia nazionale Mikhail Remizov, anche se l'arresto di Khodorkovsky, nel 2003, rappresentò “una pietra miliare nel rapporto tra governo e oligarchi, il carattere oligarchico dell'economia russa non è affatto superato; è stato solo ottimizzato grazie a una sorta di patto di autocontrollo tra governo e oligarchia".

Ed è così che, secondo i sondaggi del Centro Levada, il 75% dei russi ritiene cambiato in peggio il livello di vita nel corso dell'ultimo anno. Solo il 3% è del parere opposto e il 17% non vede cambiamenti significativi. Il 7% percepisce un miglioramento nella sfera dell'istruzione; il 5% in quella sanitaria e il 10% nel lavoro degli organi di sicurezza; di parere opposto, il 32%, il 49% e il 20% degli intervistati, rispettivamente riguardo ai tre settori indicati.

Per quanto riguarda la percezione circa la possibilità, per le persone comuni, di influire sulle scelte del potere, il 57% non vede cambiamenti rispetto a un anno fa e il 30% li nota, ma in peggio. E' ovvio che queste statistiche, non scomponendo i dati in base a categorie sociali, offrono al massimo un'opinione generalista, priva di basi strutturali e di distinzioni sociali. Si tratta solamente, appunto, di “percezioni”, che eludono ogni differenziazione non solo di classe, ma anche di tipologia, quantunque siano indicative.

Dunque, sempre in base alle statistiche, secondo l'ufficiale VTsIOM, nel 2015 è raddoppiato il numero di russi considerati poveri. Le cifre, arrotondate dalla Tass, parlano di un balzo dal 22 al 39% nel numero di famiglie con un reddito insufficiente all'alimentazione, oppure, se sufficiente per il cibo, non per il vestiario. Tra il 2005 e il 2014 si era registrato il fenomeno opposto: dal 49% al 22%. Vero è che, secondo il VTsIOM, negli ultimi 10 anni la situazione delle famiglie russe – di nuovo, alla maniera liberale, si parla genericamente di “famiglie” – è andata migliorando e una caduta repentina si sarebbe registrata proprio a partire dal 2014. Tra il 2009 e il 2015 i nuclei con un reddito inferiore ai 5mila rubli a persona (un impiegato medio di una ditta media, privata o pubblica, può arrivare a percepire oggi circa mille dollari: il $ USA era cambiato ieri a 72 rubli) sono precipitati dal 96 al 13%.

L'Istituto di indagini riporta anche che un reddito medio-minimo si aggira oggi intorno ai 23mila rubli – ma sono oltre cinque milioni i russi che prendono meno di 11mila rubli, contro introiti ufficiali di funzionari pubblici e privati che volano oltre i 200mila rubli – e se “la quota di poveri, negli ultimi 5 anni, seppur lentamente, si era andata assottigliando, nell'ultimo anno è raddoppiata rispetto al 2014, tornando al livello del 2009. Per una “autovalutazione” della propria situazione materiale, la quota di famiglie che la giudicano cattiva o molto cattiva, sono passate dal 32% del 2005, al 16% del 2013, al 22% di oggi.

Ma, come in ogni valutazione scrupolosamente liberale, Interfax annunciava ieri che “La Russia, sul mercato dei capitali, è passata dal reparto rianimazione al reparto degenza”, pur se le sanzioni non sono state eliminate, la situazione geopolitica continua a essere tesa e, perciò, le imprese russe alla ricerca di fondi sono costrette a cercare vie alternative. “Fino a due anni fa”, scrive Interfax, “gli eurobond erano uno dei sistemi più semplici di attirare finanziamenti; oggi, ciò è un lusso, anche per quelle compagnie che non sono cadute sotto le sanzioni”.

Sul mercato del capitale azionario, alcune compagnie di retail nell'ultimo anno sono riuscite ad attirare diverse centinaia di milioni di $ e “il prossimo anno dovrebbe vedere un sensibile attivizzarsi del mercato azionario, grazie anche ad ulteriori privatizzazioni, tra cui spicca, per dimensioni, quella del Sovkomflot, compagnia statale per il trasporto marittimo di prodotti energetici”. Sembra invece che il 2015 sia risultato non molto positivo sul mercato degli eurobond; soltanto verso fine anno, scrive Interfax, si sono avute grosse emissioni: “A ottobre Norilsk Nickel è tornata sul mercato dopo due anni, con eurobond per 1 miliardo di $. Gazprom, (ultima emissione un anno fa), ha collocato nuovi titoli di debito per 1 miliardo di euro e, nel complesso del 2015, ha attirato fondi per 7 miliardi di $, soprattutto da investitori cinesi. A novembre è stata la volta di Alfa bank (500 milioni di $) e a dicembre Evraz (750 milioni di $). Per quanto riguarda i titoli di stato, “la comparsa di acquirenti americani, europei e asiatici ha così impressionato il Ministero delle Finanze, che il Ministro Anton Siluanov ha parlato del pieno ritorno della Russia sul mercato internazionale dei capitali”.

Ma intanto il prezzo del petrolio Brent è caduto oggi a 36,68 $ al barile – il prezzo medio per il 2015 è il più basso degli ultimi 11 anni – all'annuncio iraniano di voler aumentare l'estrazione. Le manovre internazionali giocano in questo un ruolo che definire “non secondario” suona come eufemismo e, per un'economia che, come denunciano da tempo i comunisti russi, trova la propria fonte principale nelle esportazioni di prodotti energetici, non aiuta a risollevarne la china e a migliorare la situazione di quei 20 milioni (ufficiali) di poveri falcidiati da un'inflazione al 15% e da tariffe in linea con i mandati del FMI.

D'altra parte, a fronte di quanti, come il capo della filiale della Banca di stato VTB24, Mikhail Zadornov, invitano il governo a uscire dall'isolamento politico internazionale e dalla linea del confronto, con l'obiettivo di attirare capitali occidentali, ci sono quanti chiamano a uno sviluppo più razionale dei diversi settori industriali e non del solo comparto energetico per l'esportazione, che riduce il paese a rango di fornitore di materie prime. Ma, se l'obiettivo è quello dell'arricchimento della élite politico-finanziaria; se “la burocrazia statale si sta sempre più estraniando”, come scrive oggi l'analista Andrej Kolesnikov su Gazeta.ru, “dalla società, nonostante, in tutta l'era postsovietica non ci sia mai stato un tale livello di appoggio al primo cittadino e se il sistema difende solo le proprie strutture di supporto, mentre il resto è più o meno indifferente”, allora è difficile parlare di rottura con l'eredità politico-sociale pro oligarchica degli anni '90.

Così che, come scriveva – tr.rkrp-rpk.ru – il segretario del PC operaio russo Viktor Tjulkin, a commento della conferenza stampa di fine anno di Vladimir Putin, “se si parla, come ha fatto lui, della necessità di sanare la ferita demografica inferta nel passato alla Russia, allora ci chiediamo: inferta da chi? Da colui in onore del quale Putin ha inaugurato il Centro a Sverdlovsk?”, cioè Boris Eltsin? “Fiorisce la ricchezza materiale di una ristretta cerchia di eletti, lungi dall'essere i migliori” dichiara Tjulkin; “in breve, il lucro, il profitto. Dunque, non c'è nulla di nuovo e non c'è nessuna nuova ricetta a favore dei lavoratori”.

Come diceva il romantico bandenburghese Theodor Fontane “Abbi la proprietà e avrai il diritto”.

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