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22/12/2015

Confessioni di un bancario. Sei verità scomode a proposito del decreto “salva banche” e su come vengono gestiti i piccoli risparmiatori

Io lavoro per un grande gruppo bancario italiano e faccio il gestore. In parole semplici sono uno di quelli che vi trovate dietro la scrivania quando volete aprire un conto corrente, quando chiedete un prestito o un mutuo e soprattutto quando volete investire i vostri risparmi.

Da quando è scoppiato lo scandalo del decreto “salva banche” e sopratutto dopo il suicidio del pensionato che ha perso tutti i suoi risparmi, nelle filiali è un continuo via vai di clienti che vogliono essere rassicurati rispetto ai propri investimenti. Sono giorni che sento i colleghi ripetere sempre la stessa storiella, che poi è quella suggerita dall’azienda e ripetuta dai giornali, ovvero che il problema è circoscritto, che i nostri clienti non corrono nessun rischio e che alla fine coloro che hanno perso i propri risparmi li hanno persi o perché sono degli ingenui e hanno firmato senza leggere oppure perché sono stati avidi e hanno sottoscritto prodotti rischiosi per ottenere mirabolanti rendimenti.

Questa però per l’appunto è una storiella che non rispecchia assolutamente la realtà dei fatti e pertanto, preso dalla rabbia, ho scritto sei verità su come le banche gestiscono i piccoli risparmiatori che difficilmente televisioni e giornali vi racconteranno.

1. Le vittime dei piani di “salvataggio” sono per lo più piccoli risparmiatori. La maggior parte di questi sono pensionati con depositi fino a 100.000 euro, frutto solitamente della liquidazione e dei risparmi di una vita. Sono i soldi che speravano di dare ai figli per comprare casa e metter su famiglia oltre ad essere una garanzia per la propria vecchiaia.

2. I soldi dei risparmiatori non erano stati investiti in prodotti altamente speculativi come i derivati, ma in semplici obbligazioni subordinate, ovvero obbligazioni che danno un rendimento leggermente superiore alla miseria che danno i “normali” bond ma che, pochi sanno, in caso di default dell’emittente mettono chi li detiene in fondo alla lista dei creditori. Per chi non è del mestiere l’aggettivo “subordinato” vuol dire poco e niente e se in banca non te lo spiegano correttamente sei convinto di comprare un titolo obbligazionario tradizionale.

3. Non è vero che i prodotti venduti dalle altre banche, in particolare le grandi, sono privi di rischi. In questi anni gli istituti di credito hanno convinto, o meglio costretto, i clienti a dirottare i propri risparmi dall’amministrato al gestito. In pratica se prima la stragrande maggioranza dei piccoli risparmiatori aveva in portafoglio obbligazioni che garantivano a scadenza il capitale investito e rendimenti solitamente predeterminati (sistema "amministrato"), ora invece hanno quote di fondi che per definizione non danno nessuna garanzia (sistema "gestito"). Il risparmio è stato dirottato dall’amministrato al gestito perché quest’ultimo garantisce profitti più alti alle banche, anche se comporta rischi molto maggiori per i clienti.

4. Negli istituti di credito la vendita alla clientela di prodotti non adeguati non è un fatto sporadico, ma la normalità. Se si facesse una corretta profilatura dei clienti sulla base delle loro conoscenze in ambito finanziario non si potrebbe vender loro null’altro che titoli di stato e obbligazioni emesse dalle banche. I questionari di profilatura vengono di fatto compilati dai gestori e fatti firmare ai clienti alla cieca spesso senza consegnare loro le “copie cliente”. In quasi 10 anni di attività non ho mai, e dico mai, visto un cliente leggere un contratto di servizi di investimento, un prospetto o una scheda prodotto prima di sottoscrivere un investimento. In questi anni i provvedimenti adottati in tema di trasparenza hanno solo aumentato a dismisura le “carte” da siglare rendendo ancor più difficile per il cliente leggerle prima di firmare. Parliamo per intenderci di contratti di 50 e più pagine redatte in un carattere piccolo, quasi illeggibile e per giunta scritte in un linguaggio per addetti ai lavori. Tenete poi presente che le operazioni di investimento si chiudono mediamente in poche decine di minuti, raramente si va oltre la mezzora.

5. Chi entra in banca per fare un investimento trova sopra le scrivanie la scritta “Consulenza”. Quelli che stanno dall’altra parte del tavolo però non sono consulenti indipendenti ma personale pagato per vendere quei prodotti che la banca gli ordina di vendere. Quando si va a comprare una qualsiasi cosa si è pienamente coscienti che il negoziante ha tutto l’interesse a vendere la sua mercanzia a prescindere dalla qualità e dalla convenienza della merce, ma per un inspiegabile timore reverenziale in banca non è così. I clienti, se invece dell’insegna “pescheria” trovassero scritto “consulenza ittica”, scoppierebbero a ridere, mentre quando entrano in filiale non battono ciglio e non si accorgono del colossale conflitto di interesse delle banche che affermano di fare consulenza e contemporaneamente vendono i propri prodotti. Che il lavoro in banca non fosse un lavoro da contabile e tantomeno da consulente me ne sonno accorto prima ancora di essere assunto. Tanto per iniziare per accedere al concorso non c’era bisogno di avere un titolo di studio attinente al campo bancario. Soprattutto, però, durante tutte le prove a cui sono stato sottoposto non si è mai trattato di materie di ambito finanziario, ma sono state testate esclusivamente le mie capacità commerciali. Potevi anche non sapere cosa fosse un conto corrente o un bonifico, l’unica cosa importante per essere assunto era che fossi uno capace “di vendere ghiaccio agli eschimesi”. D’altronde il contratto di apprendistato utilizzato nel settore del credito è formalmente finalizzato alla formazione di addetti commerciali.

6. Nonostante tutto questo non immaginatevi i bancari come persone senza scrupoli che godono a fregare la gente. La realtà del lavoro in banca è molto diversa da quello che normalmente si immagina. Gli impiegati più giovani hanno retribuzioni sostanzialmente identiche ai loro coetanei del settore privato, ma sopratutto secondo numerosi studi i lavoratori del credito sono tra i più stressati. Siamo sottoposti ad asfissianti pressioni commerciali, a un costante mobbing tanto che molti soffrono di attacchi di panico e anche i giorni di malattia spesso sono dovuti a una qualche forma di “esaurimento”. Ormai tutta l’organizzazione interna alle banche è finalizzata al commerciale. Gli stessi direttori di filiale non decidono quasi più nulla e il loro ruolo è quello di controllare e pressare i dipendenti. I report sul raggiungimento degli obiettivi arrivano due volte al giorno e se non sei in trend sulla settimana, sul mese, sull’anno sono cazzi. Invece di rafforzare gli organici operativi (da sempre caratterizzati da carenze) le banche preferiscono aumentare le figure dedicate esclusivamente al monitoraggio delle vendite e ad intervenire in caso di scostamento da quelli che sono gli obiettivi prefissati. Si è creato così un piccolo esercito di quadri direttivi impegnati dalla mattina alla sera a pungolare e spesso ad umiliare chi secondo loro non contribuisce adeguatamente ad aumentare la redditività dell’azienda. Mentre per i normali dipendenti ormai i premi sono una chimera, a questi moderni capetti le banche, in caso di raggiungimento degli obiettivi, garantiscono incentivi che possono arrivare anche a diverse decine di migliaia di euro. Con queste prospettive di guadagno e solo una cinquantina di persone da controllare immaginate che tipo di pressioni possono esercitare su chi è poi effettivamente a contatto con la clientela. E’ proprio per sfuggire alle pressioni, ai cazziatoni e alle umiliazioni che i bancari vendono ai clienti prodotti non adeguati.

Per tutelare realmente i piccoli risparmiatori sono poche le cose da fare:
  • Obbligare le banche a comunicare ai clienti che quella da la loro svolta non è un attività di consulenza ma un attività strettamente commerciale.
  • Ridurre la documentazione da sottoscrivere in caso di investimenti e mettere in rilievo le caratteristiche dei prodotti che realmente interessano i clienti ovvero il grado di rischio, la presenza o meno di garanzia del capitale e le prospettive di rendimento.
  • Vietare che lo stipendio dei lavoratori, dei quadri direttivi e dei dirigenti bancari sia legato anche solo in minima parte al conseguimento di obiettivi commerciali.
Infine la cosa più importante: le banche devono essere in mani pubbliche. Fin quando le banche dovranno distribuire utili agli azionisti e stare sul mercato, i piccoli risparmiatori saranno sempre e solo vacche da mungere.

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