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25/11/2015

Bombe a Tunisi: enensimo stato di emerge

In Tunisia è di nuovo stato d’emergenza. L’ennesimo colpo alla difficile transizione democratica intrapresa dal paese dopo le rivolte del 2010-2011 è giunto ieri: dodici persone sono state uccise e 17 ferite nell’esplosisione di una bomba che ha centrato un autobus con a bordo guardie presidenziali.
Secondo le autorità tunisine si è trattato di un attentato suicida, realizzato nella centralissima Mohamed V Avenue, tra le principali strade della capitale tunisina, piena di hotel e banche. Le guardie presidenziali stavano salendo nell’autobus che le avrebbe portate fuori città quando la bomba (o il kamikaze) è esplosa.

Stavolta i kamikaze non hanno colpito i turisti stranieri, come successo al museo del Bardo e sulla spiaggia di Sousse, né l’industria del turismo che tiene in piedi un paese ancora non privo di disuguaglianze sociali e economiche. Stavolta il target era il potere costituito, rappresentato dalle forze armate a difesa del presidente. Per ora nessun gruppo ha rivendicato l’azione, tanto da far immaginare che non sia stato ordito da gruppi estremisti esterni, come lo Stato Islamico, ma da cellule interne interessate a destabilizzare l’attuale governo.

L’attacco ha di nuovo dato mano libera al governo del presidente Essebsi nel distribuire ulteriori poteri alle forze di sicurezza: 30 giorni di stato di emergenza e coprifuoco fino alle 5 di stamattina. Subito sono stati chiusi siti turistici e l’aeroporto di Tunisi, nel timore si trattasse del primo di una serie di attentati.

Dal 2011 ad oggi, dalla deposizione del dittatore Ben Alì, la Tunisia ha tentato di intraprendere la via democratica e pluralista, tra enormi difficoltà: assassini politici di esponenti delle sinistre (da molti imputati al governo islamista di Ennahda), violenza politica, attacchi alle manifestazioni, un flusso costante di nuovi affiliati allo Stato Islamico che pesca in Tunisia il più alto numero di adepti. Una situazione di instabilità interna a cui si aggiunge l’incapacità delle istituzioni tunisine a far fronte alle problematiche serie che spinsero il popolo in piazza nel dicembre del 2010: disuguaglianza sociale ed economica tra nord e sud, alto tasso di disoccupazione giovanile, alto tasso di povertà, soprattutto tra le comunità rurali.

A ciò si aggiunge la stretta governativa contro le voci critiche: giustificandosi con la lotta al terrorismo interno e internazionale, il governo di Tunisi ha messo in piedi una nuova normativa anti-terrorismo che pare più volta a mettere sotto silenzio le opposizioni che a frenare le cellule estremiste. Dopo gli attacchi al Bardo e a Sousse, sono stati dispiegati per le strade migliaia di poliziotti e soldati; un muro è stato costruito al confine con la Libia; migliaia di persone sono state detenute e interrogate per sospette connessioni con gruppi terroristici; premi in denaro sono stati promessi a chi fornisce informazioni su sospette attività terroristiche; 80 moschee accusate di incitare alle violenze sono state chiuse per ordine governativo. Come spesso accade la libertà viene piegata alle necessità della sicurezza. L’obiettivo che può essere imputato a chi questi attacchi li compie: obbligare un paese che cerca più democrazia a ripiegarsi su stesso, schiavo delle stesse dinamiche liberticide del passato.

Non a caso, dopo le elezioni nazionali della scorsa primavera la Tunisia si è vista riproporre volti conosciuti: la sconfitta del partito islamista Ennahda, collegato ai Fratelli Musulmani, ha aperto la strada a Nidaa Tounis e a molti esponenti dell’ex regime di Ben Alì. Lo stesso presidente Essebsi e il primo ministro Essid erano uomini dell’establishment politico del dittatore deposto.

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