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27/10/2015

La Catalogna infiamma la campagna elettorale per le elezioni spagnole


La grande stampa ha già da tempo abbandonato la vicenda catalana dopo il passeggero interesse dimostrato in occasione delle elezioni regionali vinte dagli schieramenti indipendentisti.

Eppure è a partire da quanto sta accadendo e accadrà nei prossimi giorni a Barcellona che si giocherà buona parte della campagna elettorale in vista delle elezioni generali spagnole del 20 dicembre prossimo. Elezioni in cui, almeno così prevedono i sondaggi e sembra emergere dalle amministrative degli ultimi mesi, i due partiti dell’alternanza – Popolari e Socialisti – crolleranno ma terranno più duro del previsto, puntellati dal fenomeno Ciudadanos arrivato a soccorrere il sistema politico, andato in crisi a causa della consunzione dell'ambiguo modello prodotto dall’autoriforma del franchismo e sulla spinta del commissariamento del paese da parte della Troika. Inoltre l’astro di Podemos sembra aver perso molta della sua lucentezza mentre Izquierda Unida pagherà cara la concorrenza del movimento “né di destra né di sinistra” fondato e guidato da Pablo Iglesias.

Se è prevedibile, stanti gli attuali equilibri, una sostanziale tenuta del sistema politico spagnolo (anche se a costo di trasformarsi in tripartito con l’irruzione di Ciudadanos pur di sopravvivere), è difficile invece prevedere quali saranno le conseguenze generate dal processo indipendentista messo in moto dalle forze che hanno vinto le elezioni regionali catalane.

Durante il discorso di investitura seguito alla sua elezione a presidente del Parlament – l’assemblea regionale catalana – la battagliera Carme Forcadell ha intonato un inequivocabile “Viva la Repubblica Catalana”. La a lungo presidente dell’Assemblea Nazionale Catalana – associazione trasversale che ha dato impulso negli ultimi anni alla montante mobilitazione indipendentista della società catalana – ha assicurato che si impegnerà per trasformare il Parlament in un'assemblea legislativa, che da ora si chiude la fase dell’autonomia e che si apre quella costituente.

“Siamo qui per servire il popolo” ha assicurato Forcadell, annunciando che sotto la sua guida l’assemblea catalana smetterà di essere un “parlamento regionale con competenze limitate” per diventare un “Parlamento nazionale con pieni poteri”.

Significativo il fatto che a designare la nuova presidente indipendentista del Parlament non siano stati solo i rappresentanti delle forze apertamente partigiane della separazione, come quelli eletti con la coalizione Junts pel Si (i liberalnazionalisti della CDC e i socialdemocratici di Esquerra Republicana) e della Cup (sinistra indipendentista)  ma anche 5 dei deputati regionali di Catalunya Sì que es Pot, l’alleanza tra la sezione locale di Podemos e i due partiti di sinistra – la sinistra unita di EUiA e gli eco-socialisti di Icv – che formalmente si dichiarano federalisti. Ad appoggiare la sua investitura è stato un insperato 57% degli eletti con 77 voti a favore, 57 bianchi e uno nullo. Un voto, quello arrivato da alcuni esponenti della sinistra federalista, conquistato anche in virtù del versante sociale della dichiarazione di intenti della pasionaria della lingua catalana. La nuova presidente ha rivendicato una identità catalana che includa tutti gli abitanti del territorio, a prescindere dalla loro origine, ed ha affermato di battersi per “politiche che sostengano chi ne ha bisogno e per leggi che aiutino a sradicare le diseguaglianze sociali”. Alla fine del suo discorso ha ricordato il presidente del governo autonomo catalano, Lluìs Companys, che nel 1940 fu arrestato in Francia dalla Gestapo nazista e consegnato agli aguzzini del regime franchista che lo torturarono per giorni e poi lo fucilarono.

Durante la sessione di investitura di Forcadell è intervenuto anche Julià de Jòdar, deputato della Cup, che ha attaccato duramente i limiti posti alla riforma democratica dalla Costituzione imposta nel 1978 dal patto tra franchisti e la maggior parte dei partiti dell’opposizione. “Il Parlamento Catalano è ora il luogo dove costruire l’alterità” ha detto, affermando “è ora di uscire dalla gabbia” e chiudendo il suo intervento non previsto con un “Visca la terra”, lo slogan tradizionale del movimento indipendentista.

Nei giorni scorsi un deputato della Cup aveva fatto sapere che avrebbe appoggiato l’elezione dell’ex presidente dell’Assemblea Nazionale Catalana perché “è una persona indipendente, il cui obiettivo è portare a termine un processo di rottura, che viene dalle mobilitazioni popolari e che incarna il carattere eccezionale del momento storico che stiamo vivendo”.

Secondo i media e gli stessi esponenti della formazione della sinistra anticapitalista che ha triplicato i suoi seggi alle ultime regionali, la Cup e Junts pel Sí avrebbero raggiunto un accordo di massima per far approvare dal Parlament, durante la sua prima seduta, una dichiarazione formale e solenne che includa la costituzione “di uno Stato catalano indipendente in forma di repubblica”. La sinistra indipendentista e la coalizione nazionalista moderata sono però ancora in alto mare per quanto riguarda la designazione del prossimo presidente del governo regionale. Junts pel Sì ribadisce pubblicamente che il suo unico candidato è Artus Mas, il leader di Convergenza Democratica e ‘premier’ uscente, ma la Cup continua a insistere sulla necessità che a guidare il nuovo esecutivo sia un personaggio rappresentativo di tutto lo schieramento indipendentista per dare anche un segnale di discontinuità nei confronti delle politiche di Mas all’insegna dell’austerity, del liberismo e dell’autoritarismo nei confronti delle opposizioni sociali. Da segnalare che mentre da Convergenza Democratica si afferma che, nel caso salti l’investitura di Mas si andrebbe ad uno stallo e alla possibile convocazione di nuove elezioni nella prossima primavera, il capolista di Junts pel Sì – l’ex parlamentare eco-socialista Raul Romeva – ha chiarito che i punti di convergenza con la piattaforma programmatica della Cup, sia per quanto riguarda le rivendicazioni nazionali che sociali, sono numerosi. E questo mentre i vertici di Convergenza Democratica e lo stesso Mas sono al centro di una maxi inchiesta per corruzione che proprio mentre scriviamo vive un nuovo momento di drammatizzazione.

Questa mattina gli agenti dell’Unità contro i crimini economici e fiscali (Udef) della Polizia Nazionale stanno conducendo una retata a Barcellona e Madrid nei confronti di una rete societaria che fa capo a uno dei figli dell’ormai anziano Jordi Pujol, ex presidente della Generalitat (il governo regionale catalano) e leader indiscusso di Convergenza e Unione per vari decenni prima dell’inizia dell’era Mas.

Già lo scorso 21 ottobre la sede nazionale di Convergenza era stata perquisita dalle forze dell’ordine alla ricerca di documenti che provino il finanziamento illecito del partito, accusa che ha già portato all’arresto del tesoriere della formazione liberal-nazionalista. L’inchiesta ha già portato anche all’arresto e alla denuncia a piede libera nei confronti di numerosi imprenditori e funzionari della Generalitat, tutti riconducibili alla filiera capeggiata da Artur Mas. Il candidato alla seconda investitura come presidente del governo catalano grida al “complotto spagnolista” ma la verità è che sono proprio gli indipendentisti radicali della Cup e alcuni degli ambienti sociali riconducibili alla sinistra federalista catalana i maggiori accusatori nei confronti di un leader che ha scoperto l’indipendentismo pochi anni fa, nel tentativo di cavalcare l’onda nazionalista che si propagava nella società catalana anche in reazione alle sue politiche economiche a base di tagli e privatizzazioni e alla corruzione che sempre più contraddistingue il personale politico del catalanismo finora regionalista.

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