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28/10/2015

Di denaro facile si può morire

Due “stranezze” nella stessa giornata segnalano che stiamo vivendo tempi davvero ab-normal, come avrebbe spiegato Igor-Marty Feldman. Ci siamo occupati del dilemma che attanaglia la Federal Reserve, che coglie un lato del problema “tassi di interesse-iniezioni di liquidità”. Quello dell'inefficacia di questa strategia di politica monetaria, che ha fin qui impedito esplosioni traumatiche ma non è affatto riuscita a riportare inflazione e crescita del Pil su binari “normali” (il +2%, almeno nel primo caso).

L'altro lato del problema sono le distorsioni paradossali che la liquidità in eccesso provoca. E l'esempio, attualissimo, arriva dalla Danimarca. Un paese fuori dall'euro, ma dentro l'Unione Europea, più piccolo ma più produttivo della Grecia, con un welfare incommensurabilmente più avanzato (e dispendioso) di quasi tutti i partner continentali. Un paese che dunque avrebbe la possibilità teorica di giocare sul tasso di cambio – svalutando, all'occorrenza – per facilitare le esportazioni. Ma che invece cerca disperatamente di mantenere una certa quotazione rispetto all'euro per non pagare uno sproposito sul fronte delle importazioni (dalla Germania, in primo luogo).

Bene, la Danimarca è stato il primo paese la cui banca centrale ha adottato tassi negativi, all'incirca tre anni fa. Capitalisticamente parlando è un assurdo: si prestano soldi con la certezza di riceverne di meno, anche a prescindere dall'eventuale inflazione.

Che fine fa la centralità del profitto, signora mia? Sia chiaro: le banche commerciali non ci rimettono affatto, perché prendono in prestito dalla Banca centrale al -0,75% e prestano ai clienti a un tasso superiore, ancorché negativo (-0,20, per esempio). A rimetterci è solo la Banca centrale, che però fa un altro mestiere e comunque spera che questo incubo finisca presto.

È chiaro, dal nostro punto di vista, che la Danimarca non può risolvere questo problema da sola. L'avvitamento in cui è entrata può essere interrotto solo da una “ripresa” continentale, dall'afflusso di capitali di rischio che per qualche motivo dovrebbero trovare “conveniente” investire tra Copenhagen e lo Skagerrat. Persino la ben più solida Svizzera, qualche tempo fa, ha dovuto rinunciare a manovrare il valore del franco rispetto all'euro (bloccato arbitrariamente intorno all'1,20) per il buon motivo che si sarebbe svenata nel tentativo. Ed anche la Svizzera ha ripiegato sui tassi negativi (in una forchetta tra -0,25% e -1,25%).

L'articolo di Enrico Marro, qui di seguito, spiega bene il problema e anche la sua conseguenza relativamente inattesa: i bassi tassi hanno fato esplodere una bolla immobiliare pazzesca (+60%) in pochissimo tempo. Il valore della casa vola, dà l'impressione di ricchezza crescente e solida, incrementa persino un po' di xenofobia (non vogliamo immigrati che ci farebbero svalutare gli asset immobiliari nelle zone in cui li mandiamo a vivere). Ma è l'altra faccia della deflazione salariale. I salari nominali danesi infatti restano molto alti, per il nostro metro di misura, mentre quasi tutte le merci non aumentano di prezzo (c'è inflazione zero anche da quelle parti). Ma se vuoi comprare una casa, oltretutto col mutuo a tasso zero o sottozero, il prezzo diventa inarrivabile. Di fatto sei più povero, ma tene accorgi solo al momento dell'acquisto. O dell'affitto, perché la “cultura del mattone” non è da quelle parti così plebiscitaria come da noi.

Ma anche per il capitale finanziario, sempre in cerca di rendimenti appetibili (con il mercato dei titoli di stato “congelato” dalle mosse della Bce), non è rimasto altro che gettarsi in questo segmento apparentemente poco rischioso. Probabilmente fatale, invece. Più investimenti immobiliari speculativi alzano ancora di più il prezzo delle case, stimolano attività costruttive non in relazione con le dinamiche demografiche (si fanno pochi figli e si cerca di limitare l'immigrazione). È matematico che prima o poi la “razionalità del mercato” presenti un conto salatissimo, sotto forma di perdite colossali.

E la Bce, come spiega Marro, non può essere in questo caso di nessun aiuto. Anzi, le mosse che sarà costretta a fare da qui ad un mese scaricheranno sui malcapitati danesi un'ulteriore abbassamento dei tassi.

Certo, la Federal Reserve può interrompere questa spirale, rialzando i tassi. Ma allora i problemi danesi sarebbero nulla di fronte a quelli del mondo...

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Fai un mutuo? La banca ti paga. Ecco come in Danimarca i tassi sottozero hanno gonfiato la bolla del secolo

di Enrico Marro
Nel luglio del 2012, per la prima volta in circa 200 anni, la banca centrale danese (DNB) ha portato i tassi di interesse in negativo. Da allora le banche che depositano fondi presso la DNB non solo non ricevono più alcuna remunerazione, ma vengono costrette a pagare per il “parcheggio”. Intanto i tassi sono scesi ancora più sottozero. In evidente difficoltà per cercare di difendere il cambio quasi fisso con l’euro, tra gennaio e febbraio di quest’anno la DNB è stata costretta a tagliare il tasso di riferimento ben quattro volte in due settimane, portandolo a -0,75%. Uno -0,75% condiviso ora con la Norvegia (che ha abbassato i tassi a settembre, per far fronte al calo del petrolio) e Svizzera (che li ha inseriti in un “corridoio” tra -0,25% e -1,25%).

La Bce ha già tassi leggermente negativi (-0,2%), la stessa Fed americana per ammissione della Yellen ha esaminato la possibilità di adottarli. Ma cosa comporta, in concreto, essere nel mondo della finanza sottozero? I tre anni di esperienza danese forniscono interessanti indizi al riguardo.

Avere tassi negativi significa per esempio che, quando vai a chiedere un mutuo, è la banca - e non tu mutuatario - a pagare gli interessi. Wow, bello, almeno in un primo momento. Ma prima o poi arriva la resa dei conti. Sì, perché i tassi negativi hanno gonfiato una bolla immobiliare che fa impallidire persino quella cinese: in appena tre anni i prezzi del mattone a Copenaghen sono aumentati tra il 40% e il 60%, stima Blooomberg, poiché la politica ultraespansiva della DNB ha generato inflazione finanziaria. Il delirio della corsa al mattone è iniziato quando la Danimarca aveva appena finito di leccarsi le ferite per l’esplosione della bolla precedente, quella del 2008, un piccolo disastro stile mutui subprime Usa quanto a lacrime e sangue.

«Ci sono segnali molto pericolosi», spiega oggi Joachim Borg Kristensen, economista esperto di real estate a Nykreditthe, perché se i prezzi degli appartamenti dovessero continuare a galoppare a questo ritmo «potrebbero raggiungere un livello insostenibile in un periodo relativamente breve».

Ma non è tutto. Con Draghi che si prepara a varare nuove misure espansive per scongiurare il rischio deflazione (e per indebolire l’euro), la DNB potrebbe portare i tassi in territorio ancora più negativo, per difendere il cambio della corona danese. Tutto questo mentre PFA, il maggior fondo pensione privato danese, ha appena annunciato che investirà 4 miliardi di corone (536 milioni di euro) nel mercato immobiliare nazionale.

A cosa porteranno tassi ulteriormente negativi combinati a massicci investimenti dei fondi pensione nel mattone? A una probabile accelerazione dei prezzi delle case, con aspettative esagerate di ulteriori aumenti delle quotazioni da parte di chi acquista. Una corsa sfrenata che prima o poi troverà un bel muro di cemento a fermarla. Ricordate la maxi bolla immobiliare gonfiata nei Paesi mediterranei (Spagna, ma anche Italia) dall’adozione dell’euro? Tutti sanno bene come è andata a finire. In Danimarca rischia di finire pure peggio.

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