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28/09/2015

La morte serena di Pietro Ingrao

Ci piace immaginare serena la morte di Pietro Ingrao come non può non esserla quella di chi ha raggiunto il traguardo dei cento anni avendo scritto, in passato, libri di poesie. Un poeta di fronte al corso naturale della vita non può che rimanere sereno.

Poi c’è il bilancio politico, inevitabile. La storia che è trattenuta in questa testata, che rimanda direttamente alla formazione livornese del Pci, è molto vicina ed molto lontana da quella di Pietro Ingrao. Non lo diciamo per malinteso senso dell’ecumenismo: è la storia del movimento comunista italiano che è fatta di percorsi che si intrecciano, che divergono, che si allontanano, che confliggono anche brutalmente, che tornano sulla traiettoria disegnata dal passato.

Sicuramente il conflitto più forte con la storia politica di Ingrao, tutto schiacciato sulla memoria storiografica, è legato alla vicenda dell’unità nazionale, figlia di una strategia di compromesso storico che ha spalancato le porte all’Italia che conosciamo. Oltretutto fu in quel periodo che la storiografia militante, a sinistra del Pci, fece scoprire in miriadi di pubblicazioni le numerose falle, aberrazioni, gli errori, l’ottusità, le compromissioni, le illusioni di un altro periodo cruciale del Partito Comunista Italiano. Quello che va dalla svolta di Salerno all’attentato a Togliatti. Periodo che, a rivederlo bene, contiene anche il compromesso storico di un quarto di secolo dopo (Il Manifesto denunciava la tendenza al compromesso storico già nel 1969). Proprio perché si tratta di storia passata, e il lungo percorso esistenziale di Ingrao ci ricorda questo, possiamo però parlarne con profondità e serenità. Le facoltà che mancano a chi ricorda Ingrao per motivi di marketing, come Veltroni che non cessa di regalare banalità, o chi ha bisogno di tornare sul passato per abbaiare come il cane alla catena. Ci piacerebbe che una riflessione su quel periodo, su vicende come quella di Ingrao, costruisse categorie concettuali per l’oggi e per il futuro. Non è facile e non è scontato: perché la storiografia spesso cerca di imporre le domande irrisolte del mondo morto che osserva anche al presente; perché le generazioni presenti tendono, fatalmente, a ripercorre gli errori del passato senza capire molto di quello di cui stanno parlando; perché il futuro parla sempre una lingua che ha zone d’ombra, intraducibili, per chi semplicemente appartiene al passato.

E’ un luogo comune quello che dice che senza memoria non c’è futuro. Il futuro c’è quando si assume la giusta distanza con il presente e con il passato, quando il salto verso il mondo che verrà viene assunto con la consapevolezza di quel senso del vuoto, del pericolo, che altri hanno conosciuto prima di noi. Allora esperienze come quella di Ingrao è giusto e sensato rileggerle. Senza apologia, senza incanto, senza venerazione, senza condanne ma con curiosità e puntiglio. E anche senso di quella incredibile avventura esistenziale che è la politica.

Riproponiamo quindi l’articolo sui cento anni di Pietro Ingrao scritto questa primavera: Il peso del centenario di Pietro Ingrao

Redazione

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