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30/06/2015

Grecia. I conti della storia

La vicenda greca è il punto di non ritorno di una storia europea durata due generazioni, quella del secondo dopoguerra, del confronto bipolare, del piano Marshall, della nascita della CEE. Si tratta di una storia particolare che scaturisce da una congiuntura geopolitica specifica: il confronto, ad ogni livello, del modello di sviluppo capitalistico e di quello socialista.

Eric Hosbawm, il grande storico che vedeva nel crollo dell’URSS la fine di un’epoca, ci aveva avvisato del fatto che, grazie a quell’evento, si sarebbe aperta un’era del tutto diversa dalla precedente. Oggi questa nuova età sta presentando il conto, mettendo fine al modello europeo di sviluppo, fondato su welfare, pace tra le nazioni, integrazione e condivisione delle risorse.

È logico e naturale che le cose vadano in questo verso: il modello europeo è stato concepito come una risposta di soft power alle democrazie popolari dell’Est e si è retto per decenni sull’interclassismo portato avanti dai partiti cristiano – sociali e socialdemocratici. La logica strategica sottesa a queste politiche d’integrazione e di welfare è riassumibile nel tentativo di mostrare che può esistere un “capitalismo dal volto umano”, che il capitale può convivere con la giustizia sociale e con i diritti dei lavoratori.

Nei primi quarant’anni del secondo dopoguerra, la realizzazione di un minimo di uguaglianza sostanziale in Europa ha rappresentato una scelta obbligata: si trattava, infatti, di smorzare la dialettica sociale e di sottrarre consenso ai partiti comunisti occidentali che guardavano oltrecortina, di stabilizzare, in ultima analisi, il sistema capitalistico, non solo con l’hard power NATO, ma anche garantendo diritti, benessere e prospettive di mobilità sociale.

Una volta venuta meno la minaccia del socialismo reale in Europa e in Asia, la borghesia ha smesso l’abito democratico – sociale precedente, ormai non più necessario, per assumere quello, più consono ai tempi, dell’oligarchia sfruttatrice, oppressiva e autoritaria. Che bisogno c’è ormai del welfare, se non esiste più il pericolo che le masse possano aspirare a un modello alternativo a quello capitalistico?

Alla borghesia europea costa meno la repressione del mantenimento dello Stato sociale, senza contare che lo smantellamento di sanità, pensioni, scuola e servizi rappresentano un mercato enorme nel quale tuffarsi e fare profitto. Le strategie di mistificazione utilizzate dal nuovo corso liberista per distruggere quel poco che rimane dei diritti sociali, sono le più diverse: retorica dell’inefficienza statale, conflitto tra generazioni (si mettono i figli contro padri e nonni, facendo credere loro che non hanno prospettive perché i primi hanno diritti o, meglio, “privilegi” nella neolingua liberista), insostenibilità finanziaria...

La Grecia è la cavia che ha sperimentato fino in fondo il nuovo modello europeo di società autoritaria di mercato, ma è anche la dimostrazione lampante del fatto che ogni riformismo votato all’equità sociale è impossibile nella UE. La vicenda ellenica mostra, in ultima analisi, che le istituzioni europee non sono in grado di convivere con quelle democratiche: a Bruxelles vigono forme di democrazia delegata debole, funzionali alla cooptazione elitaria e lobbistica, ad Atene sarà il popolo, entità sconosciuta a banchieri e mercati, ad avere l’ultima parola sul proprio futuro.

Stare con la Grecia significa stare con la democrazia.

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