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26/05/2015

L'Isis avanza, Baghdad e Washington litigano

A Baghdad proprio non è andato giù l’attacco del segretario alla difesa statunitense Ash Carter che, commentando ieri la recente conquista di Ramadi da parte dello “Stato Islamico” (Is), ha accusato le forze irachene di non aver voluto combattere. Il portavoce del governo iracheno, Saad al-Hadithi, si è detto sorpreso dalle parole di Carer aggiungendo che l’alto rappresentate statunitense ha ricevuto “informazioni non corrette” riguardo a quanto accaduto nella città. Secondo al-Hadithi la sconfitta di Ramadi sarebbe stata causata, piuttosto, da una cattiva condotta e da una scarsa pianificazione da parte di alcuni comandanti militari. A intervenire in difesa di Baghdad è stato oggi l’alleato iraniano. Il capo dell’unità d’elite delle Guardie Rivoluzionarie, Qassem Soleimani, ha accusato infatti gli statunitensi di non aver “alcuna intenzione” di fermare lo “Stato Islamico”.

Secondo quanto riferisce il quotidiano iraniano Javan (vicino alle Guardie Rivoluzionarie), Souleimani ha detto che gli Usa non hanno fatto “niente” per combattere i jihadisti. “Al momento, nessuno – eccetto la Repubblica islamica d’Iran o le nazioni vicine o sostenute dall’Iran – sta affrontando lo Stato islamico”. L’amministrazione Obama ha scelto finora di agire militarmente solo all’interno di una coalizione internazionale compiendo raid aerei in territorio iracheno e siriano. Oltre ai bombardamenti, Washington fornisce armi e addestramento alle truppe irachene e alla parte di opposizione siriana al regime di al-Asad che considera “moderata”. L’approccio iraniano è più diretto. Tehran ha offerto consiglieri militari, tra cui Soleimani, che comandano le milizie sciite impegnate in prima linea contro gli estremisti islamici. L’Iran nega però qualunque presenza di truppe iraniane in Iraq, nonostante tre membri delle Guardie rivoluzionarie siano stati uccisi in battaglia.

Ma se difficile è la situazione in Iraq, ancora più disperata appare quella in Siria. L’Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR), ong di stanza a Londra e vicina all’opposizione, afferma che gli aerei da combattimento del regime di al-Asad hanno condotto 17 raid nella città di Palmira (e nelle zone vicine) facendo molti morti. Secondo Sohr, da quando la città è stata occupata dai miliziani dello Stato Islamico (lo scorso mercoledì), più di 217 persone tra impiegati statali, truppe e lealisti sono stati uccisi dagli uomini di al-Baghdadi. L’Osservatorio sostiene che sono morti finora 67 civili (14 di questi bambini). “La maggior parte delle vittime era di Palmira. Molti sono stati fucilati, altri, invece, massacrati o decapitati” ha dichiarato all’AFP il direttore del Sohr, Rami Abdel ar-Rahman.

A Palmira non si teme solo per il destino di coloro che restano intrappolati nella città occupata dallo Stato islamico. Sono forti ancora i timori che l’Is potrebbe distruggere il sito archeologico patrimonio dell’Unesco perché potrebbe inneggiare – secondo i fondamentalisti – all’idolatria preislamica. Due giorni fa il capo del dipartimento delle antichità siriane, Mamoin Abd al-Karim, ha detto all’Afp che i miliziani sono entrati nel museo di Palmira e “hanno rotto alcune statue di gesso che rappresentavano la vita nell’era preistorica”. “Non è quasi rimasto più niente nel complesso museale – ha precisato – perché abbiamo trasferito tutto a Damasco”. “Tuttavia – ha aggiunto – restano lì ancora dei sarcofagi che, pesando tre o quattro tonnellate, non abbiamo potuto spostare. Questo mi preoccupa”.

Ma ad essere preoccupati sono principalmente gli abitanti. Alcuni di loro temono le conseguenze della conquista della città da parte dell’Is. “Non abbiamo paura dello Stato islamico – ha detto Tareq Ahmad, un cittadino intervistato da Middle East Eye – ma temiamo che se l’Is si assicurerà il controllo di Palmira, allora Assad e gli americani ci bombarderanno”. “Abbiamo timore che entrambi le parti del conflitto possano vendicarsi” ha detto un altro. “Se lo Stato islamico conquista [la città] loro si vendicheranno contro chi si è schierato con il regime. Se è invece quest’ultimo a vincere, si vendicherà contro di noi perché [dirà che] ci siamo schierati con l’Is”.

Sul conflitto in corso in Siria e Iraq è intervenuto ieri il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Nasrallah ha detto che i suoi combattenti aumenteranno la loro presenza in Siria, dove è in corso una battaglia “esistenziale” contro l’Is. Il capo di Hezbollah ha invitato coloro che lo criticano in Libano a sostenere il suo intervento armato affermando che è un errore sostenere l’opposizione al regime di Assad perché questo non li salverà dall’Is. “Oggi stiamo affrontando un pericolo che non ha precedenti nella storia che mira a colpire l’umanità stessa” ha dichiarato Nasrallah celebrando il 15° anniversario della ritirata delle truppe israeliana dal territorio libanese. “Non è solo una minaccia per la resistenza in Libano, per il regime siriano, per il governo iracheno o per il gruppo yemenita [gli houthi, ndr] – ha precisato – ma è un pericolo per tutti. Pertanto esortiamo tutti in Libano e nella regione ad assumersi la propria responsabilità e ad affrontarlo non rimanendo in silenzio, esitando o rimanendo neutrali”. “Noi [di Hezbollah] stiamo combattendo con i nostri fratelli siriani, insieme all’esercito, alle persone e alla resistenza popolare a Damasco, Aleppo, Deir Ezzor, Qusayr, Hasakeh e Idlib – ha ammesso il leader sciita che ha poi promesso – saremo in tutti i posti in Siria in cui lo richiederà la battaglia“.

Il discorso di Nasrallah ha subito suscitato le (prevedibili) critiche dell’ex premier libanese, Saad Hariri. “Difendere la terra, la sovranità e la dignità [del Libano] non è responsabilità di Hezbollah. La nostra posizione su Da’esh [acronimo arabo per Is, ndr] e sulle forze del terrore non deve essere certificata da nessuno”.

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