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30/05/2015

La tenaglia turco-saudita strangola Damasco

foto AliceMartins/AFP/Getty Images

di Michele Giorgio

Schiacciare la Siria approfittando dell’avanzata dell’Isis. L’alleanza turco-saudita, impensabile fino qualche tempo fa, intensifica gli aiuti finanziari e i rifornimenti di armi ai ribelli “moderati” (in realtà una galassia di gruppi islamisti radicali e jihadisti) per stringere la morsa sul presidente siriano Bashar Assad. Soldi e armi che finiscono anche, se non soprattutto, nelle mani del Fronte al Nusra, ramo siriano di al Qaeda e principale forza militare impegnata nei combattimenti con l’esercito siriano nelle regioni nord-occidentali. Ieri il quotidiano turco Cumhuriyet ha pubblicato un video, rimasto segreto per mesi, di tir dei servizi segreti di Ankara diretti in Siria che trasportavano ingenti quantitativi di armi nascosti sotto scatole di medicinali: 1.000 mortai, 1.000 granate, 50.000 fucili d’assalto e 30.000 mitragliatrici pesanti. L’anno scorso il governo islamista turco – che ha sempre sostenuto che a bordo ci fossero soltanto aiuti per i civili –  aveva imposto ai media la censura sulla vicenda. Dai controlli è poi emerso che i camion erano sotto la gestione dell’intelligence.

La verità è emersa grazie a Cumhuriyet ma rappresenta solo una conferma di ciò che è noto a tutti  da tempo. La monarchia feudale saudita di re Salman e il nuovo sultano Erdogan non risparmiano sforzi per abbattere Assad e spezzare l’alleanza “sciita” tra la Siria e l’Iran. Per Damasco senza dubbio le cose si sono complicate dopo la perdita completa della provincia di Idlib, al confine con la Turchia, per mano del Jeish al Fateh (la coalizione jihadista guidata da al Nusra), e della città di Palmira a est dove l’Isis, per l’offensiva, aveva fatto affluire parte degli armamenti abbandonati dall’esercito iracheno a Ramadi. Il sostegno dei combattenti sciiti di Hezbollah è fondamentale per le truppe siriane, sempre più stanche, ma non è infinito e si concentra principalmente nell’area delle alture di Qalamoun e a ridosso del confine con il Libano.

A queste difficoltà crescenti sul campo di battaglia, si aggiungono, persino più gravi e pesanti, le conseguenze economiche della guerra civile. Con la maggior parte delle sue risorse naturali e minerarie cadute sotto il controllo dei ribelli, le entrate dello Stato siriano si sono ridotte al minimo e Damasco deve fare sempre più affidamento alle linee di credito messe a disposizione dall’Iran. L’agenzia Afp scriveva qualche giorno fa che con l’avanzata dell’Isis, il governo ha perso il controllo anche su due miniere di fosfati, Sharqiya e Khneifess, 50 km a sud ovest della città di Palmira. La prima produceva circa tre milioni di tonnellate di fosfati all’anno, la seconda circa 850.000 tonnellate. Prima della guerra civile, la Siria era il quinto esportatore mondiale di fosfati mentre nel primo trimestre del 2015 ha venduto solo 408.000 tonnellate.

I proventi del petrolio peraltro si stanno prosciugando. Le esportazioni sono meno della metà delle 988.000 tonnellate vendute nei primi tre mesi del 2011 (quell’anno dall’oro nero Damasco incassò 3,8 miliardi di dollari). Nel 2013 l’Isis ha preso tutti i campi della provincia orientale ricca di petrolio di Deir Ezzor e lo scorso settembre i jihadisti producevano più petrolio del governo centrale: 80.000 barili al giorno contro 17.000. Alla fine del 2014 la produzione ufficiale era precipitata a 9.329 barili al giorno rispetto ai 380.000 barili del 2010 e la scorsa settimana i jihadisti hanno sequestrato un altro campo petrolifero Jazal (2.500 barili al giorno). Restano nelle mani di Damasco, ma anche questi non completamente, i giacimenti di gas naturale. Non sorprende che le esportazioni totali siano crollate da 11,3 miliardi dollari nel 2010 a 1,8 miliardi dollari nel 2014, riferiva nei giorni scorsi il giornale filo-governativo Al-Watan. Un buco coperto solo in parte dai 4,6 miliardi dollari versati da Tehran nelle casse siriane.

Difficile resta la situazione anche in Iraq dove l’Isis continua ad avanzare e a colpire a Baghdad. I jihadisti hanno rivendicato gli attentati (un kamikaze e tre autobomba) compiuti ieri contro due hotel di lusso della capitale, il Cristal Grand Ishtar (ex Sheraton) e il Babylon Warwick, che hanno fatto almeno 15 morti e 42 feriti.

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