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28/05/2015

Iraq - La controffensiva sciita a Ramadi riaccende i timori sunniti

di Chiara Cruciati – Il Manifesto

Ramadi è caduta, la pro­vin­cia di Anbar è quasi del tutto in mano allo Stato Isla­mico: di chi è la colpa? Per il segre­ta­rio Usa alla Difesa, Ash­ton Car­ter, è dell’esercito di Bagh­dad, fug­gito di fronte al nemico e poco inte­res­sato a com­bat­tere. L’autocritica è merce rara a Washing­ton. E Bagh­dad ha pre­pa­rato la con­tro­mossa: a Ramadi ha inviato le mili­zie sciite che la Casa Bianca aveva cac­ciato dalla prima linea.

La con­trof­fen­siva ad Anbar è par­tita mar­tedì: le Hashed al Shaabi, unità di mobi­li­ta­zione popo­lari sciite (le stesse ave­vano rico­q­nui­stato Tikrit), prima sono state dispie­gate in massa a Bagh­dad e ora ven­gono man­date ad Anbar. Ieri ave­vano già ripreso due aree a sud del capo­luogo Ramadi, occu­pato 10 giorni fa dagli isla­mi­sti. Accanto alle mili­zie sciite ci sono le truppe gover­na­tive: «Le forze di sicu­rezza ira­chene, appog­giate da Hashed al-Shaabi, hanno libe­rato le aree di al-Humeyra e al-Tash, dopo scon­tri nei quali sono stati uccisi 33 mili­ziani dell’Isis», ha fatto sapere il con­si­gliere pro­vin­ciale Arkan Kha­laf Tar­mouz. Ripreso anche il cam­pus dell’Università di Anbar. Nelle stesse ore le forze sciite hanno lan­ciato un attacco con­tro l’Isis nella raf­fi­ne­ria di Baiji, a Salah-a-din.

L’operazione è stata ribat­tez­zata “Lab­bayk ya Hus­sein” (“Sono al tuo ser­vi­zio, Hus­sein”), espres­sione sciita legata all’imam nipote di Mao­metto e figlio di Ali. Un chiaro rife­ri­mento reli­gioso, che pare con­fer­mare i timori delle tribù sun­nite che, dopo aver ten­tato l’esclusione degli sciite dalla bat­ta­glia per Anbar, ora gri­dano la loro pre­oc­cu­pa­zione. A stor­cere il naso è lo stesso lea­der reli­gioso sciita Muq­tada al-Sadr: «L’operazione potrebbe infiam­mare la situa­zione, un nome simile sarà sicu­ra­mente frainteso».

Ma le cri­ti­che non sono legate solo alle eti­chette appic­ci­cate sulla con­trof­fen­siva: a Bagh­dad c’è chi teme che l’operazione sia stata lan­ciata troppo pre­sto. «Una bat­ta­glia tanto impor­tante avrebbe dovuto essere pre­pa­rata meglio», ha com­men­tato il pre­si­dente del par­la­mento ira­cheno, il sun­nita Salim al-Juburi. Die­tro sta il timore sun­nita di un’escalation dei set­ta­ri­smi: la pre­senza di com­bat­tenti sun­niti in chiave anti-Isis è ancora limi­tata a causa della len­tezza del governo nell’armare e adde­strare i mili­ziani. Dall’altra parte, ci sono però poche alter­na­tive: il pre­mier al-Abadi aveva accet­tato di non schie­rare gli sciiti a Ramadi, die­tro dik­tat Usa, e la città è caduta.

E se gli Usa incol­pano l’esercito ira­cheno, dovreb­bero com­piere il passo in più: per­ché l’esercito ira­cheno non è pre­pa­rato? Per­ché Washing­ton ha lavo­rato stre­nua­mente negli anni dell’occupazione per man­dare in fran­tumi le isti­tu­zioni legate al par­tito Baath di Sad­dam Hus­sein, impo­nendo dall’alto epu­ra­zioni non solo di figure di alto livello dell’esercito, ma anche delle truppe stesse.

Sul ter­reno le divi­sioni set­ta­rie riac­cese dopo la caduta di Sad­dam hanno spinto molti sun­niti e ex baa­thi­sti ad acco­gliere con favore il calif­fato, visto come piede di porco per scar­di­nare le porte del potere cen­trale. Die­tro sta la mar­gi­na­liz­za­zione poli­tica ed eco­no­mica delle comu­nità sun­nite, figlia del rove­scia­mento del rais e delle stra­te­gie Usa, volte a creare divi­sioni in vista della crea­zione di un Iraq fede­rato e quindi più controllabile.

E l’Isis può pro­se­guire la sua mar­cia. Alla con­trof­fen­siva del governo, il califfo ha rispo­sto con attac­chi sui­cidi che hanno ucciso almeno 17 sol­dati nella zona ovest della pro­vin­cia di Anbar, poco fuori la città di Fallujah.

Di nuovo scon­tri a Yarmouk

Il calif­fato non molla nem­meno a Dama­sco: mar­tedì sono rie­splosi gli scon­tri nel campo pro­fu­ghi pale­sti­nese di Yar­mouk, in Siria. A com­bat­tere i jiha­di­sti dell’Isis, che cer­cano di ripren­dere le posi­zioni perse un mese e mezzo fa all’interno del campo, sono i gruppi pale­sti­nesi. «C’è una bat­ta­glia a inter­mit­tenza tra le fazioni pale­sti­nesi e l’Isis e al-Nusra», ha fatto sapere Kha­led Abdel Majid, capo del Fronte Pale­sti­nese di lotta popo­lare, vicino al pre­si­dente Assad.

Ad oggi i due gruppi isla­mi­sti – tra loro avver­sari – con­trol­le­reb­bero il 40% di Yar­mouk, la zona sud vicina al distretto di al-Hajar al-Aswad. I gruppi pale­sti­nesi man­ten­gono il con­trollo della parte nord.

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