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28/05/2015

Gaza - Il caos politico favorisce i disegni di Netanyauh

di Michele Giorgio – Il Manifesto

Hamas ha arre­stato i mili­ziani del Jihad Islami respon­sa­bili del lan­cio di cin­que razzi mar­tedì sera verso Israele perché, ha spie­gato una fonte del movi­mento isla­mico, quanto è acca­duto va con­tro gli inte­ressi di Gaza e gli inte­ressi nazio­nali pale­sti­nesi. I reparti di sicu­rezza di Hamas, nono­stante i bom­bar­da­menti israe­liani su Gaza com­piuti ieri prima dell’alba, sono stati ugual­mente dispie­gati in vari punti della Stri­scia per impe­dire even­tuali altri lanci di razzi. Lo stesso Jihad Islami ha par­te­ci­pato agli arre­sti dei sospetti che avreb­bero agito senza il soste­gno della lea­der­ship dell’organizzazione, in con­se­guenza di una disputa interna comin­ciata dopo la nomina di un nuovo respon­sa­bile mili­tare nel nord di Gaza. Di que­sto e della situa­zione poli­tica a Gaza abbiamo par­lato con l’analista pale­sti­nese e docente uni­ver­si­ta­rio Mukheir Abu Saada.

Alle con­se­guenze deva­stanti di “Mar­gine Pro­tet­tivo” e del blocco che da anni attuano Israele ed Egitto, si aggiunge un cre­scente caos poli­tico che nean­che il pugno di ferro di Hamas pare riu­scire a tenere sotto com­pleto con­trollo. Per Gaza esi­ste una via uscita da tutto questo.

L’uscita da que­sta cata­strofe che peg­giora con il pas­sare dei giorni, dipende prima di tutto dai pale­sti­nesi. Occor­rono una sin­cera ricon­ci­lia­zione tra Fatah (il par­tito del pre­si­dente Abu Mazen, ndr) e Hamas e l’allargamento alla Stri­scia di Gaza delle respon­sa­bi­lità del governo di con­senso nazio­nale (nato circa un anno fa, ndr) che deve pren­dersi cura di tutta la popo­la­zione pale­sti­nese nei Ter­ri­tori occu­pati. Subito dopo è neces­sa­rio un accordo di tre­gua per­ma­nente tra Hamas e Israele che pre­veda la costru­zione di un porto marit­timo per col­le­gare Gaza al resto del mondo. Sono i primi ma fon­da­men­tali passi per venir fuori da que­sta con­di­zione inso­ste­ni­bile. Al momento però non abbiamo alcun segnale che una tre­gua a tempo inde­ter­mi­nato sarà accet­tata dalle parti e da Israele in modo particolare.

Da set­ti­mane però cir­co­lano indi­scre­zioni su con­tatti segreti tra Hamas e Israele.

Se ne discute tanto ma non abbiamo ele­menti suf­fi­cienti per con­fer­mare que­ste voci. Si dice che il Qatar e la Sviz­zera sta­reb­bero spin­gendo per por­tare Israele e Hamas ad un'intesa non scritta ma il movi­mento isla­mico ha smen­tito con deci­sione que­ste indiscrezioni.

Qual­cosa di vero però sem­bra esserci visto il ner­vo­si­smo dell’Autorità nazio­nale pale­sti­nese a Ramallah.

L’Anp e Fatah sono dif­fi­denti verso qual­siasi con­tatto tra Israele e Hamas, perché in un modo o nell’altro mette ai mar­gini il ruolo del governo di Ramal­lah che si con­si­dera l’unico rap­pre­sen­tante poli­tico del popolo pale­sti­nese, l’unico con la facoltà di nego­ziare per conto dei pale­sti­nesi sulle que­stioni riguar­danti la Stri­scia di Gaza. Non solo que­sto. A Ramal­lah si ritiene che una intesa anche solo ver­bale tra Hamas e Israele fini­rebbe per isti­tu­zio­na­liz­zare la divi­sione tra la Cisgior­da­nia e Gaza (in atto dal 2007, ndr) e per sfo­ciare nella for­ma­zione di una entità poli­tica auto­noma se non addi­rit­tura in un mini Stato pale­sti­nese. Ciò spiega la cam­pa­gna con­tra­ria alla pos­si­bile intesa sot­ter­ra­nea tra Israele e Hamas avviata dall’Anp e dalla lea­der­ship pale­sti­nese di Ramallah.

Que­sto sce­na­rio certo non dispia­ce­rebbe a Israele ma non ver­rebbe accet­tato dall’Egitto di Abdel Fat­tah al Sisi.

Vero, l’opposizione del Cairo è il vero osta­colo alla rea­liz­za­zione di que­sto dise­gno. L’Egitto con­duce una guerra senza sosta con­tro i Fra­telli Musul­mani e, di con­se­guenza, tiene sotto pres­sione anche Hamas che è il ramo pale­sti­nese dell’organizzazione isla­mi­sta. Come Abu Mazen anche al Sisi non vuole intese tra Israele e Hamas che por­tino alla crea­zione di una entità ter­ri­to­riale semiuf­fi­ciale, di fatto rico­no­sciuta da Israele, gover­nata dal movi­mento isla­mico pale­sti­nese. A Benya­min Neta­nyahu non importa nulla delle rea­zioni di Abu Mazen ma il pre­mier israe­liano sa che non può alie­narsi le sim­pa­tie di un alleato tanto pre­zioso come l’Egitto.

Intese minime con Hamas per man­te­nere calma la situa­zione, usando allo stesso tempo le noti­zie che fil­trano per tenere sotto pres­sione Abu Mazen. Neta­nyahu pensa in que­sti termini?

Credo di si. Il pre­mier israe­liano non è inte­res­sato ad avviare un nego­ziato serio, con­creto con Abu Mazen. Piut­to­sto pensa a come appro­fon­dire la spac­ca­tura interna pale­sti­nese, a come allar­gare la sepa­ra­zione tra Cisgior­da­nia e Gaza, perché ritiene que­sto sce­na­rio il per­corso migliore per impe­dire l’indipendenza pale­sti­nese. In linea con ciò, Israele ha aumen­tato leg­ger­mente il numero dei per­messi di spo­sta­mento per gli abi­tanti di Gaza e con­cesso un lieve allen­ta­mento del blocco facendo entrare (a Gaza) qual­che auto­carro carico di merci e mate­riali per la rico­stru­zione. Ovvia­mente è del tutto insuf­fi­ciente per i biso­gni della nostra popo­la­zione ma abba­stanza per creare un con­flitto poli­tico tra Cisgior­da­nia e Gaza e per far pas­sare Abu Mazen come un lea­der iso­lato e debole, che non rap­pre­senta tutti i pale­sti­nesi e non può essere un part­ner cre­di­bile per i nego­ziati con Israele.

Dal vostro punto di vista quali sono gli obiet­tivi di Netanyahu?

No alla fine dell’occupazione mili­tare dei Ter­ri­tori, no alla nascita di uno Stato pale­sti­nese, sì alla divi­sione del popolo palestinese.

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