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08/04/2018

La questione del lavoro segno della decadenza politica e morale

“Articolo 1. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”

Mentre si discute astrattamente della formazione di un nuovo governo seguendo esclusivamente la logica del poteren nessuno (o quasi) riflette sulla decadenza del Paese: una decadenza stretta tra deficit politico e perdita morale che si verifica nello smarrimento totale di quelle coordinate di fondo che avevano permesso all’Italia di uscire dalla tragedia della seconda guerra mondiale elaborando una nuova Costituzione e ricostruendosi dalle macerie materiali e morali.

L’intreccio tra politica e morale era stato stabilito nel testo dell’articolo 1 della Carta fondamentale: era il legame tra lavoro e democrazia che connotava, appunto nell’espressione di quel testo, le nostre aspirazioni migliori.

Oggi la memoria di quell’intreccio appare completamente perduta e si trova ormai straordinariamente lontana dalle culture della politica.

E’ questo il punto decisivo attorno al quale sono state smarrite identità e idee: uno smarrimento che costituisce la grande responsabilità delle forze politiche che si sono fatte sopraffare dalle logiche del “pensiero unico” e della vanità personalistica, fino ad arrivare a una campagna elettorale come quella recente dove il dominio dell’affabulazione meramente retorica ha toccato estremi tali da rendere pressoché impossibile un recupero di credibilità del sistema.

Esistono indicatori estremamente esemplificativi che rendono quest’affermazione concreta e che segnano appunto un quadro di vera e propria decadenza.

Il tema del lavoro è stato completamente obliato.

L’indice di disoccupazione si mantiene al doppio degli altri paesi europei, con una quota rilevantissima di quella giovanile.

Interi settori produttivi risultano del tutto marginali nell’economia del Paese e nel quadro internazionale.

Risultano assenti dal dibattito pubblico qualsiasi proposta di programmazione economica, di serio intervento pubblico, di rapporto tra l’innovazione tecnologica, produzione industriale, e occupazione.

Pesano enormemente i ritardi nelle infrastrutture, i temi ambientali e del dissesto idro geologico.

Il segnale più importante del disprezzo che questa classe politica nutre nel confronto del mondo del lavoro è dato però, come evidente esemplificazione, dall’indifferenza con la quale vengono accolte le notizie di crescita esponenziale nel numero d’incidenti con esito mortale.

Sono notizie che scivolano via senza commento né spunto di riflessione sulle pagine e sugli schermi della grande comunicazione di massa.

Si tratta dell’indicazione di un’indifferenza, di una sottovalutazione, di un’imperdonabile neghittosità collettiva e soprattutto si evidenzia il segno dei livelli d’intensificazione dello sfruttamento che connotano pesantemente lo scenario di questi anni terribili.

Di seguito il numero di incidenti mortali sul lavoro registrati nei primi tre mesi di quest’anno. Si noti come il maggior numero d’incidenti si registri nelle Regioni di maggiore sviluppo, a dimostrazione di quell’accenno all’intensificazione dello sfruttamento di cui sopra e anche, con ogni probabilità, per via del conseguente utilizzo di mano d’opera meno qualificata e posta in condizioni di costante pericolo per ragioni legate al mero profitto.

Una tragica statistica da mantenere come monito di un’intollerabile situazione verso la quale non assistiamo alla giusta reazione prima di tutto da parte dei sindacati confederali, in secondo luogo dalle forze politiche, dal sistema informativo e dall’opinione pubblica in generale, in particolare da quella parte che si ritiene “democratica”.

Per i dati vedi Lavoro che uccide: Poletti, Inail e il vuoto intorno

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