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09/03/2018

L’immaginario porno-punitivo nell’epoca dello schizocapitalismo

Spot pubblicitari che solleticano e sollecitano l’immaginario maschile in un’unica direzione: quella della donna come corpo sessualizzato. Pubblicità di stilisti che, implicitamente, non solo istigano allo stupro ma rimandano anche il messaggio che, a lei, alla donna, tutto sommato, lo stupro piace. Inquadrature televisive, sempre più indirizzate a sbirciare sotto le mini, quasi in angolature ginecologiche. Comportamenti e battutacce di uomini, spesso potenti, che mortificano la dignità di un soggetto politico, reo solo di non appartenere all’elite dei detentori del fallo. Giornalisti che, definire sessisti, è far loro un complimento. E si potrebbe continuare. Un corpo, insomma, quello femminile, commercializzato e mercificato ad uso e consumo del maschio desiderio e un’intelligenza alla mercé del maschile svilimento. Con, in sovrapprezzo, la beffa dell’insulto sessista e moralista: in fondo, poi, se mostrano tanta spudoratezza, un po’ mignotte lo sono per davvero!

La cosiddetta e tanto sbandierata liberazione del corpo della donna, si è, in sostanza, nel corso di questi ultimi trent’anni, trasformata in un boomerang, che ne ha travolto l’immagine, cristallizzandola in una sorta di oggetto pansessuale, il cui unico scopo è deliziare lo sguardo maschile che, una volta accesosi di voluttà, ritiene di poter passare all’atto, trasformando l’oggetto della contemplazione in preda da sottomettere e di cui godere. Spesso, anche senza l’altrui consenso.

E i social non hanno certo migliorato la situazione. Anzi. Non di rado, su queste moderne piazze della virtualità, frasi e immagini di contenuto sessista vengono utilizzate – anche dalle stesse donne – ergendosi come Totem celebrativi di un rinnovato maschilismo, rinato dalle sue stesse ceneri infuocate, sparse sulle contemporanee società occidentali dal vento della nuova reazione capitalistica. Un capitalismo talmente eccessivo e violento, nelle sue diversicabili posture di dominio, da trasformare finanche il sesso – e, di conseguenza il corpo femminile – in un imperativo consumistico, regolato da un obbligo di plus godimento.

Proprio sui social, con una certa frequenza, ci si trova a fare i conti con questa nuova forma di maschilismo provocatorio, volgare, finto libertario, a tratti vessatorio e umiliante. Postare immagini, video o commenti, di contenuto sessuale o sessista – che poi, su una piattaforma come facebook , in considerazione della sua particolarissima valenza semiotica e simbolica, assumono praticamente la stessa connotazione semantica – finisce col dar luogo ad atteggiamenti avvilenti e sordidi che, lungi dall’essere divertenti, travalicano, non di rado, i limiti del buon gusto, sfociando nell’offesa della dignità della donna, principalmente – ma anche dell’uomo, nel momento stesso in cui sono i maschi ad essere considerati alla stregua di un mero pezzo di carne – quando non, addirittura, nella violenza.

È facile constatare come simili contenuti approdino nell’insulto o nell’atteggiamento sessista, sui social come altrove. Atteggiamenti che, anche personalmente, considero indecorosi, in quanto non rientranti nella mia formazione culturale e filosofica. Atteggiamenti che, d’altronde, altro non evidenziano che il marcatore genetico di una cultura tutta coniugata al maschile e che spinge, non certo accidentalmente, i signori uomini ad oltrepassare gli argini, confondendo avance, scherzo di cattivo gusto e molestia. Tutti abbiamo commesso errori e leggerezze, figurarsi, ma sarebbe buona norma lasciarsi guidare da un principio ispiratore fondamentale: la mia libertà finisce dove comincia quella dell’altro. E la donna, per parafrasare Simon de Beauvoir o Carla Lonzi , è il nostro Altro. D’altronde, è inutile prendersi in giro con cavillosi e sofistici ragionamenti auto assolutori o peggio giustificatori: sanno bene, i “colleghi” maschi, come e quando un comportamento può diventare volgare, fastidioso, molesto o, ancor peggio, violento; e quando, invece, ci si limita al provarci. Uno sguardo, una tenerezza, il più delle volte bastano e avanzano, per capirsi. E seppure si è frainteso, il no ferma. È la regola o dovrebbe esserla. Anche nella coppia consolidata. Invece, troppo spesso un no si trasforma in ferita narcisistica. La reciprocità, il reciproco stare come soggettività, l’uno accanto all’altro, nel rispetto dell’altrui diversità, mi sembra, per dirla ancora con la Lonzi, l’essenza di un rapporto di coppia. Difficile, certo, ma non impossibile.

Immagini e video a sfondo sessista, si diceva, dunque, non li ho mai molto apprezzati, come gioco di complicità tra maschi, ritenendoli divertimento da caserma e sempre un tantino fascista. Non giudico nessuno, sia ben chiaro, sul campo della fantasia sessuale, e ciascuno, nella sua intimità, fa ciò che vuole, sempre nello scambievole rispetto dei desideri altrui. Si tratta semplicemente di un mio personalissimo pensiero. Un pensiero innanzitutto Politico.

In un periodo di grandissima confusione all’interno della sfera dei rapporti e del conflitto di genere, e nel guado di un passaggio storico tristemente reazionario – che vede la cultura fallocratica, patriarcale e capitalistica, tornare a soggiogare, in un fittizio e ambiguo richiamo alla Libertà, il corpo della donna al puro desiderio maschile, spesso manifestato, come accennavo sopra, con aggressività e violenza – credo che vada, ancor più di prima, chiarito che la liberazione della donna non debba essere tradotta, come molti uomini pensano, in un trastullo per gli occhi, le mani e il membro maschile. Un pensiero, ad esseri sinceri, che attraversa la mente, ahimè, anche di molte donne, influenzate da un femminismo borghese e di matrice, essenzialmente, liberal-liberista. Quello stesso femminismo capace di scorgere, nella sola, illusoria, tutela giuridica, da parte di uno Stato che si regge sulla natura e la concezione esclusivamente maschile di comando – oltre che classista – lo strumento di difesa e di affermazione di una libertà che, in tal modo, si trasforma, invece, in un surrogato di libertà, elargita, per concessione regale, dal maschio dominante. Si capisce quindi, con queste premesse, che solo la Lotta su un terreno di classe può essere propedeutica ad una effettiva e piena liberazione della donna.

Libertà, infatti, vuol dire libertà di scelta. Libertà scevra da condizionamenti culturali, mode sociali – vedi Facebook, appunto – e ricatti esistenziali. Libertà dalla schiavitù del bisogno. Libertà dalla variabile economica. Libertà, insomma, dal Potere, la cui sovrastruttura ideologica risulta impregnata di testosterone anche quando viene esercitato – molto più di rado, tuttavia – da donne. Donne che, in larga parte, hanno mutuato una weltanschauung tutta inscritta nell’immaginario patriarcale e padronale tipico del maschio. Un immaginario di dominio che tende a ridurre l’altro a puro oggetto di piacere o a soggettività subordinata. Libera, pertanto, non vuol dire, a maggior ragione, libera di essere molestata o di elargire sesso, tuo malgrado, altrimenti ti becchi pure l’accusa di bacchettona.

In conclusione, ci troviamo, ormai – nelle società Occidentali e occidentalizzate, in epoca di schizocapitalismo finanziario e globalizzato – al cospetto di un immaginario porno-punitivo, sospeso sul baratro della perversione realizzata. Un immaginario che si regge su una catena significante e semantica, concettuale e desiderante, all’ombra della quale si ri/velano le pulsioni (desideri?) più oscure di un’umanità ridotta a merce e a puro coefficiente consumistico.

Il sesso, lungi dall’essere finalmente liberato dagli opprimenti lacciuoli della morale religiosa e borghese, dietro le quinte di quello Spettacolo che è, oramai, il Capitale divenuto visione – e visione social – si è via via trasformato in un paradossale e mortifero dogma super egoico, porno/liberal ed economico/punitivo, di tipo solipsistico e masturbatorio – incastrato tra frantumazioni dell’Io e sbandamenti dell’inconscio – il cui algoritmo rivelatore, come sempre, è il corpo femminile. Sovraesposto, oggettualizzato e, infine, stuprato dal godimento maschile.

Insomma, in poche parole, siamo al paradigma declinato, in ogni sua voce, specie femminile, della mercificazione del sesso e della reificazione dell’essere umano. Con l’aggravante aggiunta di classismo e razzismo: l’esotico, soprattutto se sotto specie di immigrato e se povero, è preda sempre più desiderabile e facilmente soggiogabile, quando non stuprabile!

Una mercificazione che, in qualunque forma si verifichi, finisce con l'inquietare e, dunque, andrebbe respinta con fermezza. Soprattutto se prodotta su una piazza virtuale, la cui violenza potenziale è incalcolabile e con conseguenze imprevedibili.

Scrive la compagna ed amica, la scrittrice Barbara Balzerani: «Una volta ho chiesto a una donna che stava in carcere per aver ammazzato il marito a roncolate perché non lo avesse lasciato. Lei mi ha risposto che non aveva voluto morire... Lei sapeva che le tutele sono una trappola!». Ecco, le donne non hanno bisogno di tutele. Le donne hanno diritto alla Libertà. La Libertà dall ‘immaginario e dal simbolico maschile. La Libertà dallo sfruttamento del Capitale. La Libertà del reale. Mi sembra il modo migliore per chiudere il pezzo. Il modo migliore per dire Donna!

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