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22/03/2018

La retorica vittimaria, la storia e quei conti mai fatti con il fascismo

Vorrei tanto capire quali sono i termini della discussione scatenatasi attorno ad una frase di Barbara Balzerani che io avevo trovato persino ovvia: la storia non può essere un’esclusiva delle vittime di qualsiasi parte. Ecco, intorno a quella frase del tutto condivisibile peraltro pronunciata nel corso della presentazione di un libro da parte dell’autrice, è successo un finimondo che avrebbe dell’incomprensibile se poi non mi ricordassi che siamo in Italia, cioè, un paese che insieme alla Spagna, negli ultimi tempi, sta facendo di tutto per assomigliare sempre di più alla Turchia di Erdogan.

Prima domanda: ma in Italia vige ancora lo Stato di Diritto oppure è tornata la la Santa Inquisizione? Per intendersi, ognuno di noi può commettere un qualsiasi reato e, se riconosciuto colpevole, viene condannato ad una pena. Finita la pena ritorna ad essere un cittadino libero in quanto ha pagato il prezzo dei suoi errori... o deve continuare a pagare con la morte civile anche fuori dal carcere?

Seconda domanda: si può ragionare pubblicamente su ciò che avvenne negli anni '70 o si rischia una scomunica ed un’eventuale lapidazione da parte dei parenti delle vittime?

Negli anni '70, in Italia, ci fu un conflitto sociale da cui scaturì una guerra civile che durò un decennio e che causò centinaia di morti. In quel contesto, le Brigate Rosse non furono che una delle tante formazioni politiche che scelsero la lotta armata. Un fenomeno che coinvolse migliaia di persone. E’ mai possibile che a distanza di 40 anni non si riesca a riconoscere questa evidenza storica e non si riesca ancora a parlare liberamente di quelle vicende senza venire ancora accusati di essere “fiancheggiatori del terrorismo” come se fossimo ancora prigionieri di quello stato di emergenza e di quel tempo così lontano? La risposta, per quanto appaia assurda, è: si, pare proprio sia impossibile e dopo quarant’anni di oblio siamo ancora a questo punto.

E’ come se nel 1985 in Italia fosse stato ancora impossibile parlare di ciò che avvenne nel 1945. Eppure Alcide De Gasperi insieme al ministro della Giustizia, Palmiro Togliatti, il 22 giugno 1946, firmò l’amnistia per i detenuti politici (leggi fascisti) e ciò mentre altri paesi europei, Germania in testa, scelsero di fare i conti con la propria storia. Un decreto emanato in nome della “pacificazione nazionale” che ebbe un immediato effetto: spalancò le porte delle carceri dove fascisti e repubblichini erano stati rinchiusi al momento della Liberazione per i reati commessi: stragi, uccisioni, deportazioni e malefatte di ogni genere. Inoltre tutta l’alta, media e bassa burocrazia fascista (prefetture, ministeri etc. etc...) fu lasciata al proprio posto.

C’è, evidentemente, un nesso tra il non aver fatto i conti con il fascismo e questa incapacità non dico di avere una “memoria condivisa” sugli anni '70 (cosa a cui non ho mai creduto) ma almeno di poter discutere liberamente di vicende che appartengono alla storia. Una storia che da quarant’anni viene periodicamente usata per questioni contingenti da torme di ignoranti che si avvicendano, di volta in volta, nel ruolo di aspirante “classe dirigente” ma che non sanno nemmeno di cosa parlano giocando pericolosamente con questa odiosa e fuorviante retorica vittimaria nella totale e manifesta incapacità di fare una discussione seria su quelle vicende. E tuttavia, se davvero dovessimo fare la storia sulla base del dolore delle vittime tanto varrebbe mettere i parenti delle vittime (tutte, anche quelle delle stragi di stato e fasciste) direttamente senza concorso ad insegnare storia contemporanea nei nostri atenei ed alla testa di tutti i partiti politici.

Ecco perché non si può non affermare che la storia non può essere un’esclusiva delle vittime di qualsiasi parte. Se così non fosse, allora dovremmo ritenere giusto che siano solo i parenti delle vittime a fornirci un’interpretazione della storia mettendoli, ad esempio, al posto dei giudici nel processo penale ad accordare o negare il “perdono” ai suoi protagonisti. Tanto varrebbe, a quel punto, sostituire la Costituzione con la Bibbia ed applicare l’ “Occhio per occhio dente per dente”. Oppure passare direttamente al diritto islamico in cui vige la “qisas” secondo la quale la vittima decide la punizione uguale all’offesa subita per il suo aggressore o il “prezzo del sangue” con cui è possibile evitare il ricorso alla legge del taglione. Matteo Salvini ne sarebbe contentissimo.

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