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23/03/2018

Kurdistan - Il Newroz è per Afrin

di Chiara Cruciati il Manifesto

Sono saliti in cima alla montagna di Akre con il buio. Hanno acceso il grande fuoco del Newroz, le fiaccole hanno illuminato il capodanno curdo. Venticinquemila persone hanno partecipato la notte tra il 20 e il 21 marzo ai festeggiamenti nella comunità considerata la «capitale» del Newroz, nel Kurdistan iracheno.

A VALLE, OLTRE IL CONFINE tra Siria e Iraq disegnato cento anni fa dall’accordo segreto di Sykes-Picot, centinaia di migliaia di curdi trascorrevano la festa simbolo della liberazione dalla tirannia da sfollati, lontani dalle loro case di Afrin. Non è il primo Newroz che il Kurdistan trascorre immerso in una tragedia di popolo, nazionale.

La caduta del cantone curdo-siriano in mano alle truppe turche e all’Esercito libero siriano è stata al centro delle celebrazioni, degli slogan gridati a Diyarbakir, Cizre, Erbil, Kirkuk. Qui, a sei mesi dalla presa della città da parte del governo centrale di Baghdad, tantissime bandiere del Kurdistan hanno attraversato la cittadella, la qala, per la prima volta dalla sostituzione degli amministratori curdi, a ottobre.

A Suleymaniya, le autorità locali hanno indetto tre giorni di lutto in solidarietà con Afrin, nessuna festa pubblica. Ma per le strade il nome del cantone ha risuonato: «Viva la resistenza di Afrin», hanno gridato decine di manifestanti.

DOPOTUTTO È LO STESSO Kurdistan siriano a voler comunque festeggiare: a Qamishli decine di migliaia di persone hanno acceso il fuoco del Newroz incitando alla resistenza, cuore dell’immaginario della primavera curda, il capodanno, la rinascita.

Che affonda le radici nel 612 avanti Cristo e nella leggendaria figura del fabbro Kawa, tirannicida e liberatore del popolo dei medi, antenato di quello curdo. Tra i due fiumi, il Tigri e l’Eufrate, un castello dalle mura alte e cupe si staglia sui monti Zagros, residenza di Dehak, re degli assiri, oppressore, infanticida e devastatore delle ricchezze dei campi, della flora e della fauna.

UN DOLORE COLLETTIVO, condiviso dall’intero popolo e da Kawa che tra le mani di Dehak ha perso sedici figli, uccisi per soddisfare la fame del diabolico re. Fino alla ribellione: il fabbro, per salvare l’ultima figlia, con un trucco offre al tiranno il cervello di una pecora. Gli altri abitanti fanno lo stesso, mentre i ragazzi fuggono sulle montagne. Da uomini liberi si organizzano in un esercito. Marciano sul castello, alle loro fila si aggiungono migliaia di persone. In testa c’è Kawa: entra nel castello e con il suo martello uccide re Dehak.

Sale sulla vetta della montagna e annuncia alla Mesopotamia la libertà. E con la libertà torna la primavera: il sole, le aquile, i cavalli, i frutti della terra. È il 21 marzo, equinozio di primavera e nuovo anno.

Non è un caso che quella tradizione identitaria sia stata il primo target dell’invasione del cantone curdo-siriano: non appena entrati nel centro di Afrin, i miliziani dell’Els e i soldati turchi hanno sparato contro la statua di Kawa, l’hanno avvolta con le funi e l’hanno abbattuta con un trattore.

Un atto profondamente simbolico che va di pari passo con i bombardamenti che negli ultimi due mesi hanno preso di mira siti archeologici curdi nel nord della Siria e con i raid che, tra il 2015 e il 2016, hanno devastato il patrimonio archeologico curdo nel sud-est turco.

SUR, LA CITTÀ VECCHIA di Diyarbakir (considerata dal popolo curdo capitale politica e culturale), comunità con sette millenni di vita, ha subito più di altre il passaggio dell’esercito turco: 1.519 edifici del tutto distrutti, 500 parzialmente demoliti. Una perdita enorme che si riproduce: la cancellazione dell’identità curda oggi passa per una ricostruzione di Stato, gentrificazione politica più che economica che impedisce il ritorno di decine di migliaia di sfollati a Sur.

Anche qui ieri si è celebrato il Newroz, come ogni anno. E come ogni anno le autorità centrali hanno provato a soffocarlo: oltre 50 persone sono state arrestate mentre raggiungevano Diyarbakir, tra loro due giornalisti. Ankara ha dispiegato in tutto il sud-est migliaia di soldati e poliziotti e compiuto arresti di massa in previsione delle celebrazioni: oltre 100 persone sono state detenute con l’accusa di voler organizzare «manifestazioni pirata».

Ma le piazze si sono riempite comunque, a Van, Urfa, Cizre, Nusaybin, Mardin, Istanbul, Ankara. Ovunque a sventolare, aperta sfida al governo e al presidente Erdogan, erano bandiere del Kurdistan unito e a risuonare slogan di solidarietà con Afrin e il Pkk.

«IL NEWROZ è la resistenza contro l’oppressione – ha detto Ziya Pir, parlamentare Hdp – Il fuoco del Newroz è la ribellione contro quello che i nemici del popolo curdo hanno fatto ad Afrin». Nel 2018 come nel 612 prima di Gesù Cristo.

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