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22/02/2018

Caos nel Brasile. Perché hanno condannato Lula

Intervista di ADIATV con Achille Lollo

Negli ultimi tre mesi il governo golpista di Michel Temer ha reso sempre più evidente le sue incapacità istituzionali e, quindi, la sua debolezza politica, al punto di mercanteggiare la condanna nei confronti di Lula e di sfruttare l’immagine delle Forze Armate che pattugliano le strade di Rio de Janeiro e la frontiera con il Venezuela, per dire, agli emissari della Casa Bianca, che la situazione è sotto controllo. Per questo, ADIATV ha intervistato il giornalista Achille Lollo per capire cosa sta succedendo in Brasile e perché l’ex-presidente Inácio Lula da Silva è stato condannato a dodici anni, non potendo più essere il candidato del PT nelle elezioni di ottobre, nonostante avesse il 38% delle preferenze.

Per quali motivi il governo Temer ha richiesto allo Stato Maggiore delle Forze Armate una maggiore presenza dell’esercito negli stati di Roraima e di Rio Grande do Norte e dopo il Carnevale ha dichiarato lo “Stato di Emergenza” nello stato di Rio de Janeiro?

«In realtà si tratta di due situazioni differenti. Infatti, negli ultimi sei mesi sono arrivati nello stato di Roraima all’incirca 40.000 venezuelani. La maggior parte di questi sono stati attirati dal miraggio di andare a lavorare nelle nuove miniere artigianali di oro e diamanti, chiamate “garimpo”, tra i cui proprietari ci sono molti venezuelani. Questi, in mancanza di mano d’opera brasiliana, disposta a lavorare dodici ore al giorno a “prezzi di banana”, hanno cominciato a far venire i propri connazionali, con la falsa promessa di guadagnare autentiche fortune e di diventare soci. Un altro importante flusso di emigrazione è alimentato dai missionari statunitensi delle sette pentecostali, che sognano il riconoscimento, da parte dell’ONU, di uno stato indigeno indipendente per proteggere il “Popolo della Foresta”, vale a dire le tribù degli Yanomani, che vivono nel nord dello stato brasiliano di Roraima e nel sud dello stato venezuelano di Amazonas.

Dietro questo complesso scenario c’è la manipolazione dei media che utilizzano il fenomeno dell’emigrazione per attaccare il governo bolivariano di Nicolás Maduro dicendo che “...I venezuelani dello stato di Amazonas fuggono nel Brasile perché stanno morendo di fame...”.

Da rilevare che la militarizzazione brasiliana lungo il confine con il Venezuela è un altro favore che il governo brasiliano del golpista Michel Temer ha fatto alla Casa Bianca!

Lo “Stato di Emergenza” nello stato e soprattutto nella città di Rio de Janeiro è una misura elettorale per accontentare la classe media e l’alta borghesia impaurita dall’ondata di violenza che ha macchiato il Carnevale di Rio de Janeiro. Nello stesso tempo è anche una misura preventiva, con cui il governo vorrebbe intimidire le manifestazioni che si faranno a Rio de Janeiro contro a) la privatizzazione della Petrobrás, del Banco do Brasil, della Caixa Economica e dell’Eletrobrás; b) contro la riforma delle pensioni; c) e contro la detenzione di Lula, se il Tribunale Superiore Federale respingerà il ricorso della difesa, decretando la detenzione dell’ex-presidente.

È opportuno ricordare che, Rio de Janeiro, dai tempi della dittatura, è sempre stata la città brasiliana più politicizzata e, quindi, quella sempre pronta allo scontro. Quindi, con il mantenimento indeterminato dello stato di assedio nella città e nello stato di Rio de Janeiro, il governo Temer spera di poter controllare la situazione fino al mese di ottobre, quando si realizzeranno le elezioni».

Parliamo adesso della situazione di Lula, dopo che la Corte di Appello di Curitiba ha aumentato la condanna da nove a dodici anni di prigione. Infatti nei prossimi giorni, in Brasilia, il Tribunale Federale Superiore dovrà giudicare l’ultimo ricorso della difesa. Pensi che nel TSF gli avvocati di Lula potranno ribaltare la sentenza costruita da Moro e quindi permettere a Lula di partecipare nelle prossime elezioni?

«Purtroppo Lula ha pochissime possibilità di uscire vittorioso nel Tribunale Superiore Federale. Innanzitutto, perché il giudice del Tribunal Superiore di Giustizia (TSJ) ha risposto negativamente a un altro ricorso della difesa, ponendo l’accento sul fatto che se il plenario del Tribunale Supremo Federale confermerà la condanna, Lula sarà immediatamente arrestato e detenuto in regime di semilibertà. D’altra parte nel processo di appello tutti e tre i giudici votarono a favore della condanna. Il terzo giudice, addirittura non ha nemmeno motivato la sua decisione per la condanna, ma ha semplicemente scritto “confermo”. Questo elemento pregiudicherà abbastanza il ricorso dei difensori di Lula nel TSF.

In pratica, i dieci giudici del TSF potranno:

a) annullare le due sentenze per “difetti procedurali”. In questo caso il TSF riconoscerebbe che il giudice Sergio Moro e la Polizia Federale avrebbero commesso gravi errori nell’istruzione del processo. Di conseguenza il TSF richiederebbe al TSJ di indicare una nuova corte per rifare il processo. In questo modo Lula potrebbe partecipare alle elezioni di ottobre.

b) Il TSF – solo se tutti i dieci giudici saranno d’accordo – potrà dichiarare Lula innocente per insufficienza di prove o per non aver commesso il fatto, o per essere estraneo ai fatti.

c) Può confermare la sentenza di condanna emessa dalla Corte di Appello e ordinare l’immediata detenzione che, in funzione dell’età di Lula (72 anni), potrà essere trasformata in arresti domiciliari.

Però, conoscendo le posizioni conservatrici dei dieci giudici del TSF è molto difficile che questi intercedano in favore di Lula. Anche perché i giudici che dovranno sentenziare Lula sono gli stessi che permisero la realizzazione del falso Impeachment contro il presidente Dilma Roussef, nel 2015!

In realtà la condanna di Lula è una sentenza tipicamente politica. È l’ultimo tassello che mancava alle eccellenze della Casa Bianca per avviare il nuovo ciclo geopolitico e geostrategico dell’imperialismo in Brasile e quindi in America Latina. Basti pensare che il 7 febbraio Lula sarebbe dovuto andare in Etiopia, per presiedere un seminario organizzato dalla FAO. Ebbene il giudice istruttore di Brasilia ha subito richiesto il ritiro del passaporto di Lula, proibendogli di allontanarsi dal Brasile!».

Ma per quali motivi la Casa Bianca vorrebbe la detenzione di Lula?

«Vorrei chiarire che non si tratta di una rivalsa personale voluta da Bush, da Obama o da Trump. In realtà gli USA vogliono annullare il simbolismo politico che Lula, il PT e la CUT hanno rappresentato per venti anni nella congiuntura politica brasiliana. Infatti, fu in funzione di questo simbolismo che Lula, nel primo mandato presidenziale (2003/2007), sottoscrisse tutte le decisioni del governo che sconvolsero l’architettura geostrategica che l’imperialismo statunitense pretende d'imporre in America Latina.

Mi riferisco, innanzitutto: 1) al fallimento del “Progetto Brasile”; 2) al tracollo dell’ALCA, ricordando che quando Lula comunicò l’abbandono del Brasile dalla presidenza della Commissione Preparatoria, immediatamente Argentina, Uruguay, Bolivia, Ecuador, Paraguay e Venezuela dichiararono la propria incompatibilità economica con la proposta statunitense; 3) in seguito Lula dinamizzò il Mercosur, che divenne l’antagonista dell’ALCA, per poi il 28 maggio 2008 dar vita all’UNASUR, che unì il Mercosur e il CAN (Comunità Andina), diventando il primo organismo politico permanente di una futura unione continentale; 4) appena eletto Lula autorizzò la Petrobrás a inviare in Venezuela diverse navi petroliere cariche di benzina e di diesel. Quest’aiuto contribuì all’insuccesso del “Paro Petrolero”, che avrebbe dovuto innescare il secondo colpo di stato contro il presidente Hugo Chávez; 5) ci fu poi l’autorizzazione di Lula affinché la Petrobrás realizzasse a Cuba degli studi geologici con cui definire l’ampiezza delle falde degli scisti petroliferi, violando in questo modo il Blocco Economico imposto dagli Stati Uniti; 6) nell’accordo con gli USA sui biocombustibili (etanolo) Lula rigettò la proposta di Bush di utilizzare i semi transgenici delle multinazionali statunitensi (Monsanto) per le colture di granturco e di canna da zucchero, destinate alla produzione dei biocombustibili; 7) a livello di OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio) Lula rafforzò la posizione del Brasile, denunciando gli eccessi del protezionismo degli Stati Uniti per quanto riguarda il cotone, la carne bovina, il succo d’arancia e i sussidi federali all’agricoltura statunitense; 8) Nel 2009 Lula definì con i presidenti Medvedev, Hu Jintao e Singh, la creazione dei BRICS, per contrapporsi alle pratiche estorsive del FMI e della Banca Mondiale; 9) Infine, nel 2011, nel Forum di Davos, dopo aver suggerito la formazione di un fondo internazionale per combattere la fame e la povertà, Lula criticò duramente la globalizzazione affermando “...È assolutamente necessario costruire un ordine economico mondiale che attenda i bisogni di miliardi di persone che, oggi, vivono ai margini del cosiddetto benessere...”.

Per ultimo, non possiamo dimenticare gli scontri con la Casa Bianca sulle questioni militari, vale a dire: a) il contratto con l’Ucraina di Poroschenko (all’epoca alleata della Russia di Putin) per l’uso della base aereo-spaziale di Alcantara, b) l’acquisto di trentasei cacciabombardieri “Gripen” della svedese Saab, al posto degli F-18 della Boeing statunitense; c) la decisione dell’ex primo ministro José Dirceu di riattivare il progetto della Marina brasiliana per la costruzione del sottomarino nucleare.»

Potresti spiegare in cosa consisteva il “Progetto Brasile”?

«Nel 1991, dopo lo smembramento dell’URSS e la fine del PCUS, le eccellenze della Casa Bianca e soprattutto quelle di Wall Street capirono che i progetti per disarticolare la Cina in termini ideologici e a livello di geo-strategia erano in sostanza falliti per quattro motivi: 1) il Partito Comunista Cinese continuava a controllare il paese e le Forze Armate; 2) tutti i tentativi per smembrare la Cina con rivendicazioni etniche, linguistiche e religiose si erano spenti sul nascere; 3) nonostante il massiccio trasferimento di modelli di produzione capitalista nelle provincie con statuto speciale, l’esplosione del consumismo e la creazione di una borghesia industriale, gli USA non avevano nessuna influenza sulle decisioni politiche ed economiche del governo cinese; 4), il rapido adattamento dell’economia cinese alle regole del mercato, indicava che in quindici anni la Cina sarebbe diventata il principale concorrente commerciale degli Stati Uniti.

Per questi motivi, le eccellenze della Casa Bianca e di Wall Street scelsero il Brasile – che è una nazione di ambito continentale –, per implementare un mega-progetto con cui trasformare il disordinato processo di sviluppo dell’economia brasiliana post-dittatura in una moderna economia liberista, capace di sostituire con la sua produzione gran parte delle esportazioni cinesi. Di conseguenza, nel 1995, la Casa Bianca si affidò alla TV Globo per eleggere come presidente Fernando Henrique Cardozo, per poi con lui avviare la ristrutturazione del sistema economico brasiliano, realizzando un ampio programma di riforme liberiste e di privatizzazioni. Però, in otto anni di governo, Fernando Henrique, a causa della reazione dei sindacati e del movimento popolare, non riuscì a privatizzare quello che più interessava alla Casa Bianca e ai brokers di Wall Street, vale a dire le grandi banche statali (Banco do Brasile e Caixa Economica e le banche dei 24 stati), come pure le imprese pubbliche del settore petrolifero, petrochimico ed elettrico. Gli scioperi, le occupazione di terre e un clima di dure lotte rivendicative nelle periferie delle grandi città terrorizzò molti impresari della FIESP, che all’epoca dicevano “...il fallimento del programma politico di Fernando Henrique oltre alla crisi economica ha creato una difficile situazione di tipo pré-insurrezionale...”.

Quindi, nel 2002, la borghesia industriale di São Paulo, Rio de Janeiro, Porto Alegre, Salvador, Recife e di Belo Orizonte, pur di avere un minimo di pace sociale, appoggiò l’elezione di Lula e la formazione di un governo di centro sinistra, diretto dal PT. In questo modo Lula sconfisse il candidato della Casa Bianca, José Serra, interrompendo tutte le privatizzazioni previste da Fernando Henrique nell’ambito del “Progetto Brasile”. Una volta eletto, Lula sanzionò il cosiddetto “Programa Desenvolvimentista” (Programma per lo Sviluppo) che favoriva unicamente le industrie brasiliane e non le succursali delle multinazionali».

Ma perché la borghesia industriale, soprattutto quella dello stato di São Paulo che ha ricevuto enormi benefici dal governo del PT, non ha difeso Lula, permettendo che il suo governo fosse demonizzato dai media e dai giudici?

«Innanzitutto perché con la seconda vittoria di Lula nelle elezioni presidenziali del 2007, l’evoluzione della congiuntura politica del Brasile è stata influenzata da tre elementi. Il primo è di ambito culturale che presenta due fattori che hanno sempre contraddistinto l’evoluzione della società brasiliana, vale a dire a) la paura da parte di tutti i settori della borghesia, della classe media e dei latifondisti di dover convivere con un proletariato e una classe operaia rappresentata nel governo; b) il sentimento razzista da parte di tutte le componenti della borghesia nei confronti dei poveri, etnicamente composti, al 95%, da afro-discendenti, meticci e indigeni.

Il secondo elemento riguarda la pratica della corruzione nel sistema parlamentare brasiliano. In effetti, nonostante il Ministro della “Casa Civil” (primo ministro) José Dirceu avesse negoziato la formazione di un governo di coalizione, in seguito scoprì che la metà dei parlamentari alleati avrebbero votato le riforme proposte dal governo solo se pagati. Quindi per evitare di fare “leggi-burla”, per pagare il ricatto dei parlamentari alleati, Dirceu e i dirigenti storici del PT attivarono un sistema di pagamento mensile chiamato “Mensalão”, utilizzando i fondi per la pubblicità di alcune imprese statali. Però, nel 2005, il segretario nazionale del PTB, Roberto Jefferson – alleato del governo – vendette alla TV Globo l’esclusiva delle sue rivelazioni sul funzionamento del “Mensalão”. Da quel momento cominciò l’attacco dei giudici e dei media che culminò con la condanna di tutti principali dirigenti della direzione del PT e poi con quella di Lula.

Il terzo elemento riguarda il conflitto all’interno della borghesia, con l’affermazione di quei settori legati alle multinazionali e agli Stati Uniti, che volevano promuovere il cosiddetto “Cambiamento Liberista”. Di conseguenza, quando il “Desenvolvimentismo Lulista”, alla fine del primo governo di Dilma Roussef, registrò le prime contraddizioni, con la ripresa degli scioperi, le manifestazioni popolari contro gli sprechi, le occupazioni delle terre incolte, l’aumento dell’inflazione e l’avvicinarsi della crisi finanziaria, tutti i settori delle borghesia e della classe media considerarono conclusa la fase di convivenza politica con il governo del PT e quindi con il successore di Lula, Dilma Roussef. Per questo la “razza padrona” accettò a occhi chiusi le inchieste dei giudici contro Lula e contro il PT».

Se il PT ha vinto quattro elezioni presidenziali, per quali motivi ha dovuto allearsi con partiti come il PMDB e il PTB, che poi l’hanno tradito?

«Nella seconda elezione, Lula fu eletto con il 72% dei suffragi, mentre i parlamentari del PT ricevettero solo il 31% dei voti. Per questo motivo il PT fu obbligato a creare una maggioranza con alcuni partiti che non avevano nessun legame ideologico con il PT. Però avevano dei poderosi apparato elettorali che negli stati, comprando i voti dei poveri, eleggevano deputati e senatori a iosa. Purtroppo il PT non è mai riuscito a correggere questo vizio storico dell’elettorato povero. Anche perché le sette evangeliche e il narcotraffico si rivelarono il grande nemico del PT nelle favelas.

Infatti, vorrei ricordare che le chiese evangeliche e quelle pentecostali – tutte di origine statunitense – sono proprietarie di centinaia di radio AM e FM e della rete di televisione “RecordTV”, che, hanno sempre utilizzato la mistica del culto religioso per “convincere in nome di Dio” a votare i candidati dei partiti legati alle differenti chiese evangeliche. Lo stesso problema si è ripetuto in Ecuador, in Venezuela, in Argentina e in Cile.

Dal 1998, i gruppi del narcotraffico sono diventati i padroni delle “favelas” delle grandi metropoli brasiliane, esercitando un grande fascino nei giovani dei quartieri poveri. Per questo motivo i “Narcos”, si sono rivelati anche una perfetta macchina di propaganda elettorale, negoziando il voto degli abitanti delle “favelas con quei candidati a deputato o senatore che promettevano un “impegno minimo” da parte della polizia. Per questi motivi il PT ha sempre perso una parte importante di voti popolari che, invece, sono andati ai candidati dei partiti moderati o a quelli di destra».

Perché Lula ha radicalizzato il suo discorso nonostante i suoi 72 anni?

“L’ex-presidente Lula non è mai stato né comunista, né socialista, ma ha sempre avuto una posizione di socialdemocratico di sinistra alla Willy Brandt. Cioè amico di Cuba, di Hugo Chávez, di Evo Morales, dei movimenti popolari e difensore della sovranità nazionale.

Lula è sempre stato fautore della pace sociale e dell’interclassismo, contrario alla rottura politica ed economica con il capitalismo. Tanto è vero che non ha mai realizzato la Riforma Agraria e tantomeno quella della stampa!

Diciamo che Lula ha cominciato a cambiare il tono politico dei suoi discorsi, dopo la condanna in primo grado a nove anni di detenzione in regime di semi libertà. Solo allora Lula si è finalmente convinto del ruolo e del comportamento della borghesia. La radicalizzazione del suo discorso è anche una conseguenza della delusione che Lula ha provato quando si è sentito abbandonato da quella che lui definiva: “...la borghesia nazionale che produce...”».

Che cosa succederà nel movimento popolare se Lula non sarà il candidato del PT nelle elezioni di ottobre?

«Ci sarà una grande astensione, associata a una grande confusione politica, poiché, senza Lula, qualsiasi partito di sinistra o di centro-sinistra vorrà presentare il suo candidato.

Ma anche nella destra c’è confusione, poiché senza la candidatura di Lula non ha più senso avere come candidato Jair Bolsonaro, che è un ex-militare fascistoide, storicamente conosciuto per essere lo storico “Anti-Lula”. Inoltre, senza Lula, riprenderà la lotta tra il PMDB dell’attuale presidente golpista, Michel Temer e il PSDB di Fernando Henrique Cardoso.

Bisogna riconoscere che anche nei partiti di sinistra è di centro-sinistra è iniziato il carosello dei candidati e nessuno di questi è un personaggio nazionale. Per esempio, nel PSOL ci sono due candidati, Guilherme Boulos, che è il leader del MTST (Movimento dei Lavoratori Senza Casa) e anche il fondatore del “Fronte Sem Medo” (Fronte Senza Paura), uno dei più accaniti accusatori dell’attuale presidente Temer. L’altro candidato è l’intellettuale “Plininho”, figlio di Plinio Arruda Sampaio, (uno dei fondatori del PT e poi del PSOL), che però è sconosciuto alle masse proletarie. Da parte sua il PDT, il partito laburista brasiliano, presenterà Ciro Gomez che potrebbe essere la sorpresa del secondo turno.

Comunque è evidente che dopo le elezioni di ottobre i partiti della sinistra brasiliana dovranno rivedere molte cose. Primo fra tutti il problema del dialogo con le masse proletarie. Infatti, quando si è trattato di bloccare la votazione a Brasilia per la riforma delle pensioni sono scesi in piazza milioni e milioni di brasiliani. Mentre quando fu indetta la mobilizzazione contro l’Impeachment del presidente Dilma Russeff, solo i militanti e i sindacalisti scesero in piazza!»

Senza Lula, senza Dirceu, senza Genoino e tanti altri lider storici del gruppo di Lula, cosa succederà nel PT?

«Il problema è che il Direttorio Nazionale del PT non ha mai pensato a un piano B. Il presidente del partito, Gleisi Hofmann continua a dire che il candidato del PT è Lula. Purtroppo, anche se Lula ha radicalizzato il suo discorso, il partito non è in condizioni di fare lo stesso. Infatti, quando il PT è diventato partito di governo, il lulismo ha spurgato il partito, alimentando la scissione della sinistra che poi creò il PSOL. Per questo il PT lulista ha perso molta credibilità nel movimento popolare e negli intellettuali, soprattutto con il disastroso secondo governo di Dilma Russeff.

Probabilmente continuerà a perdere credibilità, a meno che, come l’ex-ministro Tarso Genro ha più volte ribadito “...non si realizzerà una rivoluzione all’interno del PT e soprattutto nella sua direzione politica...”. Purtroppo, l’attuale presidente del partito Gleisi Hoffmann è estremamente moderata e non ha il contatto con le masse, poiché è un quadro dell’apparato burocratico del partito. Il senatore, Lindberg Faria, di Rio de Janeiro, potrebbe dinamizzare la rinascita politica e ideologica del PT. Questa sarebbe la migliore soluzione. Ma è anche la più difficile, perché significa che il PT dovrebbe ritornare a essere un partito di militanti, correggendo tutte le deformazioni create e imposte dai “professionisti della politica” durante i quindici anni di governo federale».

* Achille Lollo è stato direttore del giornale brasiliano “Nação Brasil”, e delle riviste “Conjuntura Internacional” e “Crítica Social”. In Italia era corrispondente del giornale “Brasil de Fato” e poi di “Correio da Cidadania”.

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