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14/02/2018

Grandi affari per l’industria militare USA

La Russia ha in programma la creazione su larga scala di una riserva militare attiva, composta da militari a riposo che concluderanno un contratto col Ministero della difesa.

Secondo le Izvestija, tali riservisti saranno tenuti a condurre esercitazioni e addestramenti mensili e, almeno una volta l’anno, parteciperanno ad adunate militari.

Le Izvestija osservano che il piano mira a rafforzare le capacità difensive russe e, nell’eventualità di “particolari necessità”, i riservisti andranno a completare le unità attive.

Insieme al rafforzamento delle unità antimissilistiche in prossimità dei confini occidentali e nordoccidentali, dove più concreta e plateale è la dislocazione dei nuovi sistemi militari di intervento della NATO, sembra esser questa la faccia visibile della risposta di Mosca ai nuovi piani USA.

Il Pentagono ha infatti reso nota la “lista della spesa” per l’anno finanziario 2019, che inizierà il 1 ottobre 2018: 686 miliardi di dollari per nuovi mezzi offensivi – 80 mld in più dell’anno precedente; non a caso, il bilancio militare USA è oggi oltre 1/3 dell’intero bilancio militare mondiale. Secondo il portale defensenews.com, a partire dal prossimo autunno il Ministero delle difesa USA, oltre alla “normale” disponibilità in munizionamento per “la lotta al terrorismo in Medio Oriente”, acquisterà nuovi mezzi, in sostituzione di quelli “andati fuori uso nelle operazioni in Irak e Siria”.

E così, Washington spenderà, tra l’altro, oltre 10 mld di $ per 77 nuovi F-35; 2 mld per 24 caccia F/A-18 “Super Hornet”; 3 mld per 12 aerei-cisterna Boeing KC-46 “Pegasus”; insieme ad altre decine di miliardi di dollari per 43.594 sistemi di bombe guidate JDAM (Joint Direct Attack Munition), 5.113 veicoli blindati JLTV (Joint Light Tactical Vehicle), 2 sommergibili classe “Virginia”, 3 cacciatorpediniere classe “Arleigh Burke”, 60 elicotteri d’attacco AH-64E “Apache”, 10 velivoli antisom P-8 “Poseidon”, 8 elicotteri CH-53K “King Stallion”; oltre a 2,7 mld per la modernizzazione del carro M-1 “Abrams” e 2,3 miliardi per lo sviluppo del nuovo bombardiere strategico pesante B-21 “Raider”, in grado di penetrare in profondità in territorio nemico.

A proposito di quest’ultimo, il sito pravda.ru scrive, su fonte Popular Mechanics, che il Pentagono avrebbe intenzione di acquistarne almeno un centinaio e, per liberare fondi allo scopo, avrebbe “messo in stand-by” i bombardieri strategici B-2 “Spirit” e Rockwell B-1 “Lancer”.

Nel dicembre scorso, il blog The Aviationist aveva informato di una insolita attività nell’area della “Zona 51”, in Nevada, che potrebbe testimoniare della sperimentazione del B-21.

La fretta yankee di mettere a punto il nuovo velivolo sarebbe data dal fatto che il caccia russo di quinta generazione T-50, pressoché invisibile ai radar, a detta degli esperti internazionali, supera di molto i caccia USA F-22 “Raptor” e F-35.

Di fronte a tali cifre, può sembrare una “sciocchezza” la somma (1,3 miliardi di $) stanziata per gli armamenti che Washington pianifica di inviare in Europa il prossimo anno, nel quadro della cosiddetta “Iniziativa europea di contenimento” (European Reassurance Initiative), tesa a “resistere alla forza e all’aggressione russa nella regione”, oltre ai 250 milioni di $ a sostegno della “integrità territoriale ucraina”. In quei 1,3 miliardi sono compresi 40 carri “Abrams”, 61 missili PAC (Patriot Advanced Capability-3) MSE, 66 trasporti blindati, 61 trasporti truppe M2 “Bradley” e un numero imprecisato di sistemi lanciarazzi M142 “HIMARS” (High Mobility Artillery Rocket System).

In generale, la somma totale che il pentagono programma di dedicare alla “Iniziativa di contenimento” crescerà nel 2019 di 1,7 miliardi rispetto al 2018, salendo dagli attuali 4,8 (in precedenza erano 3,4) a 6,5 miliardi di dollari.

Washington non ha specificato quali paesi europei dovrebbero esser destinatari di tale “omaggio” yankee.

Di fatto, a Mosca si denuncia che “il Pentagono sta costantemente aumentando la propria attività in Europa orientale, nei Paesi baltici, Medio Oriente, nella regione Asia-Pacifico”.

Unità da guerra della marina USA sempre più spesso incrociano nei bacini adiacenti le acque territoriali russe e si intensificano i voli di aerei spia alle sue frontiere: anche ieri, un Boeing RC-135W, di stanza alla base aerea britannica di Mildenhall, è stato intercettato dai radar intorno alla regione di Kaliningrad e, dall’inizio dell’anno, sarebbero stati individuati almeno 14 voli spia in prossimità delle frontiere occidentali russe.

Le esercitazioni militari in Europa centrale e orientale, anche con bombardieri strategici USA, si susseguono praticamente senza interruzione.

Brigate corazzate USA sono di stanza in vari paesi esteuropei; in totale, tra personale delle forze aeree, di terra e navali, stazionano in Europa 65.000 militari USA; 60.000 sono presenti in Giappone e 30.000 in Corea del Sud. In Medio Oriente, militari USA sono dislocati in Irak, Afghanistan, Arabia Saudita, Turchia, Emirati, Qatar e ora in alcune aree siriane, contro la volontà del governo legittimo.

I sistemi “Aegis” sono già approntati in Romania e se ne sta ultimando l’allestimento in Polonia; mentre è già attivo il sistema “THAAD” in Corea del Sud. Ordigni nucleari e velivoli (in particolare F-35) in grado di portarli, vengono dislocati nelle basi USA e NATO in Europa orientale e nei Paesi baltici. In pratica, non c’è confine russo che non “goda delle attenzioni” del Pentagono.

Tutto ciò, non rappresenta che il “corollario tattico” della nuova dottrina nucleare USA. Una strategia che, secondo Washington, dovrebbe rispondere alle potenzialità di Mosca di “portare per prima un attacco atomico limitato” e, allo stesso tempo, far fronte allo sviluppo delle forze nucleari di Cina, RPDC e Iran. In pratica, per la gloria delle tasche del complesso industriale yankee, si conferma l’obiettivo di modernizzare la “triade” nucleare statunitense: missili intercontinentali, aviazione e sommergibili strategici.

Secondo tale dottrina, gli USA ricorrerebbero alle armi nucleari solo in “circostanze eccezionali”, per proteggere gli “interessi vitali” propri e degli alleati. Il fatto è, però, che tali “circostanze straordinarie” includono anche un attacco non nucleare. In generale, a Mosca si nota che il Pentagono sostiene la riduzione delle armi nucleari, ma non è d’accordo con la proposta fatta all’ONU della loro totale proibizione.

Al Senato russo, la dottrina nucleare USA è definita una “nuova spirale nella corsa agli armamenti, se non quantitativamente, quantomeno per parametri qualitativi. Una dottrina a effetto propagandistico: come dire, vedete noi vorremmo il disarmo e un dialogo costruttivo, ma non possiamo, perché abbiamo di fronte paesi così feroci come Russia, RPDC, Iran e Cina”.

Il politologo Igor Nikolajčuk scrive su Svobodnaja Pressa che il rafforzamento della presenza militare USA in Europa risponde alla necessità di conservare la propria egemonia mondiale: se, ad esempio, nella regione del Pacifico, si ampliano i contingenti statunitensi in Giappone e Corea del Sud, in Europa la situazione è un po’ più complessa.

Nel 1949, il primo segretario generale della NATO, il generale britannico Lionel Ismay disse che l’Alleanza era necessaria per “tenere l’URSS fuori dall’Europa, gli USA dentro l’Europa e la Germania sotto l’Europa”.

Oggi, la Germania ha praticamente trasformato lo spazio post-sovietico in una propria colonia economica, con la Polonia che, col denaro tedesco, è divenuta il paese più prospero dell’Europa orientale e il Baltico è di fatto in mano a Berlino, insieme a Romania, Ucraina, Grecia, Bulgaria. In questo quadro, scrive Svobodnaja Pressa, Washington, già con Obama, ha deciso di usare brutalmente la NATO per mantenere la propria presenza e impedire ai tedeschi di uscire dall’ombrello americano.

Così che le grida sulla “Russia aggressiva che minaccia l’Europa” in generale e in particolare il suo fianco baltico e la Polonia, servono prima di tutto a rafforzare la presenza USA “sotto la bandiera” della NATO.

I Paesi stessi della NATO si adeguano, a spese nostre.

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