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20/02/2018

Gas - Accordo da 15 miliardi tra Egitto e Israele

La normalizzazione dei rapporti tra Israele e mondo arabo, a scapito della questione palestinese, è realtà da tempo. Mentre centinaia di palestinesi restavano bloccati ad Arish in Egitto a causa della chiusura del valico di Rafah verso Gaza (di nuovo chiuso per l’operazione “Sinai 2018”, lanciata dall’esercito egiziano una settimana fa), Tel Aviv e Il Cairo firmavano un accordo miliardario.
 
Per i prossimi dieci anni la compagnia israeliana Delek Drilling e l’americana Noble Energy riforniranno l’Egitto con 64 miliardi di metri cubi di gas, un contratto dal valore di 15 miliardi di dollari. Il gas arriverà dai due giacimenti sottomarini Leviatano e Tamar e sarà gestito dalla compagnia egiziana Dolphinus Holdings. Dovrebbe arrivare tramite un condotto nel deserto del Sinai, ancora in via di costruzione a causa dei continui sabotaggi, o via Giordania.

Nonostante la scoperta del mega giacimento offshore di Zohr, da parte dell’Eni, dunque, l’Egitto resta un importatore di gas. In attesa che il bacino egiziano diventi produttivo, Il Cairo fa affari con il paese vicino, da alcuni anni impegnato nell’esplorazione ed estrazione di gas sottomarino, una ricchezza enorme nascosta nel Mediterraneo e che ha aperto numerosi contenziosi: se quello con Gaza è stato facilmente vinto da Israele minacciando le compagnie straniere interessate, quello con il Libano per il blocco 9 resta aperto con tutta la sua portata di instabilità.

Per il governo Netanyahu l’accordo è una vittoria su tutti i fronti: il primo ministro ha festeggiato la firma definendola foriera di risorse “per l’educazione, la salute e il welfare dei cittadini israeliani”, capace di “rafforzare la nostra sicurezza, la nostra economia e le relazioni regionali”.

Perché la vittoria non è solo economica, ma anche politica: rientra nella strategia, ampiamente sostenuta dall’attuale amministrazione statunitense, di normalizzazione dei rapporti con i paesi arabi, in particolare del cosiddetto blocco sunnita, che metta all’angolo definitivamente le legittime rivendicazioni del popolo palestinese. E se l’Egitto è stato il primo paese a firmare un trattato di pace con Israele, l’attuale presidente al-Sisi ha dimostrato di avere con Israele interessi comuni, soprattutto a Gaza dove all’assedio israeliano iniziato nel 2017 è seguito quello egiziano, a partire dal golpe militare del 2013. Dalla distruzione dei tunnel sotterranei che rifornivano i gazawi di materie prime e beni di prima necessità al mancato sostegno dei gruppi palestinesi che nel 2014 dovevano siglare il cessate il fuoco con Israele, la campagna anti-Fratelli Musulmani di al-Sisi ha devastato il suo braccio palestinese, Hamas.

Anche al-Sisi festeggia: il fabbisogno di energia del popolo egiziano, in costante crescita, è esplosivo e da solo il paese non è in grado di farvi fronte. E accorre nelle capitali dei paesi vicini, non solo a Tel Aviv ma anche a Riyadh: negli anni passati, nel chiaro obiettivo di legare Il Cairo a sé e alla propria politica regionale, la petromonarchia ha cominciato ad inviare petrolio all’Egitto con ricchi finanziamenti e prestiti. Una realtà che svela la debolezza del regime egiziano, dipendente dal mondo arabo fuori e intrappolato in una grave crisi economica in casa, subita da tutto il popolo che si sta gradualmente e rapidamente impoverendo.

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